Intervista ai La Calle Mojada

Piccole novità quest’oggi sul blog del Laboratorio. Per la prima volta pubblichiamo un’intervista e, insieme con essa, guadagniamo quello che diverrà un prezioso collaboratore di questa pagina, Carlo Venturini, bassista dei Ka Mate Ka Ora e, da oggi, membro a tutti gli effetti della redazione… buona lettura!!

Coloro che seguono questo blog con attenzione hanno già sentito parlare dei La Calle Mojada. Non molto tempo fa è apparsa su queste pagine una recensione del loro Ep, So far from winter to fall, da poco uscito per l’etichetta romana Raise Record. Non è per ridondanza né per carenza di argomenti che ne torniamo a  parlare, bensì perché riteniamo che la band romana sia davvero uno dei segreti meglio custoditi (ci sia perdonata l’espressione) della scena sommersa nostrana. Abbiamo dunque deciso di tornarci sopra, facendo due chiacchiere con Marco Poloni (bassista e voce) e Michele Pollice (chitarra), due terzi de La Calle (l’altro terzo è il batterista Michele Toffoli).
E questo semplicemente perché a noialtri non piace custodire segreti…

Carlo- Solitamente si comincia col chiedere qualche notizia sul nome: perché lo avete scelto (o vi è capitato?), in che modo si collega alla vostra musica…

Marco- La Calle Mojada è il titolo di una canzone di Senor Chinarro, artista sivigliano che noi stimiamo ed apprezziamo. L’amore per la Spagna e l’immagine autunnale di un selciato bagnato (possibilmente in un contesto notturno) hanno fatto il resto. Ci rendiamo conto che non ci siamo facilitati le cose. Quasi tutti La Calle Mojadastorpiano il nostro nome o ci chiedono “Come si dice?”, ma se all’inizio questa cosa era abbastanza fastidiosa ora ci ridiamo su e ci divertiamo a pensare a quanto la gente si possa sforzare, in effetti, per pronunciare bene il nostro nome!
Michele P.- La scelta del nome, in principio, ci ha praticamente lasciati indifferenti… poi ci hanno chiesto di suonare dal vivo e siamo stati costretti a sceglierne uno il più evocativo possibile.

Carlo- Da poco, per l’etichetta romana Raise Records, è uscito il vostro ep So far from winter to fall: dobbiamo considerarlo l’anticipazione di qualcosa di più corposo o dobbiamo accontentarci così per il momento?

Marco- Il primo Ep per un gruppo ha un’importanza fondamentale perche rappresenta il vero e proprio “biglietto da visita” da far girare quanto è più possibile. Noi ci abbiam provato, anche se avremmo potuto fare di più! Non siamo certo molto intraprendenti da questo punto di vista, ed è senza dubbio un limite, caratteriale, di tutti e tre. L’ep è uscito fuori dopo un periodo di gestazione piuttosto lungo, passato tra correzioni, modifiche, decisioni passate con votazioni per alzata di mano…. Alla fine dei conti siamo contenti del risultato ottenuto, anche se l’esperienza accumulata ci fa rendere conto di alcuni “errori” e lungaggini sulle quali non vorremo più imbatterci, e cercheremo in ogni modo di evitare nei prossimi lavori. Entro la fine dell’anno ci metteremo al lavoro per l’uscita del nostro primo album, che non comprenderà nessun pezzo di So far from winter to fall. Cose totalmente nuove che già abbiamo definito nei contorni, e che dovremo fissare nei dettagli.

Carlo- Da quello che date a vedere e che siamo riusciti a percepire, siete piuttosto chiari nel definirvi un gruppo shoegaze e non fate molto per celare le vostre influenze musicali. Non temete che qualcuno possa rimproverarvi di “scarsa originalità”? Come vedete la questione (dell’originalità, intendo)?

