Bassi e bassisti che mi hanno svoltato il 2020

Quest’anno, come avrete notato ieri, ho bypassato la consueta lista dei Dischi dell’autostrada, anche perché della maggior parte di questi vi avevo già parlato ampiamente nei molti post del 2020, tra Round-Up mensili, recensioni di album storici e quant’altro; accantonata pure la lista dei migliori live dell’anno (per ovvie ragioni), ho deciso tuttavia di deliziarvi (…) con una piccola raccolta delle 10 performance di bassisti che mi hanno migliorato questo inquietante 2020, e che mi hanno spinto a crescere (come musicista), a migliorarmi fino a decidere di rimettermi in gioco (ricominciando a studiare). Quindi, di seguito vi elenco (in ordine rigorosissimamente cronologico!!) dieci tra brani, performance, musicisti e soprattutto persone che mi hanno accompagnato in qualche modo nel 2020 e che soprattutto mi sono state di ispirazione, spingendomi a cambiare (in meglio, si spera!).

Thundercat che fa un tiny desk concert

Questo è letteralmente il video che mi ha convinto a ricominciare a studiare il mio strumento, e a comprarmi un basso semi-hollow boby!! L’arpeggio di Lava Lamp (impossibile da replicare sul mio quattro corde, mannaggia a me!) è stata probabilmente una delle cose su cui mi sono scornato di più all’inizio di questo 2020, tipo tutte le mattine subito dopo colazione e prima di andare a lavoro… e così, la prima volta che ho messo le mani sull’Epiphone Jack Casady Metallic Gold, lo scorso 27 Gennaio da Niccolai, il primissimo giro che ho tentato di suonare è stato proprio questo!!

Sebastián Tozzola che fa cantare il suo Fender Jazz Fretless

Avete presentate quando ascoltate qualcosa che vi fa restare a bocca aperta? Ecco, questo è quello che è successo a me la prima volta che ho sentito suonare Sebastián, ovvero guardando questo video. Dovete sapere che io ho un basso fretless da tipo oltre 13 anni, uno strumento che adoro e al quale sono affezionatissimo perché è il primo strumento che mi sono comprato da solo, con un anno di risparmi messi da parte facendo ripetizioni: ecco, questo strumento che amo non ha mai avuto nemmeno lontanamente il suono che sentite in questo video. Certo, lo so, il suono è nelle mani del musicista (o nel collo, se sei Joe Dart), e Sebastián è un bassista grandioso (cosa che io senz’altro non sono): tuttavia un basso fretless che suona così, liscio e naturale, senza alcun effetto in catena, è il sogno di tutta la mia vita. Nell’attesa di realizzarlo (a breve potrebbe accadere qualcosa), questo è il video grazie al quale mi sono innamorato dello stile di Sebastián: godetevelo anche voi, che fa bene all’anima!

Joe Dart a tutto funk

Potevo sceglierne diverse, perché quello per il buon Joe Dart è stato probabilmente il colpo di fulmine musicale del mio 2020: scelgo questa perché il pezzo è fantastico di per sé (e vabbè), Antwaun Stanley ha una voce che levati, e Joe Dart… beh, non fa rimpiangere la mancanza di tutti gli altri strumentisti (e soprattutto non si può dire che sia uno che non ci mette la faccia, e il collo in particolare). Ascoltatelo con attenzione, c’è tutto: Joe ha groove, non perde un colpo e ci mette dentro d’ogni bene, come si dice dalle mie parti. Per citare come al solito un commento moderatissimo di quelli che abbondano sotto i video dei beneamati Vulfpeck, “Joe Dart does not play bass. He is bass.”

Vi ci metto anche questa perché (abbigliamento discutibile a parte) è un’autentica masterclass su come si prende un’idea ritmica e la si sviluppa per un solo.

Il mio amico Paulo Antônio e il suo Epiphone Jack Casady

Quando ero sul punto di comprarmi il mio Jack Casady, ho cominciato a cercare foto/video sui vari social per farmi un’idea più precisa delle possibilità dello strumento (ora che ce l’ho in casa da sei mesi, posso riassumerle con una parola: infinite). Cercando su Instagram, capitai sul profilo di Paulo Antônio, bassista brasiliano già nei Maquina Blues, e feci una di quelle cose che faccio spesso con i non italiani: gli ho scritto per saperne di più sullo strumento. Paulo ha ovviamente risposto, e ne è nato un fitto dialogo che mi onora ancora molto. Se cercate il suo canale Instagram, troverete tanti bei video nei quali Paulo suona un sacco di pezzi fantastici (non solo con il Jack Casady o uno splendido Fender Precision, ma anche con un Bass Synth Novation): io vi lascio questo perché è un brano originale, registrato nel corso del 2019, perché c’è proprio il Jack Casady e perché mi piace assai.

