Il viaggio, la memoria, la parola, l’amore: “Paris, Texas”, di Wim Wenders (1984)


Paris,Texas_posterTra il 1977 e il 1982, forte del successo de
L’Amico Americano, Wim Wenders compie il grande salto: con il supporto di Francis Ford Coppola, inizia a girare il suo primo film completamente prodotto negli States. Il film in questione, Hammett, è ispirato a un episodio realmente accaduto nella vita del detective e scrittore di gialli Dashiell Hammett: Wenders lavora a lungo alla sceneggiatura, e inizia le riprese desideroso di riuscire finalmente a realizzare il proprio sogno di girare un film in America. Tuttavia, le cose andranno molto diversamente: le logiche ferree degli studios impediranno a Wenders di girare sullo sfondo di quei passaggi mitizzati dell’adorato cinema americano del passato, costringendolo a lavorare praticamente solo in studio; Coppola non lascerà mai l’iniziativa al giovane autore europeo, pretendendo di avere l’ultima parola sul cast del film, imponendo i suoi attori per le varie parti, e anche su sceneggiatura e montaggio. Il film verrà riscritto più volte, e addirittura la versione definitiva montata da Wenders verrà smantellata, e il regista tedesco costretto a riscrivere e girare da capo il finale della sua storia, per venire incontro alle richieste di Coppola. Una situazione certo non ideale, che spinge Wenders alla frattura: la sua anima di cineasta, da sempre scissa tra una sensibilità autoriale tipicamente europea e la fascinazione per il racconto e le storie, per quel cinema narrativo che è da sempre un marchio di fabbrica di Hollywood e della settima arte statunitense, uscirà provata dalle lunghissima gestazione di Hammett, spingendolo lontano dal set per un po’. Non tutto il male viene per nuocere, comunque: uno degli scontri più accesi tra Wenders e Coppola riguardava, come accennato, il cast del film. Wenders avrebbe voluto scritturare Sam Shepard, noto commediografo e autore teatrale (premio Pulitzer nel 1979 per la sua pièce Buried Child) oltreché stella del cinema (forse il suo nome vi dice poco, ma sono certo che, se cominciassi a citare qualche titolo della sua lunghissima filmografia di attore, vi tornerebbe subito in mente il suo volto: da I Giorni del Cielo di Malick allo splendido The Right Stuff (tristemente ribattezzato Uomini Veri nel nostro paese) di Kaufman, da Follia d’amore di Altman, di cui fu anche sceneggiatore, a La Promessa di Sean Penn; Shepard aveva inoltre sceneggiato Zabriskie Point di Antonioni, uno degli autori più amati da Wenders, e col quale avrebbe collaborato anni dopo), conosciuto proprio sul set di Hammett, mentre lavoravano a pochi studi di distanza, ma Coppola non mollò mai la presa e l’affare non si fece. Tuttavia, Wenders e Shepard rimasero in contatto, con la voglia di fare qualcosa insieme quanto prima: in particolare, Shepard fece dono al cineasta tedesco di una copia della sua prima raccolta di racconti, ancora non pubblicata, provvisoriamente intitolata Transfiction. Quel testo avrebbe trovato pubblicazione qualche anno più tardi, con il titolo di Motel Chronicles (in Italia lo avrebbe pubblicato Feltrinelli: purtroppo, oggi è fuori catalogo): e fu, di fatto, il nucleo originario dal quale scaturì l’idea di un film che Wenders e Shepard avrebbero dovuto girare insieme. La prima versione del copione aveva per protagonista il manoscritto stesso: Wenders la inviò a Shepard, a cui tuttavia non piacque. Il drammaturgo americano si impegnò a quel punto in prima persona nella scrittura, con parecchio entusiasmo: ben presto, i due si trovarono a dover operare per sottrazione, cercando di mantenere l’ispirazione originaria dandole un senso di coerenza e unità. Soprattutto, mancava un titolo: leggenda vuole che Wenders abbia scelto Paris, Texas dopo una notte insonne, passata a leggere un atlante stradale degli Stati Uniti (unica lettura disponibile nella camera d’albergo in cui si trovava). Wenders stilò un elenco delle città americane con nome europeo, e in particolare scoprì che negli USA si trovavano 21 Paris: la più popolosa era proprio Paris, Texas. Il caso si sposò alla perfezione con intenzioni e convinzioni personali degli autori: agli occhi di Wenders, Parigi era l’ideale epitome per il vecchio continente, quell’Europa da cui egli proveniva; e, per Shepard, il Texas era una specie di America in miniatura. I due fecero anche una piccola scommessa: partendo per dei sopralluoghi a Paris, Texas, Wenders volle scommettere che ci avrebbe trovato almeno una finta Tour Eiffel: perse la scommessa, ma trovò una delle fabbriche che producono le celeberrime zuppe Campbell.
