Area, "Maledetti (Maudits)" (1976)

Maledetti (Maudits)Il periodo compreso tra l’uscita di Crac! e le registrazioni di Maledetti (Maudits) è estremamente intenso per gli Area, in particolar modo per quel che riguarda le esibizioni live: numerosi concerti, nuovi happening (l’esecuzione di Caos- Prima Parte, col suo reale coinvolgimento del pubblico, ne è un esempio) e una tournee tra Francia (alla Fete de L’Humanitè di Parigi) e Portogallo appena liberato dalla rivoluzione dei garofani (tournee successivamente “immortalata” nel cd Parigi- Lisbona), senza contare l’uscita del primo disco in solo di Demetrio, Metrodora, e l’esibizione del 27 ottobre del ’76 all’Università Statale di Milano occupata dagli studenti, nel pieno delle registrazioni di Maledetti, esibizione che sarebbe stata documentata nel cd Event ‘76. Nel contempo, la situazione politica italiana e del movimento del proletariato giovanile inizia a degenerare, sfociando nei disordini dell’ultimo festival di Parco Lambro: il movimento, partito dalle giuste premesse, sta lentamente scivolando nella violenza e nell’incomprensione, avviando inesorabilmente la fine di una straordinaria stagione di impegno sociale e politico. Un ’76 impegnativo, dunque, e non è un caso se, al momento di iniziare a lavorare sul nuovo disco, gli Area si trovano inaspettatamente “mutilati”, con le dipartite di Capiozzo e Tavolazzi (solo temporanee e presto rientrate, tanto che i due sono presenti anche in Maledetti), dovute alla voglia di cimentarsi col jazz più classico, passione sempre più forte per entrambi. Gli Area "superstiti" devono decidere come portare avanti il progetto della band, e la scelta ricade sulla modalità del gruppo aperto, che consente da un lato l’ingresso di nuove e sempre fresche forze creative, dall’altro anche l’arricchimento culturale personale dei musicisti, che può scaturire solo dal contatto con sensibilità e progetti di ricerca “altri” dai propri consueti: entrano così nella band Hugh Bullen (basso), Walter Calloni (batteria), i fratelli Arze (txalaparta), i jazzisti Steve Lacy (sax) e Paul Lytton (percussioni), Eugenio Colombo (kazumba) e il quartetto d’archi di Umberto Benedetti Michelangeli. Con queste premesse, Maledetti (Maudits) non potrà che costituire un episodio a parte, tutto particolare, nella discografia della band italiana, un concept album atipico, definito dal gruppo un “progetto- concetto di fanta- sociopolitica”. L’idea di partenza è quella di una società futura, che improvvisamente “(dis)perde” la propria memoria storica, conservata sotto forma di plasma liquido all’interno di una particolare banca dati fantascientifica: di fronte alla perdita di questo punto d’appoggio, che definisce tutto ciò che la società è ed è stata, le sue origini, esplode la confusione, nella ricerca di una sistematizzazione politica che recuperi l’ordine restituendo alla società stessa il suo placido perpetuarsi. Gli Area ci accompagnano in questo “dramma” proponendo alcune alternative per la sua soluzione (senza dimostrare però di privilegiarne alcuna), schematizzabili nell’idea del potere agli anziani, alle donne, ai bambini e, infine, con una piccola digressione sul ruolo dell’Arte nella società. Il disco è musicalmente diverso dai precedenti, pur portando l’evidente marchio Area, e questo non può che esser dovuto alla nuova formazione aperta (cfr. Gianpaolo Chiriacò, “Area- Musica e Rivoluzione”), con l’arricchimento timbrico introdotto dagli atipici strumenti suonati dai fratelli Arze o da Colombo, e, paradossalmente (visti i motivi che avevano