Area, "Caution! Radiation Area" (1974)

 

Caution! Radiation AreaDopo il debutto di Arbeit Macht Frei, le prime defezioni: Djivas e Busnello lasciano il gruppo. Il sassofonista non sarà rimpiazzato, tranne che per un breve periodo (nel quale sarà Massimo Urbani a rivestire tale ruolo), mentre al posto di Djivas, che si unirà alla PFM, gli Area scelgono, dopo molti provini, Ares Tavolazzi, un enorme paio di baffi ed una musicalità innata. Nasce così la formazione classica degli Area (Stratos, Fariselli, Tofani, Capiozzo, Tavolazzi), gli “Area per antonomasia”. Naturalmente la band si mette subito al lavoro per dare un seguito a Arbeit Macht Frei… ma Caution! Radiation Area (uscito nel 1974) appare subito come qualcosa di molto differente rispetto al precedente lavoro. Si inizia a percepire (nietzscheanamente) un certo pericolo fin dal titolo, tutt’altro che rassicurante, dell’album, ed il sound che scopriamo è decisamente più duro che in precedenza. Un secondo album, un nuovo pugno nello stomaco. Gli aggettivi forse migliori per definire Caution! Radiation Area sono “ostico” e “spigoloso”… a tratti addirittura “ostile”. L’arrivo di Tavolazzi al basso, con la sua grande consapevolezza ritmica e melodica, pone Capiozzo in condizione di liberare la propria inventiva, dando vita a sezioni ritmiche da lasciare a bocca aperta, ora allucinate (e allucinanti), ora di stampo più prettamente free, sempre imprevedibili: l’intera band scopre così di potersi aprire maggiormente all’improvvisazione, che diviene il succo stesso del lavoro. Gli unisono di basso e batteria che caratterizzavano il primo lavoro sono in genere accantonati a favore di una scrittura nella quale ogni musicista intesse le proprie frasi melodiche indipendentemente dagli altri, in quella che potremmo definire come un’improvvisazione collettiva; all’ordine ed al rigore con cui i soli, in Arbeit Macht Frei, si innestavano sopra gli unisono della sezione ritmica, blandendoli, assecondandoli o costruendo più complesse frasi melodiche, si sostituisce ora l’eterofonia, un’instabilità ritmica, armonica e melodica che va ben oltre il free jazz, nel tentativo di restituire una musica dell’angoscia, la stessa che si respirava nei primi anni della tensione. Dunque, Caution! Radiation Area è il disco dell’improvvisazione collettiva, nel quale, con l’ausilio di tutti i mezzi disponibili (timbrici e non solo), si persegue la totale libertà improvvisativa. Ecco spiegato il perché della tiepida accoglienza riservata all’album al momento della sua pubblicazione: Caution! Radiation Area in realtà è molto più che un “disco difficile”, è certo un lavoro ostico e a tratti, come detto, ostile, ma niente in esso è lasciato al caso ed anche il preponderante uso dell’elettronica (che contribuisce ad inasprirne il sound) è, al pari di altri strumenti, da leggersi nell’ottica di una precisa scelta stilistica funzionale alla trasmissione di un concetto. L’album inizia con Cometa Rossa, unico brano che richiami apertamente le sonorità di Arbeit Macht Frei, basato sulla “struttura antifonale della sezione strumentale” (G. Chiriacò, “Area: Musica e Rivoluzione”), ancora ricca di richiamo alla musica popolare, in questo caso greca, e su una parte centrale assai evocativa, cantata. Il testo in greco esprime una grande ansia di libertà (e liberazione): Stratos lo canta (ma sarebbe forse più corretto dire “lo declama”) come se, solitario, “urlasse al vento dalla sommità di una scogliera cretese” (G. Chiriacò, op. cit.). Il tempo è libero e le parole del testo sono spezzettate, “masticate” ed alterate fino a divenire semplici suoni codificati in modo complesso, come nella tradizione dei canti rizitiko cretesi: la complessità “ritmica” della recitazione, che scompone le parole ripetendole come formule, e la possibilità di “toccare” ogni fonema come fosse un microcosmo a sé stante, permettono a Stratos di far uso in modo massiccio della sua già immensa tecnica vocale, con vocalizzi di vario genere e i suoi classici trilli armonici con passaggio di registro. L’effetto è suggestivo e veramente epico, come epica è la dimensione stessa del canto senza tempo di Demetrio. Queste caratteristiche fanno di Cometa Rossa un pezzo a metà strada tra i segnali acustici mediorientali di Luglio, Agosto, Settembre (nero) e quello che si può definire “recitativo frammentato” del testo, espediente già usato per la parte testuale de L’Abbattimento Dello Zeppelin. Il nucleo centrale del lavoro, tre pezzi, costituisce quasi un discorso a sé, nel quale l’improvvisazione libera si fa predominante ed il senso di angoscia sempre più forte. Si parte con ZYG (Crescita Zero), inserti di musica concreta (rumori di fabbrica) contrappuntati, dopo la frase aforistica che fa da testo (“L’estetica del lavoro è lo spettacolo della merce