"The Tree Of Life", di Terrence Malick

"Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d’essere un bambino.
Per lui tutto aveva un’anima, e tutte le anime erano tutt’uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un’opinione.
Non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande:perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lí? Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? Non é solo l’apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? C’é veramente il male? E gente veramente cattiva?
Come puó essere che io, che sono io, non c’ero prima di diventare?
E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
Quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
Quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí.
Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí.
A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande.
E questo, é ancora cosí.
Sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com’é ancora oggi.
Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne.
Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone, come fosse una lancia.
E ancora continua a vibrare."

(Peter Handke, Lied vom Kindsein)

Parlare di un’opera di Malick non è mai semplice, dato lo status di regista di culto raggiunto dall’autore americano. Ancora più complesso condensare in poche righe un lavoro come questo ultimo The Tree Of Life, per sua stessa natura, verrebbe da dire, destinato a straripare dai bordi esigui dello schermo e degli schemi narrativi per riversarsi, con la stessa furente maestosità di una delle tante manifestazioni naturali riprese e incastrate nel flusso diegetico del film nel corso delle oltre due ore di proiezione, direttamente dentro la nostra vita. Malick fa Malick e affronta con coraggio e lirismo una pagina del proprio percorso artistico che a molti è sembrato doveroso definire “la più autobiografica” mai scritta dal sessantottenne regista statunitense: la trama, ridotta all’osso, racconta la vita di una famiglia texana degli anni ’50, con padre (Brad Pitt) inflessibile, severo e teso a tentare di estrarre il meglio dalle (per le) vite dei propri tre figli, madre (Jessica Chastain) dolce, comprensiva e un po’ ingenua e, appunto, i tre fratelli. Fin dall’inizio si sa della morte di uno dei tre, all’età di diciannove anni: il film prende poi letteralmente a ondeggiare tra i ricordi d’infanzia del fratello maggiore (interpretato nell’età adulta da Sean Penn), i suoi rimorsi per il rapporto incrinato e difficile da ricomporre col padre, e i momenti della dipartita del figlio, che getta nella disperazione i genitori e nel caos un’intera famiglia. Dunque, un film sulla famiglia e sui ricordi d’infanzia di Malick. Può darsi, ma ridurre The Tree Of Life a questa banale considerazione significherebbe lasciarsi sfuggire il suo senso più profondo, che si nasconde nelle immagini raccolte da Malick (e dai suoi collaboratori) in giro per il globo, e che intercalano la flebile trama connettendone i mille rivoli con la storia del mondo, dell’universo, della vita tutta intera, in un susseguirsi di accostamenti paratattici incantevoli accompagnati dal frastuono stesso dell’esistenza, che si tratti di un’eruzione vulcanica o di una composizione lirica. The Tree Of Life è principalmente un film incentrato sul percorso di nascita, crescita e morte che attende ogni uomo; i momenti in cui il cinema di Malick riesce a restituire, con la semplice luce di un’immagine, tutta una gamma di sensazioni che ciascuno di noi ha provato nella vita, legate allo stupore, alla meraviglia, alla scoperta, rendono la storia narrata in quest'opera tutt’altro che particolare, tutt’altro che privata. L’opera va a comporsi di un mosaico di sensazioni, ricordi, colori, luci, suoni, aspirando a racchiudere in un senso ultimo tutta la storia della vita stessa, uguale ovunque al di là delle differenze accidentali, culturali, e quant’altro. Facendo un largo uso della metafora e muovendo la macchina da presa come chi dovesse dare vita a un sogno, a una sensazione o semplicemente a un’idea, Malick accarezza i suoi attori, scivola leggero sulle immagini dei neonati, abbraccia con grazia lo splendore terribile della natura e la tenera impotenza di chi tenta di trovarvi un disegno, un’occasione di consolazione, un posto. Nessun posto è casa perché ogni posto lo è: le domande che innervano l’opera frastagliandone ulteriormente la trama già decostruita da un montaggio strepitoso, sotto forma di invocazioni e voci che si rincorrono fuori campo, sono le grandi domande che ciascuno di noi si è posto, che per il “bambino” della poesia di Handke citata in apertura sono forse le uniche domande vere e sensate. È ancora il tempo di queste domande, sembra dirci The Tree Of Life: non è ancora finito il tempo di queste domande, né probabilmente finirà mai. Queste domande sono il succo stesso della vita, questo multiforme flusso impetuoso che è fatto della stessa materia sia che si tratti di una grande città sfavillante di luci, di una cascata enorme e inarrestabile, sia che si tratti di un canyon nel deserto o della danza senza tempo di pianeti, stelle, galassie, o ancora dei vetri a specchio di altissimi, inaccessibili grattacieli. Malick tenta l’impresa forse più ambiziosa che si possa immaginare: conciliare l’estremo microcosmo di ciascuno di noi, il mistero della coscienza, il percorso nascita- crescita- morte (inevitabilmente e dolorosamente soggettivo) con l’estremo macrocosmo di un universo freddo, distante, indifferente eppure splendido, luminoso e vitale anche nelle sue manifestazioni più mortifere, anche nella violenza e nella sopraffazione, anche nel frastuono senza padrone che divora e avvolge le nostre misere esistenze; condisce questo viaggio di dialoghi frammentari che sembrano riemergere da ricordi lontani e arrivano alle orecchie come suoni articolati da bocche impastate, non più avvezze alla fonazione, di voci fuori campo che tentano di dire l’indicibile e palesare ciò che è talmente sotto gli occhi di tutti da rischiare seriamente di restare non visto, di immagini che si accalcano e si accostano le une alle altre con una potenza e una magnificenza visiva che può solo lasciare a bocca aperta e, cosa non da tutti, di amore; è amore reale quello che traspare dalla macchina da presa di Malick, perché ci sono pochissimi artisti al mondo che sarebbero capaci di mostrarti un fiore, una foglia, un albero, un neonato, un uomo, una relazione, una storia o un’idea riuscendo ogni volta a fartene scorgere un particolare nuovo, diverso, che non avevi mai notato vuoi per pigrizia, vuoi per disattenzione, vuoi, e questa è la cosa più atroce, per reale indifferenza. Perché le storie raccontate in The Tree Of Life, che partono tutte dal microcosmo interiore del figlio e dai ricordi d’infanzia sulla scoperta del dolore, della finitudine, del silenzio e della violenza, in realtà non sono che manifestazioni di qualcosa di enorme e continuo, inarrestabile, che sottende tutta la nostra esistenza. Probabilmente sono giuste le parole usate da Alberto Crespi su L’Unità: […] immagini naturalistiche si alternano a visioni digitali di nebulose, cellule che proliferano, universi che esplodono. Compaiono i dinosauri, nasce la vita sulla Terra, forse nascono i bambini che Brad Pitt alleverà con troppa durezza. Come già recitava la voce fuori campo de La Sottile Linea Rossa, tutto è intimamente connesso e la guerra è odiosa perché è la violenza della natura contro sé stessa, e come tale un’insensata automutilazione (così come odioso è l'arrivismo e l'arroganza di quel che resta dell'american dream, sembra sottolineare la sequenza interpretata da Sean Penn). Non saprei dire se si debba essere religiosi, appassionati di filosofie orientali o new age o semplicemente, come qualcuno direbbe con disprezzo, un po’ “toccati” per andare in giro a sostenere idee come queste. La verità è, inutile negarlo, che un senso di misteriosa meraviglia c’è, e persiste incrollabile dentro ciascuno di noi: l’abilità di Malick è risvegliarlo nelle immagini dell’infanzia dei tre bambini, nel loro percorso di crescita, e confortarlo con l’immensa speranza dischiusa nel finale del film, quando la lenta, inesorabile discesa nel dolore e nella consapevolezza si rivela forse come anche l’ultima occasione di salvezza. Se tutto è scaturito da un punto a quel punto dovrà, prima o poi, tornare. Malick ha studiato filosofia e tradotto Heidegger in inglese, sicuramente conosce (e probabilmente ci avrà anche riflettuto a lungo) questa citazione di Hölderlin, già molto amata dal filosofo tedesco: “laddove aumenta il pericolo, cresce anche ciò che salva”. Chissà che la storia del mondo, dell’universo e della vita, questa storia di amore, dolore, il mistero della nascita e della coscienza, della crescita e della morte, chissà che tutto questo non possa essere racchiuso in questa frase.
Non lasciatevi ingannare da chi sommerge di “buuu” e critiche superficiali questo film, lo fa soltanto perché ne ha paura. Ma non dimenticate che non è troppo tardi per la purezza e per le domande; anzi, non dimenticate che è e sarà sempre il tempo di queste domande.