Paris, Texas, dunque: un’opera fatta di contrasti fin dal suo titolo, affascinante ed evocativo.Paris,Texas_03 L’occasione, per Wenders, di lavorare davvero negli Stati Uniti, e non negli studios di Hollywood, com’era accaduto per Hammett: l’occasione di riprendere i suoi personaggi proprio sullo sfondo di quei luoghi mitici che egli sentiva avessero profondamente contribuito a formare la sua idea di cinema (lo stesso Wenders definì Paris, Texas “un atto d’amore per il paese che ha colonizzato il nostro incoscio”). Così Paris, Texas comincia con delle splendide riprese aeree del deserto a sud del Texas, così tante volte visto negli amati western americani: ma lo sguardo di Wenders riplasma quelle immagini e trasfigura l’aridità di quel paesaggio fatto di concrezioni rocciose, ostile e quasi da fine del mondo, in una rappresentazione dell’animo del suo personaggio principale, Travis Henderson (che ha la maschera dolente di Harry Dean Stanton), un uomo che ha vagato per anni da solo nel deserto, tra Texas e Messico, che sembra aver perso l’uso della parola e, soprattutto, l’interesse verso tutto ciò che è umano. Travis, che ha finito la sua piccola scorta d’acqua, ha un mancamento: viene soccorso e ricoverato in un piccolo ospedale gestito da un medico più interessato a fare la cresta sui malati che, di fatto, a guarirli. Travis non gli rende la vita facile: rifiuta di parlare e di mangiare, non dorme e non sembra affatto interessato a comunicare con alcuno. Il medico trova nel suo portafogli una serie di foto in bianco e nero, di quelle scattate nelle macchinette automatiche, che lo raffigurano insieme a una donna, bellissima e più giovane di lui, e a un bambino, e un biglietto da visita. Si tratta del biglietto del Paris,Texas_11fratello di Travis, Walt Henderson (interpretato da Dean Stockwell), che abita all’altro capo degli Stati Uniti, in California: un uomo perfettamente inserito nel tessuto sociale in cui vive, un imprenditore del settore della cartellonistica stradale. Walt vive a Hollywood con la moglie, Anne (Aurore Clément), e col figlioletto di Travis, il bambino delle fotografie, Hunter (inspiegabilmente rinominato Alex nella versione italiana del film, interpretato dal debuttante Hunter Carson, il cui padre, L. M. Kit Carson, avrebbe collaborato nel corso delle riprese alla stesura di una parte della sceneggiatura): Hunter è stato affidato a Walt e Anne da Jane, la donna della fotografia, la compagna di Travis, poco dopo la scomparsa di quest’ultimo e poco prima di far perdere anch’ella le proprie tracce. Walt parte immediatamente per il Texas, per recuperare il fratello di cui non ha notizie da quattro anni, e che ormai credeva morto: tuttavia, Travis è scappato dall’ospedale poco prima che Walt vi arrivasse. Vagando in auto per la desolazione del paesaggio di questa regione del Texas, Walt si imbatte casualmente nel fratello, che ha ripreso a camminare apparentemente diretto verso un qualche luogo. Lo convince a salire in macchina e a tornare a casa con lui, sebbene Travis sia chiuso in un mutismo ostinato che rende difficile qualsiasi contatto: tenterà ancora di fuggire, nonostante la pazienza dimostrata dal fratello, che lo recupererà, dopo la nuova fuga, mentre procede seguendo i binari in direzione nord. Convinto Travis a seguirlo una seconda volta, Walt tenta di parlare col fratello, per recuperare un rapporto: pian piano, Travis si apre e arriva anche a parlare. La prima parola che egli pronuncia è Paris: sostiene di voler andare a Parigi. Nel corso del viaggio di ritorno verso Hollywood, cui inizialmente Travis è piuttosto riluttante (ci sono anche alcuni sipariettiParis,Texas_12 divertenti, si pensi alla scena dell’aereo), i due fratelli cominciano, con difficoltà, a parlarsi: Travis racconta di aver acquistato un lotto di terra a Paris, Texas, ma non sa più ricordare il perché; Walt introduce, con delicatezza e preoccupazione, l’argomento di Hunter, il figlioletto di Travis e Jane, che vive con loro in California e non ha più visto il padre da 4 anni a questa parte, un periodo che corrisponde praticamente alla metà della sua vita (visto