portato alla dipartita di Capiozzo e Tavolazzi), con un sound nel complesso più jazz, sul quale le presenze di Lacy e Litton sono da considerare determinanti. Evaporazione, primo brano in scaletta, presenta il compiersi del “dramma”: Demetrio, “per metà araldo e per metà giullare” (Chiriacò, op. cit.), annuncia al mondo l’avvenuto incidente mettendosi poi a giocherellare con le proprie parole, mentre in sottofondo sentiamo Tofani radersi con un rasoio elettrico fischiettando un motivetto e passi che si avvicinano e si allontanano di corsa, come in un corridoio, nella concitazione del momento. La perdita del fluido erode progressivamente la coscienza della società, cominciando dalle parole del suo araldo; l’urlo finale di Demetrio prelude a Diforisma urbano, seconda traccia del disco nonché uno dei brani più riusciti del lavoro, uno strumentale che mostra il plasma “sgocciolare via” con la coscienza dell’umanità, precipitando la società nel caos ed annichilendola. Le ritmiche della batteria di Calloni e dei bassi incrociati di Bullen e Tavolazzi disegnano un tappeto concitato sul quale intervengono prima i synth di Tofani (che si produce anche in un fantastico assolo) e di Fariselli, e poi la voce (splendida, nell’inciso) di Demetrio. Persa la memoria, è il momento di pensare alle alternative: la prima è il mantenimento dello status quo, il potere agli anziani, opzione descritta in Gerontocrazia. Il brano inizia con Stratos che canta, in greco, il testo di una ninna nanna dell’Asia Minore (gli anziani di quei paesi usavano infatti addormentare i nipotini con tali nenie, aiutandosi anche con l’apporre un pane di hashish sotto il loro cuscino, per renderne ancora più profondo e duraturo il sonno), accompagnato dalla txalaparta dei Fratelli Arze, ed evolve in un tipico ritmo pluricomposto in crescendo targato Area, coi “sintetizzatori in evidenza ed il sax di Lacy che raddoppia all’unisono l’intervento vocale di Stratos” (Domenico Coduto, “Il Libro degli Area”). Il quarto brano è Scum, testo e titolo mutuati dal manifesto politico della femminista Valerie Solanas, “Society For Cutting Up Men” (1967), più nota per aver sparato ad Andy Wahrol: tempi dispari alla Capiozzo ed il “pianoforte sghembo” (Coduto, op. cit.) di Fariselli che danno il là ad una furente improvvisazione jazz cui nel finale, su un tappeto di synth, si lega la voce “automatizzata” e caricata di effetti di Stratos, che con verve ed ironia reinterpreta il manifesto della Solanas prefigurando il potere alle donne. Segue Il massacro di Brandeburgo in Sol Maggiore, incursione (ma sarebbe quasi meglio dire “blitz”, visti i suoi effetti) degli Area nel mondo della musica classica: se L’Abbattimento Dello Zeppelin (da Arbeit Macht Frei, 1973) criticava e demoliva l’industria discografica ed un certo rock mainstream, ora è il momento di Bach, che “paga per tutti” come prima di lui i Led Zeppelin, e del corporativismo che governa la classica. Assistiamo ad un delitto che in realtà è un suicidio: la musica del terzo concerto brandeburghese di Bach cade sotto i colpi degli archi di U. B. Michelangeli, suo naturale esecutore ed ora imprevedibile carnefice, mutilandosi di un pezzo per volta. In pratica l’esecuzione (nel suo duplice termine, mai come stavolta) procede per progressive sottrazioni che denaturano la struttura armonica del brano “fino al colpo di grazia finale della cadenza sul tritono (Re- Sol#)” (Chiriacò, op. cit.), l’intervallo demoniaco cui soccombe l’armonizzazione classica bachiana. Così il “corporativismo orchestrale” ne esce decapitato, e