"Jenny's Joke", Jenny's Joke

Ogni volta che mi trovo a scrivere di questa band, probabilmente non conosciuta come meriterebbe, precipito nel solito dilemma: raccontare o non raccontare da capo tutta la storia? Ma siccome l’ho già raccontata qualche post fa, stavolta prendo la tangente e vi vado a parlare subito di Jenny’s Joke, il secondo album dell’omonima band cremonese, per una recensione che parta veloce come il disco di cui parla, che parte a sua volta veloce come non t’aspetti, con Spin me Round, voce filtrata, batteria ossessiva e chitarre distorte a farla da padrone: il ritmo è alto, spezzato solo da un intermezzo pianistico, e la seconda traccia, Don’t Lay Your Head On My Shoulder, prosegue su questa strada, introdotta da un arpeggio ipnotico che muta rapidamente forma stemperando ancora una volta in una potente distorsione, con un intermezzo ritmico di chitarre davvero molto interessante, e suoni di synth a colorare l’insieme. Due tracce decisamente “d’impatto”, ma già From Below, il pezzo seguente, cambia marcia, presentandosi come una ballata, colorata dal tremolio delle chitarre, con l’accompagnamento di una batteria minimale e di poche azzeccate note di contorno, per un arrangiamento essenziale ma di grande forza emotiva. Segue Slow Purple Dance, un inizio rumorista carico di effetti su cui si inserisce la batteria e suoni di synth vagamente ipnotici: una piccola tempesta di distorsione all’interno della quale pulsano le ritmiche, instancabili, e una voce spesso sommersa dal suono ma mai relegata in un angolo, azzeccata e d’atmosfera, quasi un puro suono tra suoni. Lunar fa registrare ancora un interessante lavoro sugli arrangiamenti delle voci, con un effetto “radiofonico” molto interessante: anche questa potrebbe essere definita una ballad, ma ancora una volta "sporcata" dall’uso di distorsioni che diventano un rumore di fondo capace di sommergere gli elementi di unità e razionalità melodica ed armonica, costituendo un tappeto  e spesso anche la sostanza stessa di ampie parti dei brani, in netta opposizione rispetto a quella forma canzone che relega la distorsione al ruolo di "catalizzatore di entusiasmi", impedendole di andare a impregnare il tessuto stesso dei brani con la sua intrinseca espressività: per intendersi, la distorsione al giorno d’oggi sembra essere necessaria solo quando c’è da gridare qualcosa, come se la sua unica dimensione potesse essere quella del “casino”, più o meno organizzato. I Jenny’s Joke ci indicano invece una strada diversa, molto meno battuta oggigiorno, che fa della distorsione un veicolo privilegiato dell’espressione. Soft as breeze, come vuole il suo titolo, è un pezzo lieve come una brezza, ma tutt’altro che leggero: l’intrecciarsi delle chitarre, coi loro effetti, è seducente ed elegante, la melodia assolutamente coinvolgente, l’insieme strumentale affascinante e carico di atmosfera, facendo di questo probabilmente uno dei pezzi migliori dell’intero lavoro. New Day Dawning torna ad alzare il ritmo in un’orgia di feedback, distorsione e synth, a metà tra il rumore, che ancora una volta ingloba tutta la “struttura”, e la melodia, su cui si librano gli arpeggi delle chitarre. The freaky story of Somebody Else è strana come vuole il suo titolo, parte con un effettaccio che sembra rimandare alla dance, voci filtrate e l’ingresso in sordina della batteria, per sfociare in un arpeggio “claudicante” di chitarra che lascia esplodere il pezzo solo a tratti, alternando momenti colorati dalla batteria elettronica a momenti di esplosione chitarristica: un pezzo coraggioso e molto interessante, certamente lontano da qualsiasi estetica “pseudo- indie”, e molto più vicino alla sperimentazione. Singing in the Brain, con questo titolo che gioca scherzosamente col Singing in the Rain di cinematografica memoria, riporta il disco su atmosfere lente e rarefatte, con una melodia vocale sporcata dagli effetti ma efficace ed arrangiamenti ancora molto ben curati, in perfetto equilibrio tra tentazioni elettroniche e “cosmiche”: degno di nota il breve assolo di chitarra sul finale, azzeccato per quanto semplice. The Acrobat potrebbe essere considerato come il brano più ambizioso dell’intero lavoro, oltreché il più lungo (sette minuti): lento, catartico, dolente, squassato dalla batteria nei ritornelli, in precario equilibrio tra silenzio e suono, un sound nel quale complessivamente torna a galla in modo più evidente la sofferenza che già portavano con sé alcuni brani del precedente lavoro, un sound essenziale, nel quale niente è di troppo e con una coda strumentale a metà tra l’armonia e, davvero, la dissonanza, uno strano ma azzeccato connubio di musica e anti-musica. Come l’acrobata del titolo, si cammina su un filo teso sopra il vuoto. Chiude questo album Puddles, lenta, semi- acustica, arricchita da echi di organo, un brano molto lontano dall’incipit Spin me Round, e in fondo è un po’ come se ci fossimo spostati, come se avessimo viaggiato da un capo all’altro di questo disco nel corso delle undici canzoni che lo costituiscono, come fosse un percorso e non un dischettino di plastica: “I hit the ground, finally”, recita il testo, chissà… magari l’acrobata ha perso l’equilibrio, magari (ricollegandosi al precedente lavoro The Ninth Scene) qualcuno ha tagliato quella corda sottile. Di certo i Jenny’s Joke non hanno perso la bussola che, a colpi di buona musica, li ha condotti fin qui. Mi resta solo un dubbio generale, didascalico e banale quanto si vuole, ma pur sempre lecito, credo: perché la musica di qualità non riesce mai, almeno qui da noi, a conquistarsi un vero spazio nel panorama discografico e musicale, a scapito della banalità da cui quotidianamente veniamo sommersi come si trattasse di grande musica? È un peccato che molti siano destinati a perdersi lavori come questo, che hanno tutto per raggiungere anche vaste fette di pubblico senza sacrificare l’originalità e la qualità. Misteri.

Io intanto torno ad ascoltarmi The Acrobat.

A chi volesse ascoltare qualcosa di questo nuovo album dei Jenny’s Joke, consiglio una visitina al MySpace Ufficiale; i testi e tutte le curiosità sono reperibili sul rinnovato sito della band. Buona musica!

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