Marco- Non ci siamo mai reputati un gruppo shoegaze al 100%. Crediamo di andare ad abbracciare diversi tipi di approcci musicali, e forse questo è un aspetto penalizzante, proprio perche non si appartiene a un “canale” definito, ad una “scena”, parola che odio, precisa. Chiaramente quella musica ha influenzato (e lo fa tuttora) le nostre idee, ma non ci siamo mai curati di quanto questo possa compromettere, in termini di originalità, i giudizi su di noi. Ogni musicista ha dei riferimenti, è normale che sia cosi. È come se uno scrittore non leggesse e non prendesse spunto da qualcun altro, beh non so proprio cosa potrebbe uscir fuori dai suoi libri! Questo è quello che sappiamo fare, punto. Non riusciremmo a fare altro su commissione o perché cambia il vento:ci dovrebbero pagare veramente bene…
In questo momento lo shoegaze è tornato alla luce, fra un po’ tornerà nell’oblio, i famosi cicli che tornano, è normale, sarà sempre così.
Michele P.- Parlare di originalità in un contesto musicale come quello italiano molto spesso è una battaglia già persa in partenza. Ho sempre più spesso l’impressione di assistere a concerti di cover band più che live acts originali. Forse, ad oggi, è più importante il “mezzo” che il “contenuto” in sé…ma, in fondo, sono convinto che una visione (o reinterpretazione) propria e genuina di un certo suono o attitudine alla lunga paghi.

Carlo- La vostra musica è estremamente evocativa, sognante… Quale sentimento o suggestione siete interessati a suscitare in chi vi ascolta?

Marco- Rispondo con estrema sincerità: da parte mia non c’è nessun interesse nel creare un tipo di suggestione o sentimento a chi ascolta, non mi aspetto nulla. L’elemento fondamentale, cosa già difficile di per sé, è far scaturire dalle proprie, di emozioni, una canzone, un’idea, ma non ci si può anche curare di come questo messaggio può arrivare a chi ci ascolta, sarebbe come “pilotare” il nostro lavoro in base ad La Calle Mojada_2una percezione che vogliamo passi attraverso la nostra musica, ed e’ un discorso che non mi piace. Ognuno riceve un messaggio a suo modo, in base alla propria sensibilità o stato d’animo del momento, e va bene così.
Michele P.- Personalmente sono stato sempre attratto dal “lato malinconico delle cose”. La nostra musica ha chiaramente un taglio evocativo e quello che la gente percepisce non è altro ciò che il nostro sound fondamentalmente rappresenta… niente di più. Poi, logicamente, ognuno può vederci (o sentirci) quello che vuole. Più che suggerire una sensazione ci piace sentirci “onesti”.

Carlo- E invece, nella musica che ascoltate, cosa cercate? Cosa vi attira di più?

Marco- Ognuno di noi 3 ascolta cose simili e diverse nello stesso tempo. Di sicuro possiamo dirci tutti degli appassionati, ma in modo anche diverso l’uno dall’altro. Per quanto mi riguarda quel che cerco è quasi sempre emozionalità legata al suono più che alle parole. Riuscire a emozionarsi con un disco o ad un concerto è sempre più difficile, ma le volte che si torna a casa con una melodia in testa, con un feedback che ti ha spezzato il cuore, con un’immagine, beh in quei casi si e’ in pace con se stessi. Penso che l’obiettivo di qualunque musicista sia rimanere nella memoria, anche solo in quella breve, come spesso accade a noi.
Michele P.- L’emotività prima di ogni altra cosa.

Carlo- Non siete una band che pone al centro della propria poetica la “militanza politica” e l’“impegno sociale”. Secondo voi la musica non è lo strumento adatto a denunciare le storture della nostra società o semplicemente non pensate sia questa la vostra missione?

