A customer guarantee: Strange Satisfaction (Woody and Jeremy, 2020)

Strange satisfaction, uscito lo scorso 20 marzo, costituisce il debutto di Woody Goss al di fuori dei Vulfpeck, band di cui il pianista è uno dei fondatori (insieme a Jack Stratton, Theo Katzman e al formidabile Joe Dart): un dischetto di sole 7 tracce, scritto e composto insieme a Jeremy Daly, voce principale del duo, e che può considerarsi fondamentalmente un disco funk, dal sound un po’ passatista (ma sappiamo come i nostri siano molto innamorati di quel sound retrò del funk-soul anni ’70). Come si può leggere sul sito ufficiale del progetto, le canzoni contenute in questa prima uscita nascono da anni di scambi di materiale tra Jeremy, di base a Los Angeles, e Woody, stanziato invece a Chicago, con il primo che ha scritto tutte le liriche, mentre Goss si è ovviamente occupato della composizione dei brani, facendo anche lo Stratton della situazione, ovvero occupandosi/supervisionando per la prima volta in prima persona l’intero processo, dalla scrittura alla produzione, fino al mix e al master. Le registrazioni delle varie parti sono avvenute ancora in separata sede, e viaggiando sull’asse Chicago- Los Angeles hanno visto l’aggiunta dei testi di Daly, piccoli capolavori di surrealismo, pieni di cose realmente assurde, ironici e auto-ironici: per usare le loro parole, “The lyrical content of these tunes is, in turn, cynical, comedic, earnest, stupid, and sweet. They have something to do with the midwest and Los Angeles, love lost and gained, feeling like an asshole and being an asshole, dating as a fat person, getting horny while wearing an ex-lover’s dress — you know, the usual”, e davvero c’è poco da aggiungere. Musicalmente ci sono il funk trascinante di Too Hot in L.A., cadenzato dal drumming di Theo Katzman e soprattutto dal basso ingovernabile di Joe Dart, arricchito dai versi sarcastici pre- e post-apocalittici di Daly (“I didn’t mean to yell at you/ There must be something in the air/ I mean, you’re talking ‘bout the apocalypse/ I was asking ‘bout my hair”), un brano tanto semplice quanto ricco di rimandi, forse addirittura la cosa più Talking Heads che si sia mai ascoltata dai tempi dei Talking Heads, condita con abbondanti dosi di auto-ironia (il video, per esempio, è una delle cose più situazioniste e surreali che vi capiterà di vedere quest’anno, aspettare di arrivare in fondo all’articolo per credere); la cavalcata funk/r’n’b di Hollywood Witches o il disagio che pompa nei subwoofer coi bassi e la cassa dritta della divertentissima Fat Boy in the gym of Love (sì, Daly non è esattamente un figurino, ma ovviamente non ha alcun problema a parlarne: “The burn is so good/ And I’m feeling it now/ You got me reeling/ It’s so appealing”); le vaghezze funk e i fiati che scandiscono Work Together, cesellata da un piccolo microcosmo di interventi timbrici davvero affascinanti, chiusa da una declamazione catalogica di tutto ciò cui si può sopravvivere se ci si accorda tutti sullo stesso vibe, lavorandoci insieme; Green Dress, notturna e cadenzata, che racconta di una relazione finita e un po’ malata, ormai ridotta per l’uomo all’unica possibilità di tornare a provare l’eccitazione amorosa indossando un vecchio vestito verde che l’amata ha lasciato nel suo armadio, e che di fatto costituisce una riscrittura di un tema elaborato da Goss per Mean Girls, contenuta in Vollmilch, uno dei primi EP dei Vulfpeck; i tormenti amorosi tornano anche in On the phone with the song, brano che esorcizza il dolore dell’abbandono col potere salvifico della musica (“I need a friend/ But I guess I’m all alone/ Staying on the phone with the song”, canta Daly nel primo ritornello, per poi modificare i versi in “You need a friend/ But I guess you’re all alone/ Staying on the phone with the song” nel finale del pezzo); chiude i giochi Be There, altra solida base ritmica su cui si intarsiano gli interventi sempre misurati delle tastiere di Goss e la vocalità ricca e calda di Daly. Strange Satisfaction, come scrivono Woody e Jeremy nella presentazione dell’album, “is not just an album title but also a customer guarantee”, ed è difficile dar loro torto: i versi stralunati e non-sense di Daly sposano alla perfezione il minimalismo compositivo di Woody Goss, che è un eccezionale pianista di formazione jazz, attratto soprattutto dalle strutture armoniche eleganti e suonate con stile inconsueto e minimale, solo apparentemente semplice (si veda a proposito questo splendido video del suo canale YouTube “educativo”, nel quale, nelle vesti del Professor Goss, tra una lecture su un metodo approssimato che permette di misurare l’elongazione di Venere a occhio nudo e le distanze tra Venere, il Sole e la Terra e una incentrata sul comportamento della salamandra, trova anche il tempo di decostruire la linea di piano suonata da Duke Ellington ad accompagnare In A Sentimental Mood nella versione di John Coltrane, che si può ascoltare in Duke Ellington & John Coltrane: “Duke Ellington or sir Duke was a famous Knight and composer from the medieval times who played a lot, made a lot of jazz for little kids and other creatures”), e il motore funky che sottende queste sette brevi tracce farà felici anche quelli che dalla musica si aspettano un piacere anche fisico, e non solo cerebrale (per quanto di piacere intellettuale se ne possa trarre parecchio, da queste composizioni). Strange satisfaction è un lavoro strano, nel senso più pregnante del termine: surreale, stralunato, coloratissimo, eppure suonato esclusivamente in maniera “analogica”, per così dire, usando strumenti “reali” (“The album was recorded using “real instruments,” and yes, this is one of the many retro-sounding albums that their generation is inclined to produce, but folks, we love the sounds of earlier decades, and we’re not ashamed anymore!”) e cedendo a un sound dal fascino assolutamente retrò, che va a riprendere incastri ritmici à la Talking Heads (come in Too hot in L.A.) mescolandoli con l’eredità del soul e del funk anni ’70, e tenendo tutto assieme per mezzo delle liriche ora ciniche, ora sfacciatamente divertenti scritte da Daly. Un piccolo, breve album (appena 26 minuti) in grado di dare grandissime, benché strane, soddisfazioni.


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