che il piccolo compirà a breve 8 anni). Il volto di Travis si incupisce non appena Walt tenta di indagare cosa sia accaduto in questi quattro anni, e il perché egli fosse scomparso nel deserto: solo alla fine del viaggio Travis ricorda il perché dell’acquisto di quel lotto di terreno. Tutto risale a una storia che loro padre amava raccontare circa l’incontro tra lui e la madre di Travis e Walt: egli soleva dire di aver incontrato la moglie a Parigi e, dopo una pausa che lasciasse il tempo all’ascoltatore di immaginare “quella” Parigi, aggiungeva “Texas”. Uno scherzo che il padre dei due trovava molto divertente, ma che per Travis è diventato maledettamente serio: la madre una volta gli rivelò che proprio a Paris, Texas, egli era stato concepito. Paris, Texas, quel luogo di così stridente contrasto, rappresenta il suo punto d’inizio, il posto fisico in cui egli ha cominciato ad essere. L’arrivo di Walt e Travis a Hollywood coincide con l’incontro tra il padre e il figlio: Hunter è un ragazzino biondissimo e molto sveglio, appassionatissimo di viaggi spaziali, che negli anni ha imparato a vivere con gli zii fino a considerarli Paris,Texas_09come i propri veri genitori (si rivolge infatti ad Anne e Walt con gli epiteti di mamma e papà). Il recupero di un rapporto tra padre e figlio è difficile e lento: Travis sa di aver deluso Hunter per essere scomparso per così tanto tempo, ma soprattutto teme di non aver niente di buono da offrirgli; e Hunter non riesce a stabilire un contatto con quell’uomo, un oggetto misterioso spuntato da un passato che il piccolo ricorda appena e che non sa come affrontare. A questo si aggiungono le preoccupazioni di Anne, che si è affezionata al piccolo e teme, non soltanto egoisticamente, che il ritorno di Travis possa allontanare Hunter da lei e Walt. Man mano il rapporto tra il padre e il figlio cresce, e i due cominciano ad accettarsi l’un l’altro: prima attraverso la proiezione di un vecchio super8 girato da Walt pochi mesi prima che Travis sparisse, durante una vacanza in Texas con Anne nella quale avevano raggiunto Travis, Jane (che assume finalmente un volto, quello della splendida Nastassja Kinski) e un piccolissimo Hunter nella loro casa al mare, pellicola che rappresenta l’ultimo ricordo che Hunter conserva della madre; poi quando il padre va a prendere il figlio a scuola e, dopo un primo tentativo fallimentare, riesce a coinvolgere il ragazzo in un buffo e tenero gioco nel quale i due imitano l’uno la camminata dell’altro dai due lati della strada. La fiducia di Hunter nel padre naturale cresce, e Travis capisce di dovere qualcosa a quel bambino: una famiglia, quel nucleo familiare che si è disintegrato anni prima nel silenzio e nelle incomprensioni. Travis scopre da Anne che ella ha parlato più volte, negli anni, con Jane, almeno fino a quando quest’ultima ha voluto interrompere le loro comunicazioni, e cheParis,Texas_06 proprio l’ex compagna ha lasciato il bambino a casa loro prima di sparire; da quel momento, l’unica flebile traccia di Jane consiste in un versamento che ella compie mensilmente su un conto corrente bancario che ha intestato al figlio, da un banca di Houston. Travis partorisce quindi l’idea di ritrovare Jane, e acconsente a portare con sé il bambino quando questi si dimostra risoluto a seguirlo: i due si mettono in viaggio un pomeriggio, dopo che Travis è andato a prendere Hunter all’uscita di scuola. La fuga getta nello sconforto Anne e Walt, che tuttavia vengono messi di fronte al fatto compiuto: Travis e Hunter sono già lontani quando quest’ultimo chiama a casa per tranquillizzare gli zii. Il viaggio consente a padre e figlio di conoscersi meglio e, una volta arrivati a Houston, i due organizzano uno scalcinato appostamento presso la banca dalla quale arrivano i versamenti sul conto corrente intestato ad Hunter, una sorta di inconsueta banca drive-in. Stanchi per il lungo viaggio, padre e figlio cadono addormentati ma Hunter si sveglia appena in tempo per riconoscere la madre in una delle auto in coda agli sportelli. Inizia quindi un inseguimento che conduce Travis e Hunter sul luogo di lavoro di