"Ghiaccio-Nove", K. Vonnegut

“Che speranze ci sono per l’umanità,” pensai, “finché esistono uomini come Felix Hoenikker che danno un giocattolo come il ghiaccio-nove a dei figli miopi più o meno come quasi tutti gli uomini e le donne del mondo?” E mi ricordai del Quattordicesimo libro di Bokonon che avevo letto da cima a fondo la sera prima. Il Quattordicesimo libro si intitola: “Che speranze può nutrire un uomo ragionevole per l’umanità su questa terra, tenendo conto dell’esperienza dell’ultimo milione di anni?” Non ci vuole molto a leggere il Quattordicesimo libro. Consiste in una parola e in un punto. Eccoli: “Nessuna”.

La storia di Ghiaccio-Nove comincia con un libro, intitolato provvisoriamente “Il giorno in cui il mondo finì”. Chi redige questo testo, un giornalista alquanto nichilista, nonché narratore in prima persona di tutti i fatti, racconta di aver sentito il forte desiderio di raccontare cosa stessero facendo alcuni importanti personaggi americani nel giorno e nel momento stesso in cui veniva sganciata la prima bomba atomica sul Giappone. La scelta di questi “americani campione” è quasi obbligata, e si tratta del defunto premio nobel dottor Felix Hoenikker, scienziato immaginario e immaginario padre della bomba, e dei suoi tre strani figli, Angela, Frank e Newton, una famiglia tutt’altro che… comune. Sulla scia delle testimonianze, si spalanca di fronte al nostro giornalista una realtà ancora più incredibile, nella quale uno scienziato del tutto disinteressato alle conseguenze delle proprie gesta può creare, su richiesta di un marine preoccupato delle difficoltà dei suoi sottoposti a passare attraverso il fango, un’arma letale al confronto della quale ogni altra impallidisce, e che tutti quanti, senza eccezione, cercheranno in ogni modo di avere per sé. Questo il lascito del defunto Felix Hoenikker all’umanità, un’arma in grado di annientarla, il ghiaccio-nove, una forma di ghiaccio stabile a temperatura ambiente e che non si scioglie fin oltre i cento gradi centigradi, capace, con una banale reazione a catena, di “congelare” le scorte d’acqua dell’intero pianeta. Di queste vicende narra il testo, il tutto visto alla luce dei precetti della religione bokononista, nata sull’isola di San Lorenzo (isola dominata dalla violenta dittatura di “Papa” Monzano), religione immaginaria e scopertamente menzognera (uno dei suoi presupposti è che tutto ciò che è contenuto nei suoi libri sacri sia una totale menzogna, e che il lettore debba prenderne atto), rassegnata quanto inutilmente complessa, carica di termini ed allusioni eppure del tutto basata sulle panzane più assurde…
Vonnegut costruisce, con questo suo Ghiaccio-Nove (nell’originale "Cat’s Cradle", la “cesta del gatto”, una particolare figura che si può realizzare intrecciando dei fili tra le dita delle mani, uno dei giochi preferiti del dottor Hoenikker, il quale aveva un rapporto molto particolare col tema del “gioco”) un perfetto mix di fantascienza “intelligente” e satira sociale, sottoponendo ad una corrosiva critica carica della sua innata, feroce ironia i grandi temi della guerra, della scienza, della religione, del potere e della stupidità umana. Come si riporta sulle note di copertina, Ghiaccio-Nove è un’opera che “contesta la società con la parodia”, un agile e profondo ritratto di ansie, paure, inquietudini del secolo appena trascorso che però non mancano di riverberarsi anche nel nostro: la religione ed il potere politico come forme di controllo delle masse in equilibrio sempre apparentemente precario ma in realtà totalmente pianificato tra loro (esemplare la dittatura anti-bokononista di “Papa” Monzano, in realtà fervente praticante bokononista), la guerra come specchio della follia e della miopia dell’uomo (tema quanto mai attuale), il progresso che, in mani sbagliate, può portare ben lontani da un reale miglioramento delle condizioni di vita degli uomini (il delirio scientista di Hoenikker, uomo del tutto disinteressato a tutto ciò che non sia scienza, numero e calcolo, che partorisce l’arma definitiva, il ghiaccio-nove, appunto, abbandonandola, complice una morte improvvisa, nelle mani di tre figli “complessati” dal padre e dalla loro diversità, che il mondo non manca mai di fargli notare, a volte fisica, come per il nanismo di Newton, a volte mentale, come nel caso dei complessi di inferiorità di Frank). Ghiaccio-Nove affronta tutti questi temi fondamentali con l’arma dell’ironia, strappando spesso sorrisi, per quanto amari, ed ha spinto Graham Green a definire questo testo, al momento della sua pubblicazione, “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più bravo scrittore vivente”. Certamente, Ghiaccio-Nove è uno di quei libri che sarebbe bene leggere, dal momento che ci offre una visione “critica” della società della quale oggi si sente tanto la mancanza.

