January Round-Up: swinging moods

Ormai Cory Wong non lo ferma più nessuno: già annunciato il primo disco del 2021, in uscita a inizio febbraio (si preordina qui, e si possono anche ascoltare brevi estratti dei vari brani), e firmato da Wong con una superband allestita per l’occasione, i Wongnotes (da cui il moniker Cory and the Wongnotes: Negah Santos (percussioni), Petar Janjic (batteria), Kevin Gastonguay (tastiere), gli Hornheads in versione “estesa” (che avevano già messo lo zampino nello splendido The Striped Album con cui Wong ha chiuso il 2020) e il grande Sonny T. al basso), a lanciare il disco arriva anche (udite udite) una web series, una sorta di mix tra documentario musicale, serie comedy e musica live, il tutto registrato in bolla anti-covid nel corso dell’estate del 2020 (si allega prima puntata, contenente il singolo di cui vi parlo, realizzato col fido Cody Fry: “Who is your favourite colaborator, and why is he Cory Wong?”, gli chiede Wong a un certo punto nel video). Coming Back Around è un funkettone classico, con Wong che si occupa dei bassi e Cody Fry alla voce: in un certo senso, il brano è il fratello maggiore del singolo Golden, ascoltato in apertura di Elevator Music for an Elevated Mood, e impreziosito dal cesello impagabile degli Hornheads (impegnati anche in una breve sezione di solo strumentale veramente spettacolare, preludio al solo di Fry alla chitarra). Insomma, qualità altissima, ma a questo ormai ci siamo quasi abituati… e tanto per gioire tutti insieme, vi lascio anche il secondo episodio della serie, Gear, con la partecipazione del grandissimo Antwaun Stanley che discute con il buon Cory della G.A.S. (Gear Acquisition Syndrome) una malattia atroce che colpisce moltissimi musicisti, e soprattutto canta sul secondo singolo estratto, la deliziosa United, per la quale userò le parole dello stesso Wong: for the record! the song is literally TAKE 1. antwaun is that good! he showed up on set and was out within an hour. CRAZY. then afterwards we added a few background vocals because the chorus felt like it needed a lift. Un altro pianeta.

Woody and Jeremy (al secolo Woody Goss, una delle menti geniali dei Vulfpeck, e Jeremy Daly) tornano dopo il primo LP pubblicato lo scorso anno, Strange Satisfaction (di cui avevamo parlato) e lo fanno con un divertente up-tempo, caratterizzato dal solito testo stralunato e irresistibile: Things/ Don’t change, they just/ Re-/ Arrange canta Daly nel ritornello, e anche qui non cambia il gusto di funk giocoso già assaporato nel disco dello scorso anno, una piccola costellazione di suoni che fanno molto sole, California, estate, e un valido antidoto al freddo che fa fuori.

Dopo aver recuperato le ritmiche trip-hop bristoliane con il doppio singolo a sorpresa Her Revolution/ His Rope, licenziato all’inizio dello scorso dicembre in compagnia di Four Tet e Thom Yorke, Burial (al secolo sempre William Bevan) torna a schiacciare il piede sull’acceleratore e a veleggiare in direzione di un trascinante ibrido IDM/dubstep: Chemz è un campionario di manipolazioni sonore di marca tipicamente Burial, dalle voci alle transizioni tra le varie parti, il tutto adagiato su ritmiche più decise e dritte del consueto; fa un po’ l’effetto di un vecchio film in bianco e nero riprodotto a velocità doppia, una specie di ologramma, uno spettro sonoro che, proiettato nei suoi quasi 13 minuti di estensione temporale, lascia esplodere un microcosmo di idee e suggestioni, un binario multiplo lungo il quale molteplici intuizioni viaggiano in maniera asincrona, lasciate libere di scontrarsi, espanse eppure condensate. Insomma, come suggerito dal titolo, una specie di trip, qualcosa di chimico, sintetico. Un’esperienza.

Il buon Mark Kozelek ci ha abituato, negli ultimi anni, a una torrenzialità non sempre scevra da preoccupanti alti e bassi: il cantato in particolare, già dai tempi di Among the Leaves (correva il 2012) ha iniziato a mutare, a lasciar spazio alla pura declamazione, a testi appunto torrenziali, quasi a un flusso di coscienza, a metà tra il rap e il recitativo, una tendenza che a partire da Universal Themes (2015) è diventata la cifra stilistica caratteristica del nostro, un autentico diluvio di parole, apparentemente slegate (o disinteressate) al costrutto musicale circostante. Eppure, come ci ricorda questa Snowbound, Kozelek è soprattutto un formidabile cantautore, ancora capace di intrecciare un delicato mantra di chitarre acustiche sul quale adagiare talvolta, ed è proprio questo il caso, anche melodie più consuete: i temi sono sempre gli stessi, la perdita, il dolore, la morte e il distacco, il silenzio, raffigurato da una coltre di gelida neve che sembra posarsi sull’intero brano, con la delicata catarsi dei ritornelli a squarciare per un momento il senso della vita che scivola tra le dita. Anche Snowbound è un lungo, dolente flusso di coscienza, ma a donargli una sua levità giunge la voce del buon Mark, gonfia di trasporto, incrinata, sgranata eppure netta come una lama, che seziona perfettamente i ricordi contaminandosi con essi e cedendo alla consolazione della melodia: un autentico momento di spiritualità estrema, vicino ai vertici della produzione targata Sun Kil Moon.

Un passaggio di fragile bellezza che ha aperto questo 2021 con una luminosità potente, inattesa. Jacob Collier, polistrumentista e compositore inglese, è assai più che un bambino prodigio: è un compositore capace di toccare tutte le corde giuste (stiamo pur sempre parlando di un quattro volte vincitore di Grammy, candidato a tre altri premi per l’edizione 2021). The Sun is in Your Eyes è una demo registrata per tenere a mente un’idea: una volta arrivato a riprenderla in mano, Jacob si è accorto che non c’era proprio niente che potesse essere aggiunto, il brano era perfetto così. Un diamante grezzo, una carezza: It’s yours to keep, scrive Jacob nella descrizione del video su Youtube, e quello che intende è che ci sta facendo un regalo prezioso, da proteggere con tutte le nostre forze, qualcosa per tenere il cuore al caldo e proteggerlo dal gelo che lo minaccia costantemente.

And where I go
Singing songs of your affection
With rhymes to your perfection
In my eyes see a reflection
Of you

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