Jane. Mentre il piccolo resta in auto, Travis entra in quell’anonimo palazzo e scopre che si tratta di un peep-show: Jane vi lavora offrendosi agli sguardi concupiscenti degli uomini e alle loro confessioni. Travis la riconosce dapprima mentre, di spalle, parla con il gestore del locale; poi, giunto alle cabine dalle quali si possono vedere le stanze e le loro occupanti, ottiene di parlare con Jane. Attraverso quel vetro Jane non può riconoscerlo, mentre egli può vedere lei. In preda alla gelosia, convinto che la donna si prostituisca e guadagni in quel modo i soldi che invia mensilmente al figlio, si allontana. Quella sera Travis lascia uscire nuovamente tutti i suoi fantasmi e si ubriaca; in preda allo sconforto, sta per rinunciare ai suoi propositi: tuttavia, Hunter lo convince a tornare a Houston. Travis lascia il bambino all’hotel Meridian, in centro città, e registra per lui un messaggio audio di commiato in cui gli spiega come egli debba nuovamente allontanarsi, dopo aver ricondotto sua madre da lui; poi torna al peep-show. Ottiene di parlare nuovamente con Jane, e le racconta una storia di amore distrutta da gelosia e risentimento, che scopriamo man mano essere la loro storia: Jane acquista questa consapevolezza insieme allo spettatore, e infine riconosce Travis. I ruoli si invertono, ella ottiene dall’uomo di vederlo in volto: Paris,Texas_02Jane spegne la luce nella stanza, e Travis volge verso di sé la lampada da tavolo dall’altro lato del vetro. Jane parla con Travis, come avrebbe voluto fare per tanto tempo dopo la loro turbolenta separazione, e infine, quando Travis gli dice che il figlio la sta aspettando all’hotel Meridian, si mette in viaggio. Vorrebbe da Travis la rassicurazione che anch’egli sarà lì, quando lei arriverà, ma non può ottenerla: Travis la rassicura mentendo ed è probabile che Jane se ne accorga. Il film si chiude con l’abbraccio tra madre e figlio nella camera d’hotel, sotto gli occhi del padre che, dal tetto di un parcheggio, osserva il ricongiungimento dei due prima di tornare a mettersi in marcia, nella notte che sta calando, verso un orizzonte aperto, lontano.
Come si capisce anche dalla sola trama,
Paris, Texas è un contenitore di ossessioni tipiche dell’universo cinematografico di Wim Wenders: dalla comunicazione tra gli uomini, ai rapporti parentali; dal tema del viaggio, il road movie, al recupero e alla reinvenzione di uno dei generi cinematografici più amati dal cineasta di Düsseldorf, e probabilmente il più americano tra i generi, il western. Eppure la grande novità di Paris, Texas risiede proprio nella trama, nella storia che il film racconta: a differenza delle opere precedenti, stavolta Wenders, forte dell’ottima sceneggiatura di Shepard, dà una possibilità alla storia, scegliendo di raccontare piuttosto che mostrare. Così la narrazione procede lungo binari più classici, piuttosto che seguire i personaggi nelle loro divagazioni: nonostante, per dirla con le parole del protagonista de Lo Stato delle Cose, film di Wenders del 1982 vincitore al festival di Venezia, cinema sul cinema caratterizzato da profondo pessimismo, le storie siano Todesboten, portatrici di morte, stavolta la narrazione del viaggio di Travis e Hunter assume un valore che va oltre quello meramente fenomenologico, e diventa incarnazione di una mitologia, un po’ quel lento ritorno a casa handkiano che Wenders avrebbe voluto, senzaParis,Texas_08 successo, portare al cinema. Paris, Texas incontra l’acclamazione unanime di pubblico e critica, e trionfa al festival di Cannes nel 1984, dove viene presentato per il rotto della cuffia (il montaggio fu concluso poche ore prima della consegna della copia per la proiezione): Wenders riesce, in queste oltre due ore di Grande Cinema (le maiuscole forse non sono sufficienti a rendere l’idea) ad amalgamare alla perfezione la tradizione cinematografica americana con il metalinguaggio autoriale europeo, e in particolare con quello del Nuovo Cinema Tedesco. La prima parte della vicenda, la ricomparsa di Travis, è tutta giocato sullo spaesamento e il contrasto: la geografia dei luoghi mostratici da Wenders diviene