June Round-Up: eighties vibes, dreamy landscapes and days like these

John Mayer annuncia il suo ritorno con l’album Sob Rock, che verrà pubblicato il prossimo 16 luglio, e lo fa con un nuovo singolo, Last Train Home, e un EP di accompagnamento. Last Train Home è rock di gran classe, una ballad romantica profondamente debitrice di un certo sound anni ’80 (in particolare quello di band AOR come i Toto) cantata da Mayer col piglio del gran narratore di storie, impreziosita da una band di supporto al solito stellare (cito solo il mio adorato Sean Hurley al basso, il percussionista Lenny Castro e il tastierista Greg Phillinganes, questi ultimi due già collaboratori dei succitati Toto) e da un lavoro di chitarra solista che resta impresso in testa, così come il duetto con Maren Morris sugli splendidi ritornelli. Nell’EP si trovano inoltre altri tre brani che entreranno in Sob Rock, ovvero il felpatissimo groove di New Light, la ballad notturna Carry Me Away (si segnala altra melodia vocale che sconquassa i precordi) e infine il romanticismo senza tempo di I Guess I Just Feel Like, nobilitata da un altro assolo di chitarra memorabile. Sob Rock si preannuncia come un disco ricco di ballad e grondante deliziose vibrazioni anni ’80: personalmente sono molto, molto curioso di ascoltarlo.

Questa non è musica pubblicata a giugno, anche perché del disco da cui proviene abbiamo già parlato ampiamente alla fine di aprile, e però ho pensato che questo Tiny Desk Concert (Home edition, come siamo ormai abituati) tenuto da Pino Palladino insieme a Blake Mills valesse la pena di essere condiviso con voi. I brani provengono ovviamente dallo splendido Notes With Attachments, e il piccolo ensemble che li reinventa dal vivo comprende, oltre a Palladino e Mills, anche il sassofonista Sam Gendel e Abe Rounds alle percussioni. Apre le danze una sognante rilettura di Just Wrong, col fretless di Palladino a intessere meraviglie su cui ricamano le chitarre di Mills e soprattutto il sax di Gendel: a un certo punto il basso stoppato del buon Pino introduce a un intermezzo a ritmo serrato che sfocia in una ripresa ancora più sospesa del tema principale del brano. Sono circa 7 minuti di stupore, dall’inizio alla fine: parliamo di quattro musicisti, ma sembra di ascoltare un’orchestra intera, tanto il suono è pieno, denso, affascinante. I ritmi africani si prendono la scena con l’irresistibile groove di Ekuté, le chitarre e il sassofono a rincorrersi sul tappeto percussivo gestito da Palladino e Rounds, facendosi spazio tra sospensioni delicate e pieni d’insieme travolgenti. La conclusiva riproposizione di Djurkel vira ancora di più verso lo sperimentalismo, con la chitarra fretless di Mills a disegnare arpeggi dilatati nei quali si incastra perfettamente il basso di Palladino, e Gendel e Rounds che danzano l’uno intorno all’altro: la traccia assume così un carattere sognante, sospeso, come un’alba colta proprio nei suoi primi istanti, coi primi raggi di luce che emergono dall’oscurità. Se non fosse bastata la grandezza di Notes With Attachments, questi 21 minuti di esecuzione live vi faranno capire una volta per tutte di cosa stiamo parlando: musica al suo massimo, che si reinventa continuamente, mai uguale a se stessa ma sempre in divenire, realmente sperimentale e definitivamente preziosa. Fatevi un regalo, e schiacciate play qua sotto (io intanto corro a comprarmi una chitarra fretless!!).

In questo giugno sono infine giunte notizie lungamente attese da Duluth, Minnesota: i Low tornano con un nuovo album, Hey What, in uscita il prossimo 10 settembre. Sono sempre belle notizie anche perché in giro ci sono pochi gruppi in grado di vantare una carriera come quella della band di Mimi Parker e Alan Sparhawk, e una capacità di sperimentare, reinventarsi e riscriversi ogni volta come quella che ne ha caratterizzato i primi 27 anni di attività. Hey What segue lo splendido Double Negative, del 2018, e riprende quel discorso laddove si era interrotto, per spingerlo in territori nuovi: distorsioni, elettricità statica e scariche di feedback incorniciano la prima metà del brano, che ha la pregnanza e la forza emotiva di una specie di inno (intonato rigorosamente a due voci), per sfociare nella seconda parte in una sorta di riflessiva elegia ambient per bassi profondissimi e tastiere sognanti, baluginii di eternità che vagheggiano un’ideale quiete dopo la tempesta. When you think you’ve seen everything/ ‘find we’re living in days like these, cantano Alan e Mimi all’inizio del brano: e io penso di essere proprio fortunato a stare sulla terra insieme a loro e a questa musica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.