In the cage: cronache dalla "provincia dell'Impero"

Ave Maria (2007)Non sorprende l’avversione delle destre nei confronti dell’arte moderna. Eppure, in questa nostra italietta dove tutto ciò che va contro il potere è visto come fumo negli occhi, tengono banco (o meglio terrebbero banco, se una stampa libera e non asservita si premurasse di darcene tempestiva comunicazione) polemiche di ogni genere nei confronti di questa arte dei nostri tempi: sono dei mesi passati, ma ancora molto spesso rinfocolate, le polemiche sulla teca dell’Ara Pacis disegnata da Meier (che comunque alla fine verrà rimossa… magari per sostituirla con un bel tempietto in stile celebrativo- romano- monumentale, chissà), si polemizza sul ponte di Calatrava a Venezia (anche se ci sono stati indubbi disguidi nella sua realizzazione), sulle costruzioni architettoniche in generale (non che l’architettura moderna non abbia mai creato ma soprattutto teorizzato dei mostri, si pensi a molte concezioni e realizzazioni a mio avviso discutibili dell’architettura funzionale) e ora anche sull’arte moderna tout- court. A farlo è il ministro (sigh!!) Sandro Bondi, che evidentemente sta alla cultura come io sto alla gnocca (e mi si perdoni il francesismo): guardate cosa scriveva il buon vecchio Guardian qualche settimana fa (il 13 agosto, per l’esattezza). Niente di nuovo, dicevo, e non mi sorprende che Bondi non ci capisca nulla: quello che sospetto, però, è che questa avversione vada oltre il problema culturale ed il consueto, profondo, inveterato provincialismo italico (da “provincia dell’impero” quale sempre più evidentemente siamo), e sia profondamente radicata, ideologica. In fondo, l’arte moderna, il dadaismo, il surrealismo, bypassando il linguaggio ordinario, “codificato”, non fanno altro che rompere quel rigido universo di discorso e d’azione sul quale si basa il dominio nelle nostre civiltà industriali avanzate: l’arte moderna rappresenta il momento della rottura di quell’elasticità linguistica sulla quale rimbalziamo comodamente ogni giorno, una lingua fatta di strutture rigide e vuote, svuotate di ogni senso che sia umano, mere “funzioni” incapaci di comunicare alcunché, tanto irrazionali da sembrare razionali; oppure siamo noi che abbiamo perso la capacità di scandalizzarci ma soprattutto di pensare le alternative, aprirsi ad un ventaglio di nuove possibilità. Il tentativo di disinnescare questa “bomba concettuale” che è l’arte moderna sembra impegnare a tempo pieno i nostri governi, in particolare proprio la maggioranza di destra del nostroCage 6 (2006) paese. È facile, lo intuiva già Marcuse, vendere un Raffaello, un Leonardo, un impressionista qualunque: grande arte, ovvio e scontato, non c’è bisogno che sia io a dirlo, ma concettualmente già assorbita, “inclusa” in qualche modo, niente cui la razionalità scientifica non abbia saputo trovare collocazione già da tempo, neutralizzandola e rendendola parte integrante della banalizzazione comunicativa alla base del “non sapere niente di niente” che domina le nostre società, materia al limite di specializzazione (e si sa come lo specialista sia "colui che sa tutto di niente") o meta privilegiata delle gite domenicali fuori porta per digerire lauti pranzetti. L’arte moderna usa, come accennato, espedienti differenti: rompe gli schemi, va oltre il linguaggio, crea un contatto differente con l’osservatore e, soprattutto, è ancora in grado di indicare un altrove che non sembri irreale ed impossibile (di un’impossibilità sterile, codificata e preordinata): è arte libera nel senso pieno del termine, imperfetta “promessa di felicità” (come voleva Stendhal), veicolo che insegna a pensare con la propria testa e vedere coi propri occhi, e proprio in quanto tale pericolo mortale per la società costituita, nonchè critica in tempo reale degli usi e costumi di questa stessa società. Alla fine, sulla scorta del perbenismo e dell’omologazione culturale, riconosciamo all’artista il diritto di essere “folle”, mettendo un muro tra noi e lui, separandoci ed isolandoci dalla sua contagiosa follia, negando alla sua opera ogni carattere che non sia puramente estetico: ma perché invece non lasciarsi infettare? Forse l’unica possibilità di liberazione rimastaci consiste anche in questo.