espressione di una geografia interiore, l’aridità del deserto e l’ostinato mutismo del protagonista sono in qualche modo imparentati tra loro. La fotografia di Robby Müller inonda le immagini di una luce che, altrove, è stata definita faulkneriana (come provenisse direttamente dall’età classica, non dall’oggi: una luce eterna e abbacinante). Travis è un uomo che si è auto-esiliato in un luogo dove non si parlasse lingua che fosse umana, comprensibile: un viaggiatore in cammino verso il vuoto, il nulla, nella negazione contemporanea della memoria e del linguaggio, le due funzioni che permettono la relazione tra gli esseri umani, l’essere-nel-mondo, tanto per dire. Dimenticarsi di sé, della propria storia, del dolore, e imparare a guardare soltanto il mondo, per come esso si mostra agli uomini: Travis ha perso tutto, ondeggia tra i rimasugli della sua umanità e un passato che ritorna, incarnato dapprima nel premuroso fratello Walt e poi, soprattutto, nel volto del piccolo Hunter, il figlio che Travis ha perduto assieme alla madre, Jane, tanti anni prima, in circostanze che si rifiuta di raccontare (e, probabilmente, di ricordare: ancora la memoria e il linguaggio). Non è un mistero che Wenders sia stato ispirato, per quest’opera, da una rilettura dell’Odissea: rimandi a questa vicenda sono ben evidenti lungo tutto il film. L’incontro con Hunter tramuta il viaggio senza meta di Travis in un percorso circolare nel quale imparare a guardare al mondo con gli occhi di un bambino, di una persona che conserva la speranza (“credi che la mamma sarà ancora bella come in quel video?”, chiede il figlio al padre durante il viaggio verso Houston) e continua ad esercitarla, una persona che sa stupirsi di fronte ad ogni cosa, nel recupero di un altro dei temi tipici di Wenders fin Paris,Texas_05dai tempi di Alice nelle città: per un uomo che ha espresso nel rifiuto del linguaggio e della parola la sua separazione dolorosa dal reale, è solo attraverso il linguaggio non verbale del gioco che un contatto col figlio diviene possibile, in quel campo-controcampo che mostra Travis e Hunter imitare simpaticamente l’uno la camminata dell’altro, riconoscendo nell’altra persona lo specchio di una parte importante di sé. Il rapporto tra padre e figlio cresce trasferendosi al dialogo, anche se sarà spesso mediato da strumenti elettronici (i walkie talkie, il registratore cui Travis affida l’ultimo messaggio per il figlio), e Travis capisce che ciò che può fare per espiare le sue colpe è tentare di restituire al figlio quella famiglia che egli non ha mai conosciuto. La nuova consapevolezza raggiunta da Travis trasforma il viaggio di ritorno verso il Texas, a Houston, in un percorso di espiazione: esemplare è la camminata che Travis intraprende poco prima di partire col figlio, lungo la quale incontra, su un cavalcavia, un uomo che urla alle auto in transito un suo delirante monologo sul senso di colpa, il pentimento e la fine del mondo. È un avvertimento che Travis coglie, capendo come non possa più voltare le spalle alle proprie responsabilità: deve trovare la madre di Hunter e restituirgli una famiglia. La storia del viaggio nasconde una storia di amori: l’amore tra fratelli, l’amore tra padre e figlio, tra uomo e donna, e tra un figlio e la propria madre. Gli elementi mitici del viaggio attraverso gli States che conduce padre e figlio in cerca della madre ci sono tutti, ma la macchina da presa adesso guarda il mondo ad altezza dello sguardo del bambino, e ogni immagine è come se fosse mostrata (e vista) per la prima volta: si riconoscono numerosi elementi che emergono direttamente dalle pagine dei racconti di Shepard, le luci al neon, le lunghe autostrade, i dinosauri in cartongesso lungo le aree di servizio, immagini che fanno parte contemporaneamente di un immaginario collettivo (anche cinematografico), condiviso, e che pure appaiono nuove, misteriose, cariche di aspettativa, come sarebbero quando le si vedono appunto per la prima volta, da piccoli. Quando i due giungono a Houston, improvvisamente il film cambia tono: ai paesaggi maestosi del continente americano si sostituiscono i lugubri