l’ironia sta nel fatto che si è tagliato la testa da solo! Legato a questo esperimento è il brano seguente, Giro, giro, tondo, che investiga l’ultima alternativa, il potere ai bambini, unici in grado di dare un futuro differente alla società con la loro creatività libera da preconcetti seppur carica di una naturale, non premeditata “violenza”: “Il gioco rivoluzionario dei musicisti prende inizio da questo punto: il bambino si ribella al padre- maestro, ne polverizza gli insegnamenti e introduce il demoniaco intervallo nella composizione paterna, con l’irriverenza indomabile dell’innocente fanciullo che scarabocchia un paio di mustacchi sotto il naso della Gioconda. Giro, giro, tondo, proseguendo nell’esplorazione di questa terza utopia, approfondisce l’argomento legato al potere della fantasia e illustra la carica distruttiva del gioco. Il tipico passatempo infantile, delimitando il mondo con l’accerchiamento, “domina, controlla, soggioga e stritola” la realtà” (Chiriacò, op. cit.) La musica è splendida e senza tempo, con i vocalizzi iniziali di Stratos che lasciano spazio ad una trascinante ritmica di piano, basso e batteria su cui sale in cattedra ancora Demetrio, con un cantato vibrante e di sicuro impatto. La libertà ha comunque un prezzo, ed è tanto bella quanto difficile: questo il senso di Caos- Parte Seconda, brano vicino all’estetica dell’happening cageano, nato proprio da un aneddoto che il compositore amava raccontare, la storia di alcuni musicisti free desiderosi di sperimentare ancora cui egli suggerì, un bel giorno, di tentare di suonare senza ascoltarsi gli uni con gli altri. L’idea degli Area è questa: quattro stati di “banalità emozionale” scritti su bigliettini, uniti ad altri biglietti recanti la dicitura silenzio (per un totale di trentuno foglietti), estratti a sorte in numero di sei per ogni musicista. Il rapporto si rovescia rispetto a Caos I, happening provato dal vivo e basato su una sostanziale “condivisione” del mezzo musica, con due cavi collegati al synth e passati tra il pubblico che tenendosi per mano cambiava l’impedenza dello strumento e dunque il suo suono (col risultato che ogni diverso pubblico aveva la propria, personale, irripetibile musica); qui si è soli e separati dagli altri, vasi non comunicanti. Il senso è politico, rompere gli schemi che intrappolano anche l’improvvisazione, sempre più inquadrata e sempre meno libera, “liberarsi” effettivamente, lasciando esplodere il suono ed il rumore in tutta la loro violenza e forza “creatrice”, e quindi “artistica” nel senso più pieno del termine. Perché in fondo Maledetti, come anche il titolo sembra suggerire, parla di questo, del rapporto tra Arte e Vita. L’idea alla base di Caos II è in opposizione radicale con la società del dominio e della razionalità tecnologica, sempre più corporativa; annulla la distanza fra Arte e Vita abolendone infine le differenze, facendo della Vita il luogo della forza creatrice. La grande Arte si oppone allo status quo indicando l’alternativa che, sola, può consentire una vita piena: qui è essa stessa l’alternativa, in qualche modo, la possibilità di un cambiamento positivo, l’orizzonte verso cui convergere. Può non interessare, o sembrare “intellettualistico”, ma questo discorso costituisce un approdo davvero importante per gli Area e per la loro musica, quasi quanto lo sarebbe per la società intera, qualora riuscisse a pensare questo pensiero, difficile almeno quanto intrigante, pericoloso quanto salvifico, perché, come voleva Holderlin, “laddove aumenta il pericolo, cresce anche ciò che salva”.

