"La Scopa Del Sistema", David Foster Wallace

Fuori, nel croccante prato marzolino, alonata dai fasci di luce che spiovono dai lampioni, tra capannelli di ragazzi in blazer blu che risalgono il vialetto rifinendosi l’alito a colpi di mentine, assapora una breve epistassi.

Con questa frase si chiude il primo capitolo de La Scopa del Sistema, romanzo che segna l’esordio letterario di David Foster Wallace, datato 1987, e pubblicato dunque quando l’autore era poco più che ventiquattrenne. Uno strano notturno a chiosa di un capitolo intricato e carico di humour, che spazia tra un erotismo molto particolare e l’accumulazione di particolari inquietanti ed insoliti che torneranno ad echeggiare nelle cinquecento pagine successive, ambientate per la grandissima maggior parte (salvo qualche breve flash-back) nel 1990. Già perché questa storia comincia col singolare prequel del primo capitolo, ambientato nel 1981, che ci presenta la protagonista poco più che ragazzina, Lenore Beadsman, in visita al college della sorella Clarice e coinvolta, per l’appunto, in una vicenda molto singolare, per poi proseguire nove anni dopo, nel 1990, come detto, prendendo le mosse dalla sparizione della bisnonna di Lenore, con la quale la nostra protagonista condivide il nome e alla quale deve gran parte della sua “educazione” extra-scolastica, se è vero come è vero che la bisnonna, allieva diretta di Ludwig Wittgenstein, ha tentato (riuscendoci) per anni di indottrinare la bisnipote a riguardo delle teorie del linguaggio del grande filosofo, convincendola del ruolo “funzionale” delle parole ma soprattutto di poter essere considerata reale, di esistere realmente solo in riferimento a quanto di lei stessa possa essere detto, raccontato, narrato. Ciascuno di noi esiste solo in quanto oggetto di una narrazione, e pensarsi al di fuori di un orizzonte che ci vede “narrati” equivale a farsi saltare in aria la testa, un po’ come accade al barbiere del paradosso più volte citato nel testo. La sparizione della bisnonna di Lenore, appunto, bisnonna alla quale dunque la giovane protagonista deve un po’ quella sensazione di non possedere alcun reale controllo sulla propria esistenza, di essere in qualche modo “inventata” o se non altro parte di un racconto della quale ella non è narratrice (come ovvio, dato che l’antinomia è sempre in agguato); attorno a questa sparizione si accumulano e strutturano numerose sottostorie che alla fine la nascondono, la minimizzano, quasi la pongono sullo sfondo della vicenda a cui da il là, e che riguardano una miriade di personaggi uno più improbabile dell’altro, nella consueta complessità degli intrecci di Wallace: da Rick Vigorous, che ama considerarsi il fidanzato di Lenore, e ne è tra l’altro il datore di lavoro, ma che in pratica finisce per rappresentare un periodo della sua vita, prossimo alla conclusione, nel quale ciò che più d’ogni cosa la protagonista brama sono le storie, e un buon narratore, quale Rick indubbiamente è, che la faccia sentire protagonista di una storia sempre nuova o che la ponga fuori dal fuoco della parola raccontandole storie che non la riguardano, Rick Vigorous che è la negazione vivente del suo stesso cognome, date certe sue piccole caratteristiche fisiche che lo pongono in serio imbarazzo nella sua volontà di possedere Lenore, volontà che finisce per esprimersi in un possesso psicologico laddove questo non possa realizzarsi fisicamente, fino al punto di avviare la scrittura di un racconto nel quale tentare in qualche modo di “intrappolare” la giovane amata; lo psichiatra di Rick e Lenore, Dr. Jay, coi suoi metodi decisamente poco ortodossi e, apparentemente, qualche segreto da nascondere; la singolare e mastodontica famiglia di Lenore Beadsman, dall’albero genealogico capziosamente intricato, proprietaria di una delle più grandi industrie di alimenti per bambini d’America, la "Stonecipheco Alimenti Per L’Infanzia", in procinto di lanciare sul mercato un nuovo sensazionale prodotto che sviluppa più rapidamente le facoltà intellettive e la parola nei lattanti, nelle persone del padre e dei suoi scagnozzi, totalmente