interni del locale di peep-show in cui Jane ha trovato il lavoro grazie al quale può mandare un po’ di soldi al figlio lontano. L’incontro di Travis con la donna tanto amata, la madre quasi dimenticata del piccolo Hunter, avviene ancora “a distanza”: mediato da un telefono e al riparo di un vetro a specchio che impedisce alla donna di vedere l’uomo. I due sono enormemente distanti, e sembra che niente possa colmare quella distanza. Travis, convinto di aver sprecato il proprio tempo e accecato da una gelosia che non fa altro che testimoniare la persistenza di un sentimento che è stato enorme e ancora non si è spento, e la cui eco si spande come radiazione cosmica di fondo che permea l’intero spazio dell’opera, si ubriaca terribilmente. Rendendosi conto di non essere in grado di gestire la situazione di questo rapporto familiare, come già accaduto in passato, concepisce l’idea che chiude il film: riunire madre e figlio, che hanno bisogno l’uno dell’altra per mantenere un’orbita stabile, e lasciarli liberi di vivere la vita che meritano e che egli sente di non poter contribuire a dargli. Il secondo dialogo tra Travis e Jane attraverso il vetro del peep-show è un piccolo capolavoro: inizia come un monologo dell’uomo, che racconta la storia della coppia come farebbe una voce fuori campo, con un realismo crudo e carico di emozione al tempo stesso, e finisce in uno scambio di battute che di questa emozione, inizialmente trattenuta ma infine, coi continui scambi di ruolo tra Travis e Jane, quando ellaParis,Texas_10 riconosce in quella voce la voce dell’uomo che ha amato (e probabilmente ancora ama), potentemente esplosa, dà una commovente rappresentazione nell’abbraccio conclusivo della madre col piccolo nell’hotel Meridian. In qualche modo si tratta di un’unica grande scena, tenuta assieme dalle strepitose parole scritte da Shepard per questi dialoghi conclusivi: ed è la parola, la voce (“ogni uomo ha la tua voce”, afferma Jane), proprio quell’elemento negato da Travis nel suo isolamento dalla realtà, che ora restituisce Hunter e Jane l’uno all’altro, e Travis stesso a quel viaggio senza meta dal quale proviene, un Odisseo condannato a vagare ancora a lungo in cerca di una casa che forse non esiste più. Mentre madre e figlio si ritrovano in un abbraccio che è commovente come una decompressione improvvisa di sentimenti trattenuti a stento lungo tutta la proiezione, Travis “si allontana nel crepuscolo come un tempo, compiuta la propria missione, facevano gli eroi del western classico, eternamente in marcia, eternamente senza patria” (P. Buchka, “Wim Wenders”, Rivages, Paris/Marseille, 1986, p.88, citato in F. D’angelo, “Wim Wenders”, ed. Il Castoro Cinema). Egli ritorna infine a quello spazio di mezzo, perduto, in cerca di una dimensione adatta: il finale è completamente aperto, e ciò nonostante si ha la netta sensazione che la storia non potesse chiudersi altrimenti. Per usare le parole dello stesso Shepard, “riaggiustare qualcosa che si è rotta non basta. Ciò che si è rotto realmente è in lui. E per sanarlo, per vedere di che natura sia, deve rimanere solo” (Raccontare una storia? Sam Shepard parla di “Paris, Texas”, in “Sam Shepard, ribelle con una causa”, a cura di F. D’Angelo, Comune di Ferrara, Ferrara, 1985, citato ancora in F. D’angelo, “Wim Wenders”, ed. Il Castoro Cinema). Con Paris, Texas, Wenders rivisita e restituisce nuova vita ai tòpoi di un genere, il western (a partire dal recupero dei passaggi mitici sullo sfondo dei quali gran parte di quel cinema era stato girato, si pensi soltanto al Red River, più volte citato, o al deserto delle sequenze iniziali, o ancora al deserto del Mojave dove, tra le altre cose, Shepard aveva girato Uomini Veri: ad ogni modo, il recupero di una ambientazione classica e la sua rivisitazione in chiave moderna, europea, metalinguistica), sposando il cinema della narrazione, delle storie, al proprio cinema autoriale costruito sul metalinguaggio, sulla riflessione su temi ed ossessioni ben riconoscibili, che tornano ad ogni opera; Paris, Texas si nutre di contrasti e lascia scaturire da questi la propria affascinante, “atteonica” (per