“Oggi siamo qui riuniti, amici,” disse, “per onorare i Cento Martiri Della Democrazia, bambini morti, tutti morti, uccisi in guerra. È tradizione, in giorni come questi, chiamare questi bambini uomini. Io non riesco a chiamarli uomini per un semplice motivo: che nella stessa guerra in cui perirono i Cento Martiri Della Democrazia, perì anche mio figlio. La mia anima si ostina a piangerlo non come un uomo, ma come un bambino. Con questo non voglio dire che i bambini morti in guerra non muoiano da uomini, se devono morire. A loro eterno onore e a nostra eterna vergogna, essi muoiono da uomini, rendendo così possibile la virile esultanza delle feste patriottiche. Ma quegli eroi sono e restano bambini assassinati. Pertanto, se dobbiamo porgere i nostri sinceri omaggi ai cento bambini caduti di San Lorenzo, penso che faremmo meglio a farlo impiegando questo giorno a disprezzare ciò che li ha uccisi; vale a dire la stupidità e la cattiveria del genere umano. Forse, quando commemoriamo la guerra, dovremmo toglierci i vestiti e dipingerci di blu e camminare per tutto il giorno a quattro zampe grufolando come maiali. Questo sarebbe indubbiamente più appropriato di qualsiasi nobile discorso e sventolio di bandiere e presentat’arm con fucili ben oliati.”[…] “Ma se la giornata di oggi è davvero in onore di cento bambini uccisi in guerra,” disse, “siamo sicuri che oggi sia il giorno adatto ad un’eccitante parata? La risposta è sì, ma a una condizione: che noi, i celebranti, ci impegniamo consapevolmente e instancabilmente a ridurre la stupidità e la cattiveria tanto nostra che di tutto il genere umano.”[…] “La corona che ho portato è un dono del popolo di un paese al popolo di un altro paese. Non importa quali paesi. Pensate al popolo… e ai bambini uccisi in guerra… e a qualsiasi paese. Pensate alla pace. Pensate all’amore fraterno. Pensate all’abbondanza. Pensate a che paradiso sarebbe questo mondo se gli uomini fossero saggi e gentili.”

4 Risposte a “"Ghiaccio-Nove", K. Vonnegut”

  1. Mi hai fatto venire voglia di leggere “ghiaccio nove”. Difficilmente però troverò il tempo di farlo. Grazie comunque per le brevi ma significative anticipazioni che mi hai fornito.

    Ciao

  2. Ciao Hias, ottimo post, come sempre. Mi sembra un libro interessantissimo, e mi fai davvero venir voglia di leggerlo e di riflettere.

    la “cesta del gatto” mi ricorda una canzone di Harry Chapin, Cat’s in the Cradle…

    A presto

  3. @paoloborrello: Spero riuscirai a trovare il tempo, è un libro che merita sul serio! Ciaoo!

    @Fahren451heit: grazie per i complimenti, son contento che il post ti sia sembrato interessante, è sempre un piacere sapere di aver scritto qualcosa che poi altri apprezzano. Mi sento davvero di consigliare anche a te questo libro, è agile, scorrevole e incredibilmente “corrosivo”… eheh! Una gioia per il cervello, credimi.

    Ciao, grazie ancora!

    @ClaudioCasaz: ciao Claudio, vedo che anche tu hai apprezzato questo bel libro di Vonnegut… 😉

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