Soffiamo via la polvere dallo scaffale dei nostri vecchi cd! La perla di oggi: "A Night At The Opera" (Queen)

Così stamattina, tra un’equazione di Maxwell e l’altra, mi ritrovo a piluccare distrattamente dal mio scaffale di cd, dischetti faticosamente accumulati in anni (lontani) di sforzi economici inimmaginabili, e nel bel mezzo della mia piccola collezione di album dei Queen (vi anticipo che non risponderò ad alcuna possibile domanda tendenziosa in merito) rinvengo A Night At The Opera. Saranno almeno cinque anni che non lo sento per intero, ma riflettevamo proprio l’altro giorno con Alessio, un altro pezzo del nostro piccolo laboratorio musicale (il pezzo fondamentale, a dire il vero), su come nell’era dell’mp3 e di iTunes sia sempre più difficile riuscire a “seguire” un album per intero, a restare dietro ai brani con attenzione, insomma, su come siamo un po’ tutti diventati consumatori di emozioni rapide incapaci di resistere alla piccola maratona quale l’ascolto assennato di un disco può essere assimilato. Dunque, A Night At The Opera e i Queen, la band di Freddie Mercury, e io che mi domando che effetto possa farmi, dopo tanto tempo: un titolo mutuato da un film dei fratelli Marx, una cover essenziale disegnata dallo stesso Mercury, nel libretto della versione rimasterizzata nel 1994 soltanto i testi e poche fotografie d’epoca. Premetto subito che, per quanto mi riguarda, parlando dei Queen potete attingere a piene mani dagli anni ’70, principalmente dai primissimi album, scartando qualche (in)evitabile eccesso disseminato random qua e là (ampie parti di Jazz, tanto per dirne una); saltare a piè pari gli anni ’80, gonfi di “gargantuesche tronfiaggini” (per citare a sproposito un buon uomo), eccezion fatta per qualche stralcio di Hot Space, il disco forse più sottovalutato della loro discografia, per quanto fin troppo danzereccio- kitsch- robotico; e tornare ad ascoltare con l’animo in pace, nei loro brevissimi anni ’90, l’ultimo giro di giostra di Innuendo, per quanto diseguale e non del tutto compiuto. I Queen non hanno inventato niente, in tanti anni di carriera: hanno prodotto musica per intrattenimento, un po’ hard rock e un po’ art rock, un po’ da stadio e un po’ da camera (con una leggera prevalenza per la prima accezione). Perché dunque riascoltare A Night At The Opera, e cosa se ne può ricavare? Intanto perché nel 2010 è diventato estremamente difficile trovare una band o un’artista mainstream a cui passi anche solo per l’anticamera del cervello di criticare o prendere addirittura a male parole il proprio management, i propri manager, i propri produttori e la propria distribuzione, cosa che invece i Queen sembrano non porsi problemi a fare nell’incipit rappresentato da Death On Two Legs (Dedicated to…): va bene, va bene, si trattava del vecchio manager e quant’altro, lo riconosco, ma resta un fatto più unico che raro in un mondo ormai abituato a sostituire il flower power col molto più luccicante money power, e un po’ di sana cattiveria non può far troppo male. In seguito c’è molto kitsch- teatrino dell’assurdo- dandy/glam/art rock (Lazing On A Sunday Afternoon e Seaside Rendezvous su tutte), anche se le cose davvero kitsch e nel senso più deleterio del termine stanno altrove (vedi l’agghiacciante I’m In Love With My Car, cantata dal buon Roger Taylor, che è stata di nuovo capace, a distanza di tanti anni, di gelarmi il sangue con quel pedissequo strombazzare di cilindri che ne percorre in lungo e in largo lo spartito). Per fortuna, i Queen dell’epoca disseminavano piccole perle di luminoso pop qua e là lungo la loro pièce: You’re My Best Friend, nota hit scritta dal bassista John Deacon, The Prophet’s Song, scritta da May, che anticipa le parti vocali operistiche di Bohemian Rhapsody fondendole con elementi e sonorità di chiara matrice progressive/ hard rock, appunto Bohemian Rhapsody, un pezzo unico nel suo genere, o la già citata Death On Two Legs; c’è il romanticismo barocco pompato con ampie iniezioni di arpa strappalacrime di Love Of My Life, uno dei cavalli di battaglia della band nelle leggendarie esibizioni dal vivo di quei tempi e degli anni a venire; ci sono le bordate rock di Sweet Lady, e la sua cavalcata finale verso una veloce simil-jam infuocata; c’è Brian May che canticchia Good Company accompagnato da un esile hukulele, sempre per il capitolo kitsch, e ancora May vestito da cantastorie per il rock venato di folk di ’39, oltreché padrone della scena nella splendida orchestrazione chitarristica che rilegge, in conclusione di questo spettacolo, l’inno britannico God Save The Queen alla maniera di Hendrix. E c’è appunto la già abbondantemente citata Bohemian Rhapsody, un miscuglio brillante e fortunato di romanticismo pianistico, follie operistiche e tentazioni hard rock, un mattone che ancora oggi costituisce la pietra portante di edifici assai meno nobili quali quello eretto, negli ultimi anni, dai Muse (tanto per fare un nome soltanto). Potete ascoltare A Night At The Opera per sentire un po’ l’effetto che fa, dopo tanto tempo, come ho fatto io; o per capire da dove nascano tante tendenze musicali ancora oggi presenti (vedi Muse, appunto); o per riascoltare un gruppo che sa intrattenere senza troppe pretese, un gruppo di musicisti che almeno sanno suonare, dove il basso elettrico torna ad essere ben più che una chitarra elettrica con due corde in meno, dove la chitarra ha un suono inconfondibile, la batteria è suonata con onestà (ho sempre immaginato Roger Taylor come uno che ci crede con tutte le sue forze…) e la voce, beh, è quella voce là, sulla quale tutto è già stato detto e resta ben poco da aggiungere. Più che altro mi scopro ad immalinconirmi un po’ pensando allo stile, alla classe e all’onestà di questo “prodotto da intrattenimento” reo confesso, specialmente se confrontato con quanto l’industria del divertissment riesce a presentare al suo pubblico al giorno d’oggi. Questa resta buona musica, certamente non musica geniale, non musica che ha cambiato un’epoca, non musica di rottura o di approfondimento critico, non musica intellettuale, ma buona musica, scritta e suonata con una grazia e un’eleganza (anche nel kitsch più estremo, ebbene sì) che ha avuto (ed ha) pochi eguali.
Quindi, quando finalmente sarete stanchi dei vostri undisclosed desires, fatevi un giretto all’Opera.
Tra virgolette, spero che questa serie dello “Scaffale” divenga un appuntamento con scadenze non troppo distanti tra loro… ma non prometto niente. Comunque, il menù a tendina che trovate nella colonna di sinistra serve pressappoco a questo: indicizzare questa nuova rubrica, “Lo Scaffale”. Avrà futuro? Chi vivrà, vedrà. In fondo, tutti noi abbiamo sui nostri scaffali qualche cd che avevamo dimenticato di possedere…