dirla con David Foster Wallace) bellezza. La bellezza risiede tutta nella figura di Jane, quella figura femminile fino a quel momento sempre negata o rimossa nel cinema di Wenders, che nell’ultima parte di questo film fa la sua sfolgorante, indimenticabile apparizione; risiede nel talento recitativo di Nastassja Kinski, tutto giocato sulle espressioni del volto, sulle loro mutazioni, su tutto ciò che non può essere comunicato a parole; ma risiede anche in una storia che è tanto semplice e lineare quanto senza tempo, affascinante proprio perché incompiuta, aperta, in fieri. Paris, Texas è un capolavoro assoluto, un’opera perfettamente equilibrata in tutti i suoi elementi: dallo sguardo di Wenders ai colori della fotografia di Müller, dalla sceneggiatura di Shepard alle interpretazioni degli attori alla splendida colonna sonora di Ry Cooder, semplice e dolente come la storia che viene narrata nel film, il commento musicale perfetto per quest’opera. Chiudo questa (non tanto) breve analisi con la constatazione che anche in questo caso, per Wenders, si tratta di Paris,Texas_13rispondere alla domanda su come vivere e per cosa vivere: la risposta di Travis è la più coraggiosa, anche se la più difficile, e rende ancora oggi la visione di questo film un’esperienza assolutamente indimenticabile. Paris, Texas ricompone nelle sue immagini la dicotomia tra i grandi spazi aperti, che suggeriscono il vuoto e la solitudine ma anche la libertà e la possibilità del viaggio, dello spostamento, che garantisce la possibilità di cambiare, e gli spazi chiusi nei quali le anime degli uomini vengono spesso ad essere intrappolate, ma che fanno anche da sfondo per l’affermazione dei sentimenti e l’espressione delle emozioni. Alla fine, Odisseo si mette di nuovo in viaggio verso un luogo che possa chiamare casa, e Wenders si mette in viaggio verso l’Europa: lo aspettano gli angeli Damiel e Cassiel e il cantore degli uomini, colui che continua a rimarcare l’importanza di avere una storia, colui che canterà “la storia più grande”, che sarà una storia d’amore. Non sarà un caso, vista l’ispirazione iniziale dichiarata da Wenders per questo Paris, Texas, che il cantore sia destinato a chiamarsi Omero.

Come i più tra voi avranno saputo, a Wenders quest’anno è stato conferito l’orso d’oro alla carriera al festival di Berlino. In quest’ottica, Nexo Digital e Ripley’s Home Video hanno promosso la proiezione, nelle sale italiane, di due dei suoi più grandi capolavori: così, il 18 Febbraio è stata la volta de Il cielo sopra Berlino, e il 25 Febbraio di Paris, Texas. In entrambi i casi, la versione proiettata era sostanzialmente quella già messa in commercio da RHV in formato Blu-ray disc, frutto del consueto, ottimo lavoro di recupero e rimasterizzazione. Chi scrive ha per l’appunto partecipato orgogliosamente a entrambe le proiezioni presso il cinema Il Globo della natia Pistoia, e vi promette a breve anche due righe sul primo dei due film, Il cielo sopra Berlino: ma coglie anche l’occasione per invitarvi, proprio questa sera, alla proiezione dello stesso Paris, Texas nell’ambito dei Biblioledì organizzati presso la Biblioteca Eden di Casalguidi. Il film sarà proiettato nel contesto del ciclo Road Movies: Motion/Emotion, di cui costituisce la vera e propria pietra angolare, e vi posso assicurare che si è trattato di un caso del tutto fortuito: quando abbiamo scelto questo film e lo abbiamo messo in calendario, niente si sapeva dell’orso d’oro per Wenders, e niente si immaginava circa il ritorno nelle sale di questi due grandi film. Però, se volete, vi dico come la penso: queste sono opere che fanno bene all’anima, e allora è bello rivederle anche a solo una settimana di distanza dalla volta precedente. Quindi vi aspettiamo, non mancate! A stasera!
24/05/2015: con colpevole ritardo, devo ringraziare il pingback ricevuto nei commenti per questo post dal WordPress di Contrasted Gallery: tento quindi di lasciare un piccolo pingback anch’io invitandovi a visitare il link che trovate anche nei commenti, ovvero a cliccare qui. Grazie!!!

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