Nelle foto, opere di Maurizio Cattelan ("Ave Maria", 2007, Tate Modern, Londra) e Gerhard Richter ("Cage 6", 2006, Tate Modern, Londra). Molti link interessanti per familiarizzare con l’arte moderna potete trovarli qui. Buono studio!

5 Risposte a “In the cage: cronache dalla "provincia dell'Impero"”

  1. Ma il Guardian parla di quella dichiarazione in cui Bondi ammise candidamente di non capire nulla di arte moderna..farebbe quasi tenerezza se non fosse il ministro della cultura e non uno che chiacchera al bar con gli amici: “Ieri la ‘mi moglie m’ha portato a ‘na mostra d’arte moderna…un c’ho capito ‘na sega nulla!”.

    Comunque il discorso che fai (se ho capito bene) sul potenziale eversivo dell’arte moderna sulla scorta di Marcuse è interessante, ma è un potenziale che riguarda tutta la grande arte.

    Poi il rischio della commercializzazione e della banalizzazione c’è sempre, ma il bello è che proprio dadaismo e pop-art hanno dimostrato hanno dimostrato che tutto può essere arte compresa la sua omologazione e standardizzazione, pensa solo ai famosi ritratti di Marylin Monroe fatti da Wharol, Wharol non ha ritratto la persona, ma la diva, il mito di Marylin creato dall’industria culturale, cinematografica in questo caso.

    L’arte può trovarsi in ogni cosa anche la più sgradevole e deteriore, l’arte moderna che persegue questa strada può incappare talvolta in cadute di gusto (ma cos’è poi il gusto?), ma è una strada interessante.

    Scusa se mi sono dilungato, ma è un tema talmente vasto…

    Ciao e bentornato dalle vacanze!

    quentin84

  2. Ciao vecchio mio… come va? Spero tutto bene! 😉

    Certo, il potenziale di evasione di cui parli è un qualcosa di comune a tutta la grande arte, ed infatti lungi da me fare classifica su cosa è arte vera e cosa non lo è, spero fosse chiaro. Probabilmente ho un pò “semplificato” certe considerazioni marcusiane sulla capacità delle nostre società di negare questa evasione, questa “multidimensionalità” in ragione di quella che sembra essere (e perdona il gioco di parole) una ragionevolezza maggiore, una razionalità inattaccabile: l’altrove indicato (la promessa di felicità) diventa qualcosa di “utopico”, “impensabile”, avvertito come del tutto irrazionale, quando anche magari non lo è. Questo avviene per svariati motivi, uno dei quali è l’impoverimento della nostra comunicazione (citato nel post) che finisce per appiattire il significato deprivando il linguaggio di ogni “dimensionalità superiore”, sempre per parafrasare l’opera di Marcuse. L’arte, continuava il filosofo tedesco, contiene sempre, quando è vera e grande Arte, il potere della negazione al suo interno, un elemento negativo, quindi critico: alla fine a qualcuno questi tizi della scuola di Francoforte potranno sembrare dei forzati della dialettica, ma quello che si vuole dire è come l’arte sia parte integrante del pensiero negativo di cui ogni scambio dialogico non può fare a meno per proseguire, quella (perdonate la grande banalizzazione) “antitesi” che pone in discussione l’affermazione di ciò che è, mostrandoci cosa non è e cosa potrebbe essere, senza la quale, appunto, scaliamo di una dimensione il problema. Nell’opera di Marcuse ci si riferisce a questa “dimensione altra” attingibile nell’alienazione artistica. Mi permetto di citare un passo de “L’Uomo a una dimensione” che chiarisce un pò meglio cosa intendessi, ok?