Riferimenti bibliografici e teorici: Gianpaolo Chiriacò, "Area. Musica e Rivoluzione", Stampa Alternativa, 2005; Domenico Coduto, "Il Libro degli Area", Auditorium Edizioni n. 35, 2005.

Approfondimenti: innanzitutto, per chi fosse interessato a leggere le note di copertina, i testi ed i credits del disco, segnalo la pagina dedicata a Maledetti sul sito del Patrizio Fariselli project. Per quanto riguarda invece le recensioni, nel segnalo alcune tratte da Debaser (qui e qui), dal sito TrueMetal.it (qui) e dal sito ilCibicida.com (qui). Purtroppo, come avrete notato, i video postati nella recensione per Scum e Giro, Giro, Tondo sono analoghi, una sorta di "medley": non si è trovato di meglio. Buona lettura, buon ascolto e buona visione!

14 Risposte a “Area, "Maledetti (Maudits)" (1976)”

  1. neanche il tempo di trascorrere ventiquattro ore dopo che hanno ritirato la proposta di legge che poteva far chiudere i nostri blog, eccone una nuova. Ne hanno proposta una molto simile ieri e ne ho scritto un piccolo post sul mio blog. http://melina2811.blogspot.com

  2. Un bel post articolato, corredato di riferimenti precisi e citazioni. Complimenti.

    P.S. Personalmente non parlerei di “decapitazione” circa la mancanza di Capiozzo alla batteria, almeno sotto il punto di vista tecnico. Walter Calloni è sicuramente superiore .

  3. Ciao Hias, grande post, come al solito… questa volta sei riuscito da una grande opera musicale a ricontestualizzare tutta un’epoca, sia dal punto di vista sociale che artistico ed ideologico. Come disse Frank Zappa, soltanto deviando dalla norma è possibile il progresso, ed io mi domando se mai nascerà un gruppo d’avanguardia al pari degli Area…

    Buona Settimana

    Ciao

  4. @PierreLouis: Ciao, innanzitutto benvenuto su questo blog! Ti ringrazio ovviamente molto per i complimenti, mi fa piacere che questo chilometrico post sia piaciuto… Sicuramente Calloni è stato ed è un grande batterista, ma personalmente, anche sotto il punto di vista tecnico, preferisco Capiozzo, che comunque, tecnicamente, non era affatto male… sai, ho usato il termine “decapitazione” perchè in fondo il drumming di Capiozzo è parte integrante ed inconfondibile del sound Area. A presto, torna a trovarmi! 🙂

    @Fahren451heit: ti ringrazio di cuore per i complimenti (sto letteralmente arrossendo) e sono molto molto contento che il post ti sia piaciuto! In effetti, chissà se nascerà mai un gruppo d’avanguardia che sappia spingersi tanto oltre come hanno fatto gli Area… restiamo in attesa, per adesso.

    Ciao, buona settimana anche a te! 🙂

  5. Carissimo,

    E’ per me un vero piacere incontrarti. Premesso che mi piace molto il sound della Slingerland di Capiozzo nel bellissimo Album “Tic & tac”, dico questo: Capiozzo, come moltissimi, predilige la “traditional grip che”, come ben saprai, è un’impugnatura delle bacchette di derivazione bandistica. In pratica essa permette di suonare un tamburo in piedi. Il grado di angolazione è assai diveso! In posizione seduta (quella usata dalla maggior parte dei batteristi) quella posizione è sicuramente una forzatura. Ora, tu mi dirai che Steve Gad, DAve Weckl e tantissimi batteristi (soprattutto nell’ambito jazzistico) usano quella posizione. Verissimo. Ma ciò non cambia di una virgola il mio appunto. Inoltre, i migliori batteristi usano diversi tipi di impugnatura. Nelle rullate il batterista tradizionale sfrutterà principalmente l’effetto rimbalzo per realizzare la tradizionale rullata. Prova a fare una rullata con una mano sola e mi dirai!

    (Ascolta Dennis Chambers, o Billy Cobham)

    Ciao.

  6. Sempre in riferimento alla “decapitazione” di Capiozzo nel disco. E’ vero quello che dici soprattutto nei gruppi Rock, dove l’elemento soggettivo è quasi imprescindibile nel sound. Tuttavia, mi sono permesso di avanzare questa piccola critica sol perchè in ambito jazz la novità (sostituzione di elementi con altri) è senza dubbio motivo di arricchimento per qualsiasi gruppo.