Marco- Beh non ci siamo mai preoccupati di mettere in musica le nostre idee politiche. Io e Michele P. veniamo da un viaggio a Berlino, metteremo sulla pagina myspace le nostre foto fatte con le statue di Marx ed Engels così forse saremo un po’ più espliciti, che dici? No scherzi a parte…è una cosa che non ci interessa, sinceramente. Abbiamo le nostre idee, ma le condividiamo fuori dal palco, lontano da microfoni. Non per questo credo che la musica non sia un buon veicolo per mandare messaggi o sensibilizzare le persone su questioni importanti.
Michele P.-
Citando Bukowski potrei risponderti: “parlare di politica è come cercare di incularsi un gatto”… anche perché non sai da che parte prenderlo e rischi pure di fartici molto male. 😀

Carlo- Oltre voi, Roma pullula di progetti che si ispirano a sonorità , per così dire, shoegaze e dream-pop (Sea Dweller e Snow in Mexico, solo per citarne un paio tra i più interessanti): esiste una scena dalle vostre parti?

Marco- Sembrerà spocchioso, ma….la scena siamo noi! A parte gli scherzi…Roma, come tutte le grandi metropoli, è un melting pot di gruppi, generi, diversi canali per ciò che concerne locali e concerti. A livello di musica shoegaze non c’è poi molto in città, e i nomi che hai fatto rappresentano gran parte della “torta”… I Sea dweller sono quanto di meglio c’è in Italia a livello di shoegaze in questo momento, per quel che penso io. Spero che presto se ne renderanno conto in molti. Gli Snow in Mexico sono un progetto nuovo che però al suo interno ha dei musicisti esperti che vengono da esperienze importanti, e anche per loro l’augurio è quello di “uscire” allo scoperto quanto prima, specie coi live: sarebbe fantastico ascoltare “Ride” o “You and my winter” dal vivo!
Michele P.- A Roma non esiste nessuna scena… piuttosto c’è molta gente che suona e, più o meno, siamo tutti amici. Per esempio i Sea Dweller sono uno dei miei gruppi preferiti… ed il fatto di essere amici La Calle Mojada_3mi fa sentire un po’ come Holden Caulfield che avrebbe voluto avere il numero di telefono del suo scrittore preferito per chiamarlo nel cuore della notte. 😀

Carlo- Nel suono dei La Calle Mojada emergono con forza suggestioni cinematografiche e anche letterarie. Che rapporto avete con queste 2 arti? Volete consigliarci un paio di libri e film che valgano la pena?

Marco- Il cinema e la letteratura sono chiaramente fonti di ispirazione. Se si pensa che, per quanto ci riguarda, tutto è nato con Rohmer, che omaggia “i racconti sulle stagioni” del regista francese, direi proprio che è un elemento importante, senza dubbio. Beh, a livello di consigli mi sentirei di indicare un film, Gli amanti del circolo polare di Julio Medem e, se ancora non l’avete letto, Una cosa divertente che non farò mai più dell’ immenso David Foster Wallace.
Michele P.- Io di cinema sono sicuramente quello che se ne intende di meno… per lo più per una questione di pigrizia. Al contrario amo la letteratura ed infatti i nostri testi hanno una certa “astrazione narrativa”… e se proprio devo suggerire qualcosa, beh, se non l’avete già fatto, leggete Cattedrale di Raymond Carver e la Versione di Barney di Mordecai Richler!

Carlo- Vi sentite sottovalutati?

Marco- Si.
Michele P.-

Carlo- Chiudiamo con la più facile di tutte: perché suonate?

Marco- Perché ci fa star bene, e di questi tempi non è poco.
Michele P.- Perché ci piace soffrire…

Per chi ama approfondire, qui trovate il MySpace ufficiale della band, dove potrete ascoltare i brani tratti da So Far From Winter To Fall. Buon ascolto!

4 Risposte a “Intervista ai La Calle Mojada”

  1. Che bella intervista. Sono proprio contento di aver potuto sapere di più su questo gruppo così promettente. Complimenti a loro e a voi per l’ottima intervista!

    Rkp

  2. O.T.: ho scritto un post dal titolo “Servono a qualcosa i blog?”.Ti invito a leggerlo ed eventualmente a commentarlo.

    Ciao a presto.

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