    Scriveva Marcuse: “I neoconservatori che se la prendono con chi critica la cultura di massa da posizioni di sinistra, tendono a porre in ridicolo la protesta contro Bach come musica di fondo in cucina, contro Platone ed Hegel, Shelley e Baudelaire, Marx e Freud nel supermercato. Bisogna riconoscere, essi insistono, che i classici sono usciti dal mausoleo e son tornati in vita, che il popolo è, semplicemente, molto più colto. Questo è vero, ma, tornando in vita come classici, essi tornano in vita come altri da sè, privati della loro forza antagonistica, dell’estraniazione che era la dimensione stessa della loro verità. L’intento e la funzione di queste opere sono in tal modo mutate in misura fondamentale. Mentre un tempo esse contraddicevano lo status quo, la contraddizione è stata ora appianata. […] Ogni forma di dominio ha la sua estetica, ed il dominio democratico ha la sua estetica democratica. E’ bene che quasi tutti ora possano avere le belle arti a portata di mano, solo che girino una manopola, o mettano piede nel supermercato. Nel corso di tale diffusione, tuttavia, esse diventano ingranaggi d’una macchina culturale che riforma per intero il loro contenuto. L’alienazione artistica soccombe, insieme con altri modi di negazione, al progredire della razionalità tecnologica.”

    Mi rendo conto che si dovrebbe citare molto altro, e scrivere molto di più per restituire un quadro completo, ma il commento assumerebbe dimensioni “monstre”, quindi forse è meglio evitare. Mi premeva comunque far notare come io non sia affatto “contrario” alla grande arte del passato e ciecamente modernista, tutt’altro, ma come anch’io avverta, con una buona dose di realismo, a mio avviso, il pericolo dello svuotamento di senso di questa arte, e della letteratura, che diventa ingranaggio della macchina e serve, piuttosto che a “liberarci” ed a mostrarci “l’altro”, a “distrarci”. Tutto qua…. poi, come giustamente fai notare, il discorso potrebbe ampliarsi eccome.

    Ciao! 🙂

  3. Ad essere esatti io ho parlato di “potenziale di eversione” dell’arte non di evasione, anche se i due concetti sono collegati: del resto quando attraverso l’arte “evadiamo” da una realtà, una società che non ci piace siamo anche “eversivi” rispetto a un mondo che non tollera evasioni nell’immaginazione, ma ci impone di essere sempre vigili e attenti per produrre e consumare, ma non per pensare.

    Comunque la citazione di Marcuse è interessante se l’ho capita bene: lo sfruttamento dell’arte da parte del sistema capitalistico se da un lato rende le opere d’arte accessibili (quasi) a tutti dall’altro depotenzia la critica all’esistente insita in tutta la grande arte inquadrandola magari nella gabbia del “grande classico” che devi conoscere per forza se non vuoi passare per ignorante, ma sul quale non devi concentrarti più di tanto perchè potresti “evadere” troppo con la mente o peggio iniziare a pensare con la tua testa

    Sicuramente c’è del vero, ma è un discorso complesso che merita riflessioni approfondite che ora come ora non mi sento in grado di fare

    Ti saluto e sì sto bene anche se come sempre a fine estate sono giù di morale.

    Ciao

    quentin84

  4. Perdona il lapsus: ho letto proprio “evasione”, devo essermi confuso, mi dispiace. Ad ogni modo, come fai notare nel tuo ultimo commento, il discorso si ricollega lo stesso. In effetti sì, il brano di Marcuse che ho citato è gravido di possibili riflessioni, in particolar modo anche sul concetto di “cultura di massa”: se da una parte è ovviamente un gran bene che il sapere e la cultura siano alla portata di tutti, ed io da sinistrorso convinto quale sono non posso che esser piendamente d’accordo, dall’altra è necessario anche porre l’accento su ciò che viene perso in questo processo di “massificazione”, in particolar modo per quel che concerne il succitato “potenziale”. Vabbè, questo spazio è aperto al dibattito, non ti abbattere e se hai voglia di scrivere fallo sempre e comunque. E poi, suvvia, è finita l’estate, è vero, e agosto è forse “il mese più triste dell’anno”, come diceva quella canzone, ma in fondo ora arriva il bello… no? Che c’è di meglio di un freddo inverno? 😉

    Ciao vecchio mio, stai su!