    Scusa per il commento alquanto lungo.

    Ciao.

  7. Ciao! Beh, sì, anch’io volevo sottolineare il grande arricchimento che ha portato agli Area la presenza di numerosi musicisti provenienti da esperienze differenti; personalmente (e la mia insignificante storia musicale lo dimostra, anche se mi vergogno come un cane a definirla “storia”… eheheh!) credo che dal ricambio, dall’incontro con persone sempre nuove non possano che nascere buone cose, quindi con quell’aggettivo “decapitazione” non intendevo certamente svalutare questo genere di ragionamento. Ho usato il termine, senz’altro forte, solo per dare l’idea della perdita subita dalla band, perchè poi non dimentichiamo che insieme con Capiozzo aveva abbandonato il gruppo anche uno come Tavolazzi, che è uno che sostituisci male ancora oggi, e che nelle esibizioni dal vivo (ho avuto la fortuna di assistere ad una di queste) fa ancora paura, in senso buono, ovviamente: credo però anche che la risposta della band non potesse essere migliore, avendo privilegiato l’apertura verso l’esterno e l’ingresso di elementi tutti più che validi e tutti in grado di portare qualcosa di nuovo, un passo avanti ulteriore che ha reso l’esperienza del “gruppo aperto” quanto mai importante. Sulle questioni più “strettamente” tecniche non entro, anche perchè sono un bassista e non un batterista… eheheh! Comunque non fatico a darti ragione quando dici che un musicista dovrebbe essere in grado di “usare” la tecnica dipendentemente da ciò che deve fare, e quindi che dovrebbe avere una certa elasticità. Rinnovo il mio parere personale sul drumming di Capiozzo, che a dir poco adoro soprattutto perchè così ricco di inflessioni insolite, certamente jazzistiche ma anche provenienti dalla musica africana, tradizionale, insomma, elementi in larga parte estranei all’universo rock, e che rendono a mio avviso l’esperienza di quel sound del tutto indimenticabile. Sarò un pò “frescone”, ma io del sound di Capiozzo mi sono innamorato sin dalla prima volta, e fatico ad immaginare che una tale “ricchezza”, come quella da lui espressa al suo strumento, potesse sussistere senza adeguate basi tecniche: probabilmente è un giudizio soggettivo, quindi conta poco, ma tant’è. Questo, fermo restando che concordo con te per il resto, spero si sia capito.

    A presto, spero tornerai a trovarmi spesso, è un piacere avere qualcuno con cui scambiare idee sulla musica… e anche su tutto il resto, perchè no!

    Ciao, grazie! 🙂

  8. Carissimo,

    Ognuno di noi ha la sua “storia” , con tutti i limiti (molti) e le eccellenze (poche) del caso. Conosco persone preparatissime in ambito musicale ma, per un motivo o un altro, hanno intrapreso strade diverse. Persone che potrebbero suonare come Walter Calloni, ma fanno un altro mestiere. Nemmeno io sono un batterista. Affermare il contrario equivarrebbe ad offendere tutta la categoria. Tuttavia, quando si suona in gruppo, si osserva si ascolta l’altro, si “assorbe”: Anche per suonare il basso vi sono varie tecniche… Conoscerle serve…Non credi?

  9. Beh, certo che serve, non posso che concordare, mi sembra ovvio. Non credo che Capiozzo non le conoscesse, comunque… ;P

    In quanto alla “storia” di ognuno di noi, ovvio che hai ragione: ho definito la mia “insignificante” solo perchè non mi va di prendermi troppo sul serio, o darmi un’importanza spropositata. Sono uno che “prova” a fare delle cose, ecco.

    Anche tu musicista, almeno nel tempo libero, come me?

  10. Bravo Hias, ottimo lavoro.

    Due noterelle: sulla faccenda Capiozzo / Calloni, dico la mia, avendoli conosciuti e frequentati entrambi.