umana”), da una ritmica mutevole, con frequenti cambi di tempo e figurazione: l’alienazione imposta dalla catena di montaggio con, a farla da padrone, i sintetizzatori di Tofani. Brujo (“stregone”, in spagnolo) è un esorcismo, una lunga allucinazione basata su improvvisazioni acide e del tutto slegate tra loro, sfocianti in una sezione ritmica più definita che conduce alla celebrazione del rito vero e proprio: la formula magica, però, non rimanda a folletti, boschi o immagini mitiche del genere, bensì ad una sorta di mondo post- atomico, un futuro forse non troppo lontano nel quale l’uomo ha perso ogni conoscenza tecnica, liberandosi ma, nel contempo, ricadendo nella superstizione e nell’ignoranza. “Progettare totalità”, canta Stratos: nella schiacciante pressione- ossessione della produttività, nella costante sterilizzazione delle menti, viene meno la natura progettuale dell’essere umano, la forza critica del pensiero che costruisce avanti a sé. Esorcizzare tutto ciò che imbriglia il pensiero è il fine ultimo del rito magico postmoderno di Brujo. Ed ecco MIRage? Mirage!, brano nel quale “la disperata ricerca di ciò che appare si fa follia” (G. Chiriacò, op. cit.): folle è il sound proposto, rumorista ed oppressivo, di grande effetto i primi esperimenti di diplofonie e triplofonie di Stratos all’inizio del brano, incredibilmente azzeccati i respiri affannosi dei membri del gruppo che spezzano in due il pezzo. Arriva il testo, in realtà la lettura contemporanea e sovrapposta di cinque testi del tutto slegati tra loro (una non troppo lusinghiera recensione di Arbeit Macht Frei, un pezzo di narrazione, una ricetta, uno stralcio di guida tv e le istruzioni per costruire una bomba molotov), che ben rende l’idea dello spaesamento e la fuggevolezza del senso, di “ciò che appare”: i sospiri di cui prima, le voci, divengono grida e la follia si fa gelida, fino alla frantumazione finale. Con questo pezzo si conclude la riflessione sulla nevrosi ed il senso di angoscia nelle società moderne, fulcro di queste tre lunghe elaborazioni jazz: con la successiva Lobotomia il discorso cambia. Ultima traccia dell’album, Lobotomia, come l’altro estremo Cometa Rossa, viaggia su binari ben diversi ed è forse il primo brano Area nel quale “la componente progettuale diventa prevaricante rispetto all’oggetto finale” (G. Chiriacò, op. cit.). Tutto parte dalla vicenda di Ulrike Meinhof, ex giornalista militante di un gruppo di lotta armata, responsabile di rapine ed omicidi, catturata e minacciata dal governo di “morte chirurgica”: dopo Luglio, Agosto, Settembre (nero), un altro argomento scottante per le sinistre europee. Le parole di Chiriacò rendono al meglio l’atmosfera del pezzo: “Tofani realizza una sequenza sonora le cui intenzioni sembrano quelle di segare le orecchie al malcapitato ascoltatore, a cui si aggiungono alcuni interventi più musicali, benché composti a bella posta da banali melodie. L’esperienza dell’annullamento violento delle funzioni cerebrali, di un terrificante acufene, a cui i fruitori vengono sottoposti, vuole affermare come la crudeltà della lotta al terrorismo nasconda talora colpe ancora più gravi.” (G. Chiriacò, op. cit.) Inutile dire che le prime esecuzioni live del brano furono un po’ “rischiose”; in seguito però Lobotomia divenne un classico, uno strano cavallo di battaglia al pari di altri pezzi più noti della band, e oltretutto dette il via ad una dimensione significativa dell’estetica Area, quella dell’happening: per restituire la sensazione di annichilimento totale i musicisti, durante l’esecuzione, spegnevano tutte le luci e puntavano potenti torce elettriche sul pubblico oppure, col favore del buio, “intrecciavano gli spettatori con fili di lana” che, al ritorno della luce, creavano dei bagliori stranianti. “Multimedialità ante- litteram”, come la definisce Chiriacò, una fusione di metateatro, musica e concentuallità che diverrà un topos delle esibizioni del gruppo. Ancora una volta un lavoro che può essere un pugno nello stomaco, ma che ha l’indubbio pregio di costringere l’ascoltatore (sottratto dall’happening alla sua posizione sempre più spesso passiva) a prendere posizione, a “partecipare”. Non è poco.

Riferimenti bibliografici e teorici: Gianpaolo Chiriacò, “Area. Musica e Rivoluzione”, Stampa Alternativa, 2005.

Approfondimenti: alcune recensioni sono reperibili su Debaser e su DnaMusic; per i testi e altre notizie sul lavoro, rimandiamo alla pagina dedicata sul sito di Patrizio Fariselli. Purtroppo non tutti i brani erano disponibili in streaming su YouTube, come avrete notato: mi scuso per questo disguido, ma nel contempo spero che la recensione vi spinga a cercare direttamente l’album. Buona lettura, buon ascolto… e buona ricerca, se lo vorrete!

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