2 Risposte a “Soffiamo via la polvere dallo scaffale dei nostri vecchi cd! La perla di oggi: "A Night At The Opera" (Queen)”

  1. Ottimo album, e poi mi piace l’iniziativa dello "Scaffale".
    Però, se posso azzardare un suggerimento, potresti correlare ogni pezzo sul perchè ti piace, se è legato a qualche ricordo particolare, etc…
    O forse sono io ad essere troppo curiosa… 😛

  2. Beh, non c’è che dire: hai ragione!!! Credo di essere partito anch’io con quell’idea, ma di essermene dimenticato strada facendo…
    Posso rimediare, però: perchè mi piace questo disco? Beh, è legato alla seconda liceo, il mio penultimo anno di superiori: era appena finita la scuola e avevo ordinato nel mio negozio di cd preferito sia questo album che il seguente, "A day at the races", i bei tempi in cui compravo ancora i cd, prima di rendermi conto di quanto esageratamente pesassero sul mio budget. Ricordo ancora che caldo assurdo faceva sull’autobus stracolmo mentre tornavo a casa dopo l’acquisto!
    Non è un ricordo granchè particolare, in effetti… forse è anche per questo che non mi ero ricordato di raccontarlo nel post!
    Grazie per il commento e non temere, non sei troppo curiosa. 🙂
    Demetrio

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