    Walter era sicuramente più tecnico, la faccenda dell’impugnatura delle bacchette ecc. è verissima.

    Però Giulio, di formazione più “contadina”, non saprei come altro dire, avendo imparato il mestiere nelle balere romagnole (chi si ricorda della BoBo’s Band ?), a mio parere superava i suoi limiti tecnici con una “cattiveria” e una “creatività” che Walter non aveva allo stesso livello.

    Due grandi batteristi, comunque.

    Seconda noterella, a proposito di batteristi: quando venne effettuata la registrazione di quello che fu chiamato poi “Event 76” io ero sul palco proprio dietro a Paul Lytton, e ti garantisco che il suo modo di impugnare le bacchette era decisamente una “terza via”: senza contare viti e bulloni che schizzavano pericolosamente attorno, non so quante ne avrà schivate il buon Steve Lacy, in compenso io ricordo di averne beccate tra gambe e “panza” almeno un paio…

  11. @bertop: grazie mille per i complimenti, e anche per le “due noterelle”, è sempre un piacere sentir parlare di queste cose da qualcuno che è stato testimone diretto. Io l’avevo già scritto, non sono un esperto dal punto di vista “tecnico”, quindi davo ragione anche a PierreLouis, seguivo soltanto le famose “ragioni del cuore”, visto che il modo di suonare che aveva Capiozzo lo trovo ineguagliabile… Bello l’aneddoto su “Event ’76”, tra l’altro ne scriverò qualcosa presto, per proseguire con questo “excursus” sulla musica degli Area… ogni contributo è ben accetto! 😉

    Grazie, ciao!

  12. Anche se non faccio testo dopo tante minchiate non posso che non dire la mia…impostazione ” contadina”.(Ricordo che era l’allievo prediletto di Kenny Clarke)..Sinistra tradizionale da marcetta(aveva un fingher control spaventoso e dio solo sa cosa poteva fare con quella mano)…tecnicamente cosa? RAgazzi a parte il fatto che io paragoni non si fanno ma non confondiamo le cose…TEcnicamente non ci sono storie( non dico con calloni che per altro è un amico)batterista sopra le righe che ha inventato un modo di suonare e soprattutto sono altre le cose importanti: Suono( su tic tac è una gretsch e non sling come è scritto, ma ascolta 1978 gli dei se ne vanno( mi ricordo un episodio con mio padre e Dennis Chamber che erano ottimi amici e un fan che metteva dischi gli mise “interno con figure e luci”, non ti racconto come è rimasto basito Dennis calcolando il livello musicale di Giulio e il periodo)…Idea musicale: quando ascoltate un gruppo come AREA o altri non pensate solo al singolo, bisogna capire che la miscela chimica se si toglie un solo elemento cambia e vi assicuro che il in questo caso è un tasto molto delicato ..un solo senza la parte ritmica non crescerebbe mai se non c’è scambio di idee, stimolarsi e cimentarsi in territori sconosciuti ( ancora oggi) …bisogna ascoltare , capire e apprezzare senza buttare commenti soprattutto quando non si sa un cazzo in materia e non si è mai visto dal vivo ( anche se dall’audio si capirebbe lo stesso)…Ciao e senza offesa per nessuno…

  13. Ciao! Beh… non ho ben capito con chi ce l’hai, da parte mia posso solo dire di non aver mai messo in dubbio le doti di Capiozzo, e anzi, di aver ben sottolineato quello che tu stesso dici a proposito dell’alchimia tra i protagonisti dell’esperienza Area, e cioè che in soldoni “tolto un elemento, rotta l’armonia”. Personalmente non sono un batterista ma un bassista, di questioni tecniche me ne interesso il giusto ma il tuo commento mi invita ad approfondire e pertanto non posso che ringraziarti.

    Ripassa pure quando vuoi, qui tutti sono i benvenuti! 😉

    Ciao!

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