E soprattutto, se potete, perdonatemi per questa recensione esageratamente sconnessa: qui trovate un breve scritto un po' più "centrato". E soprattutto fatevi un regalo, e andate a vedere questo film. Ne sarà valsa comunque la pena.

3 Risposte a “"The Tree Of Life", di Terrence Malick”

  1. Le tue impressioni, immagino "a caldo" sono come al solito interessanti e profonde e fanno venir voglia di vedere un film che, come sempre in Malick, forse necessiterà di più di una visione.

    Ciao

    Paolo Scatolini

  2. stamattina ho visto la locandina fuori da un cinema dove lo danno
    ed ero perplessa… letta la tua recensione penso che lo "devo" vedere
    anche se non sarà cosa leggera..
    grazie, ciao

  3. @Paolo: vecchio mio, hai finalmente abbandonato il tuo nickname?
    Comunque sì, è vero, ho scritto questo breve intervento a caldo il giorno dopo aver visto il film. Sicuramente ci vorrebbero più visioni, come sottolinei anche tu: però ti resti negli occhi il senso di qualcosa di bello, e nell'animo. Sono esperienze che merita fare. Tra l'altro, dopo aver visto questo film, mi è tornata in mente una vecchia frase di Cioran letta tanti anni fa ne "Il Demiurgo cattivo": "Siamo tutti in fondo a un inferno, dove ogni attimo è un miracolo." Probabilmente non c'entra niente, ma è solo per dire che gli stimoli che si ricevono da un'opera come questa sono molteplici, e tutti meriterebbero di essere approfonditi "a freddo". Magari ci tornerò su in futuro, ma lo sappiamo com'é, il tempo a disposizione si assottiglia sempre più.
    A presto vecchio mio, e grazie per la visita!

    @Giovanotta: Ciao! Senz'altro la visione di questo film  non è esperienza da poco, ma vale quanto ho scritto sopra rispondendo a Paolo: tutto il tempo che gli dedicherai non sarà tempo perso.
    Se poi lo vedi, sarà lieto di conoscere le tue impressioni al riguardo!
    A presto, e grazie per la visita
    Demetrio

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