"Cuore Di Vetro": visioni di un altrove

"[…] Signor dottore, non avete mai sentito dire della doppia natura? Quando il sole sta su, a picco, a mezzodì, e sembra che il mondo vada a fuoco e fiamme, c’è stata una voce paurosa che m’ha parlato. […] I funghi, signor dottore: lì, lì sotto si nasconde. Avete già visto che razza di figure compongono i funghi, nascendo dal suolo? Poterle decifrare!"

Questa citazione dal "Woyzeck" di Buchner ben si adatta a descrivere la follia di Hias, protagonista di "Cuore Di Vetro" di Werner Herzog (oltrechè dello stesso Franz Woyzeck): trattasi di una follia che è esacerbata sensibilità, capacità esasperata di vedere e sentire oltre, di avvertire, anche laddove i più non vedono che un banale sfondo alla loro esistenza (nella natura, cioè), i segni e le sorti relative al nostro destino umano. Narrare la storia del film risulta difficile, e non a caso “Cuore Di Vetro” è probabilmente il film più criptico di Herzog: in una Baviera sospesa nel tempo e nello spazio, un pastore, Hias, ha delle visioni nelle quali gli viene rivelata la prossima fine del mondo. Visioni molto vicine a diluvi universali (a livello visivo, iconograficamente parlando, trattasi si sequenze dal maestoso splendore figurativo) si susseguono nei primi minuti del film con un impatto visivo e pittorico devastante. Sono sequenze di rara intensità. In queste montagne della Baviera una bottega conosce il segreto della produzione del vetro rubino. Morto il capomastro della bottega, l’unico a conoscere il segreto, la popolazione cade in una psicosi collettiva, in una sorta di ipnosi congelante (reale: tutti gli attori hanno infatti recitato sotto ipnosi ad eccezione dell’interprete di Hias). Incapaci a reagire e privati della conoscenza tecnologica, i villici impazziscono, l’intero paese impazzisce, forse tutto il mondo impazzisce; il tempo e gli spazi si dilatano, assorbendo così una patologica perdita di senso.Processione Come ricorda F. Grosoli nella sua fondamentale monografia su Herzog (edita da "Il Castoro", che in questi giorni ha dato alle stampe anche il volume "Segni di vita- Werner Herzog e il cinema" ad opera di Grazia Paganelli, altro testo che non può mancare nella biblioteca degli appassionati; coi corsivi virgolettati ci si riferirà, da qui in avanti, all’opera appena citata di Grosoli), il film "rende vana ogni lettura referenziale perchè orienta ogni elemento del suo linguaggio verso una totalità apocalittica: un mondo in cui si consuma appunto la perdita dei referenti (la ricerca inane del vetro rubino ne è il segno tematico più trasparente)". Trovano comunque spazio, tra le pieghe del "racconto", i temi cari a tutta l’opera del cineasta tedesco, quali l’opposizione tra cecità collettiva e vedere oltre (destinato alla sconfitta) di uno solo, il parallelo tra insensati rituali di morte e catastrofe finale, la perversione nei rapporti col reale che porta alla follia e alla distruzione; la fascinazione paesaggistica come espressione di un’alterità assoluta e nel contempo come speranza (si veda il finale) e possibilità di rifondazione, lo "scivolamento" della storia da un’era preindustriale ad una (presumibilmente) industriale. Il film ruota attorno a tre luoghi, che sono la vetreria, la taverna e la casa del padrone: è in questi ambienti che hanno luogo tutti gli oscuri, insensati, violenti rituali, frustrati dalle profezie, allo scopo di ritornare a produrre. Qui si consuma la crisi totale di un mondo che “pone la produttività ed il possesso come unici referenti riconoscibili”, fino a perdere del tutto la ragione. C’è un vuoto, che è un vuoto di referenti ma anche di umanità, che man mano si dispiega lungo la “narrazione”. Contempliamo così, come in un horror spogliato di tutto il suo impianto spettacolare (hollywoodiano?), la “dissoluzione progressiva di un’originaria, armonica unità; l’irrompere del caos e della follia in una società che non riesce più a decifrare i segni di morte che la minacciano”, attraverso personaggi che sono in realtà niente più che “presenze raggelate, che l’ipnosi accomuna in gesti sempre meccanici, ieratici e sospesi”, che siano essi carnefici (il padrone della vetreria) o vittime (la serva sacrificata). Follia
L’unico personaggio che emerge, anche se come tramite ignaro di eventi incommensurabili che lo annullano come soggetto, è Hias, il pastore visionario: Hias si distingue dagli altri in quanto vede, sebbene, non meno degli altri, anch’egli sia destinato alla sconfitta. Eppure il pastore somiglia molto a quegli ultimi uomini, quattro coraggiosi, che nella sequenza finale del film lasciano lo sperone di roccia su cui hanno sempre vissuto per avventurarsi verso il mare aperto su una barca palesemente troppo piccola e fragile per sostenere la traversata: anche quegli uomini, come Hias, sono spinti dal desiderio di vedere fino al limite di sé, con un gesto certamente patetico ed insensato ma che pure fa parte della natura umana. Segni di speranza? Direi più che altro “Segni Di Vita”, tanto per citare un’altra opera di Herzog. Una vita che non si ferma a stolidi ideali di produttività, possesso, successo, ricchezza, mercato, ma giunge oltre, o almeno vuole spingersi verso tale “altrove” (che sia esso la conoscenza, una qualche felicità, il riappropriarsi del proprio tempo, o semplicemente l’ignoto): poco importa che il tentativo sia frustato, destinato al fallimento. È da atti come questo che sgorga la visione (e quindi il cinema, nell’ottica e nell’opera tutta di Herzog), ma anche la poesia, e, perché no?, la musica (splendida, a questo proposito, la colonna sonora dei Popol Vuh). Hias resta l’unico essere umano che, in un mondo che scivola nella follia (come anche il nostro, sconvolto da guerre, riscaldamento globale, minaccia atomica, che non sa più vedere oltre l’economia, oltre il proprio naso, e non sa da par suo leggere i segni della catastrofe), anche patendo l’incomprensione e l’isolamento, sa vedere un altrove che sia radicalmente diverso.

Spero di riuscire ad inaugurare, con questo intervento, tutta una serie di scritti sull’opera di Werner Herzog, probabilmente il mio regista preferito. A breve cercherò di pubblicare altre "impressioni" sorte dalla visione dei film del grande cineasta tedesco… inoltre, anche in considerazione della mostra celebrativa organizzata in questo periodo (c’è tempo fino al 10 febbraio… correte!!)  al Museo Nazionale del Cinema di Torino, mi sembra un buon modo per omaggiarlo e per far conoscere la sua opera. Restiamo in contatto.

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