Vabbè, vi lascio anche questa qui che è bellissima:

Rocco Palladino che fa onore al suo nome e pure al grande Stanley Clarke

Yesterday Princess è un classicone che viene dal secondo album dell’immenso Stanley Clarke (un altro pezzo di storia), e questo è il primo video in assoluto che io abbia visto in vita mia con Yussef Dayes e Rocco Palladino (non li avevo mai sentiti nominare, per essere più precisi). Ovviamente il nome Palladino rievoca un altro bel pezzo di storia del basso elettrico, tuttavia non è del padre che siamo qui a parlare, ma del figlio: che, probabilmente per ereditarietà, suona un fretless (uno splendido Carvin AC40, acustico), e lo suona da dieci. Dopo aver ascoltato questa versione del brano, ho passato lunghi pomeriggi sulla mia poltrona IKEA, durante il lockdown di primavera, a suonicchiare questo giro e soprattutto a sognare di avere un tono di fretless anche solo comparabile a questo…

Marcus Miller con un basso fretless tra le manone

Ovviamente Marcus Miller non ha bisogno di presentazioni, ma quello che adoro di questa performance è proprio il fatto che Miller qui suona un fretless (ok, lo so, la mia è una piccola ossessione), e ha un sound letteralmente GIGANTESCO (scusate, ma le maiuscole sono l’unico modo per darvi un’idea dell’enormità della cosa). Poi vabbé, Tutu è un classicone e la Metropole Orkest è sinonimo di qualità, quindi schiacciate play e di corsa!

Micheal League perché è Micheal League

Ok, anche qui ne potevo scegliere centomila però questo video mi piace assai anche se non si tratta di una performance musicale ma più di una digressione tecnico/pubblicitaria… perché beh, è sempre un piacere ascoltare Michael League che racconta cose sul suo modo di suonare, sui suoi gusti, su come lui userebbe/non userebbe l’effettistica che ha a disposizione, sulla differenza tra avere groove e avere tempo, eccetera eccetera eccetera…

Ok, ve ne metto anche uno più musicale: qui c’è il buon Michael che vi spiega i poliritmi.

Paul Chambers perché il suo nome è sinonimo di Jazz

Anche qui, fiumi di parole da sprecare non ce ne sono (e comunque sarebbero insufficienti): Paul Chambers è quello che sentite in Kind of Blue di Miles, in Giant Steps di Coltrane e prima ancora in Tenor Madness di Sonny Rollins, e sì, in pratica è il contrabbassista jazz moderno, quello che col suo stile, la sua intonazione, il suo tempo perfetto ha plasmato tutti i contrabbassisti e bassisti jazz a venire. Qui c’è solo da tacere e studiare… e da ringraziare il mio inarrivabile Maestro, Daniele Nesi, per avermi avviato a questa meraviglia e alle prossime due.

Il solo di Eddie Gomez su You Must Believe in Spring

Qui siamo sempre al cospetto dei grandissimi: insomma, Bill Evans. “If I am going to be sitting here playing roots, fifths and full voicings, the bass is relegated to a time machine”, soleva dire il buon Bill: e quando dalla tua hai dei bassisti come Eddie Gomez e il grande Scott LaFaro, sarebbe un autentico peccato. Ecco, se volete un’idea di cosa sia l’interplay, questa è la musica da ascoltare: tanto è delicato e melodico il solo di Gomez, pieno di trasporto, quanto è incalzante, impulsivo e denso l’accompagnamento che il contrabbassista imbastisce per il solo di Evans. Da far ascoltare nelle scuole per manifesta bellezza.

Scott LaFaro che suona Autumn Leaves come a me non riuscirà mai

E vabbè, direte voi: e lo dico anch’io! Di Autumn Leaves (il brano che sto studiando nelle ultime settimane con il mio insegnante di basso, ma preferisco dire di Musica, il già citato Daniele Nesi) esistono un’infinità di versioni, eppure questa è quella che mi lascia sempre più a bocca aperta: di nuovo, potere dell’interplay. C’è qualcosa di enigmatico, magico e realmente affascinante nel dialogo che lo sfortunato e grandissimo Scott LaFaro conduce con Bill Evans: dal modo in cui lo incalza durante la prima esposizione del tema all’autentico botta e risposta di quello che sembra a tutti gli effetti un doppio solo, che è una cosa che a me pare incredibilmente moderna, fino al modo in cui torna ad arrampicarsi sull’accompagnamento incalzante di Paul Motian sottolineando le figurazioni del piano. Boh, di nuovo: da far ascoltare nelle scuole di ogni ordine e grado per abituare la gente alla Bellezza con la maiuscola.

E con questo, si chiudono i post “riepilogativi” dell’anno appena concluso, con la speranza di avervi incuriosito o comunque spinto a recuperare qualcosa che vi foste persi o non aveste mai sentito nominare. Restate connessi, perché in questo 2021 molte cose bollono nel pentolone di Arcipelaghi

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