  5. ciao hias, il ponte di calatrava è criticato perchè è instabile, sta sprofondando nella laguna. il problema di molte opere moderne è che non sono fatte per durare ma per stupire e colpire l’immaginario. sulla loggia isozaki poi hanno ragione i detrattori. è un vero cazzotto in un occhio, oltre al fatto che per erigerla dovrebbero buttare giù una piccola parte del complesso degli uffizi, molto infrattata ma molto ricca di storia (se non ricordo male sarebbe una chiesa ora sconsacrata citata nella divina commedia). questo è quello che definirei un intervento invasivo. senza contare che firenze non è mai stata capitale di un impero, la sua architettura è frutto dell’evoluzione della sua cittadinanza e delle sue istituzioni, la grande edilizia del passato è stata per lo più pubblica civile o religiosa ma pubblica e destinata a una diretta fruizione comunitaria da parte di tutta la cittadinanza. qui non trovi opere singole, fronzoli, opere superflue, tutti i monumenti hanno una dimensione pubblica. non ci vedo molto spazio per le opere solitarie che celebrano la personalità di un architetto. tutt’altra cosa è roma nella quale da sempre tutti lasciano una propria traccia per scolpire il proprio nome nella storia. in sostanza voglio dire che non tutte le città si prestano allo stesso tipo di apertura al nuovo, anche per firenze sarebbe possibile non fossilizzarsi sul passato, ma dare progetti alla cieca dall’alto senza coinvolgere la cittadinanza non è il modo giusto per farlo e ci fa sentire ancora più preda dei turisti che impongono i loro gusti in casa nostra. detto tra noi poi non ha senso imporre vincoli architettonici strettissimi a quasiasi sasso se poi si permette una trasformazione così radicale senza pensarci troppo.

    nel merito di bondi e del suo futurismo classicista mi sembra un ottimo esempio di come in italia di lanciamo nel futuro a folle velocità con tutta la faccia rivolta a 180deg al passato. l’iconoclasmo è sintomo di debolezza politica o di torbidi in pieno svolgimento. non ci vedo molta filosofia come ce la vedi tu.

    penso che la critica all’arte moderna sia perlopiù pretestuosa o finalizzata come lasci intuire tu ad annichilire ulteriormente il senso critico delle persone nei confronti della realtà. però devo dire che per me i concetti di disgregazione e decostruzione in arte non danno per risultato che estetismi dal respiro corto. estetismi in parte complementari a quelli di chi vede nell’arte solo qualcosa di bello e di facile fruizione. l’arte dovrebbe avere una spontanea capacità educatrice nei confronti dell’uomo. qualsiasi persona indipendentemente dal retroterra culturale dovrebbe essere in grado di intuire qualcosa che parla di sé e del suo mondo. l’arte concettuale some surrealismo dadaismo etc ha il difetto di avere un destinatario di élite, per dirla in 2 parole è arte per chi è già educato e vuole riflettere sulla sua educazione. c’è chi non può permettersi il lusso di vedere le contraddizioni dei linguaggi perchè non ha nessun linguaggio. se la fruizione viene dopo l’educazione l’arte ha fallito il suo principale target, è l’unico campo in cui i due momenti possono essere simultanei (la bellezza è promessa di felicità non frutto della stessa..).

    ho notato che è una costante negli artisti ma anche nei letterati e filosofi del ‘900 la tensione al carattere originario, elementare, essenziale, privo di mediazioni e di strutture. frammentano la forma fanno implodere la materia si inventano colori, qualcuno torna bambino per vedere il mondo come un accumulo pregrammaticale di parti che non giungono mai a formare un tutto. è molto affascinante, e anche bello, ma vera arte secondo me è quella che ti lascia un’idea un pensiero duraturo sul tuo modo di essere che ti fa percepire il reale ed esprimere concetti che già avevi dentro di te. solo alcuni ci riescono. cmq l’arte intelligente fa pensare e quindi fa bene che sia elitaria o no, denigrarla è segno di ignoranza di quella ruvida.

    ad esempio proprio alla tate ho visto l’uomo meccanico di boccioni: non c’è niente di più moderno e di più classico in tutta la mostra. nonstante le forme disumane si coglie il senso della forma e dell’equilibrio classico, è un uomo a tutto tondo, anche se scolpito dal vento e dalla velocità e non dalla mano di dio. oppure le sculture di giacometti, per quanto frammentarie e irreali rappresentano l’uomo, e c’è un principio di equilibrio proprio nelle parti che mancano e in quelle che sopravvivono allo smembramento alla decomposizione, ai vuoti e alle aporie del non-libero porsi dell’uomo moderno.

    tornerò a cercare pollock ma penso di aver capito che cambiano i quadri in esposizione ogni tanto..

    complimenti per il disco, lo ascolterò quanto prima..

    tommaso

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