assorbiti dal successo imprenditoriale, della madre impazzita, della sorella Clarice con la sua famiglia folle e una pace armata in salotto costruita su un deprimente “teatro di famiglia”, del fratello Stonecipher La Vache Beadsman detto “L’Anticristo”, giovane geniale e ben più che dedito al consumo di droghe di ogni genere, dell’altro fratello John, praticamente anoressico al punto da sparire e nella storia e, significativamente, nelle pieghe del romanzo, dalle quali riaffiora solo qua e là; tutti gli altri personaggi che con la bisnonna Lenore Beadsman condividono la vita nella casa di riposo di Shaker Heights, e che spariscono con lei, in numero di venticinque tra altri pazienti e infermieri e familiari e quant’altro, oltre all’inquietante presenza di Mr. Bloemker, direttore della clinica “fidanzato” con quella che sembra essere, a tutti gli effetti, una bambola gonfiabile; il genio della biologia molecolare Norman Bombardini, proprietario del palazzo in cui ha sede la "Frequent & Vigorous", casa editrice per metà di proprietà di Rick Vigorous e per la quale appunto lavora Lenore come centralinista, che, a seguito del fallimento del proprio matrimonio, ha deciso di mangiare l’intero pianeta gonfiandosi a dismisura in una brama di potere e possesso senza limiti, e che si invaghisce di Lenore al punto dal volerne fare “una parte di sé”, e non ci vuole troppa fantasia per intuire come Bombardini desideri fisicamente “ingoiare” Lenore perché ella faccia parte di lui. L’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe ancora uno sguardo parziale sulla vicenda, dato tutto quello che dovrebbe essere ancora detto su queste storie e sui protagonisti delle stesse: probabilmente può essere indicativo ricordare come questo testo, nato da una delle tesi di laurea di Wallace, sia gonfio quasi fino a scoppiare di tematiche assai care allo scrittore, e che torneranno nove anni più tardi in quel capolavoro che è Infinite Jest, dall’assunzione socializzante di droghe di ogni genere all’ossessione del corpo e dell’uso che ne fanno i protagonisti (ad esempio, la bisnonna Lenore ha necessariamente bisogno di vivere ad una temperatura di 36.9°, in quanto il suo corpo tende ad assumere la temperatura esterna del luogo in cui ella si trova, con annesse prevedibili problematiche; Rick Vigorous e le sue difficoltà fisiche; Stonecipher La Vache Beadsman, l’ormai noto “Anticristo”, e la sua gamba finta; per fare un parallelo con Infinite Jest basti pensare al corpo sofferente e assurdamente sformato di quel fantastico personaggio che è Mario Incandenza, o ai frequenti problemi dentali del protagonista Hal, o al braccio enorme dell’altro fratello, Orin, e così via solo per fermarsi alla superficie del discorso), dall’adolescenza toccata da genialità precoce (La Vache o la stessa Lenore, Hal in Infinite Jest) a un uso tutto particolare dell’ironia nelle descrizioni come nella strutturazione della narrazione: La Scopa del Sistema è una sorta di peculiare compendio, nel quale al solito la linearità del narrato non figura tra i principali interessi dell’autore, molto più intrigato dalla possibilità di “sparigliare” le carte a tal punto da costringere il lettore a tuffarsi e a capitombolare qua e là tra le pagine per riallacciare un filo logico in quello che legge, filo logico, sia chiaro, ben presente ma “nascosto”, pigiato e deformato tra le righe. Come ricorda Bartezzaghi nella prefazione al testo, edito da Einaudi, è quantomeno singolare che l’autore di una raccolta di racconti intitolata all’Oblio sia poi lo stesso che maggiormente, almeno nella lettura contemporanea, richiede al suo lettore sforzi di memoria tanto grandi per seguire gli intrecci delle vicende narrate. Dal punto di vista della scrittura, forse si potrà notare come qua e là il periodare di Wallace, almeno per il modo in cui traspare nella traduzione, non sia ancora del tutto al livello mostruoso (e mostruosamente intricato) di Infinite Jest, e soprattutto come l’uso delle note al testo, che nella sua opera maggiore costituiranno un momento fondamentale della narrazione al punto da occupare circa duecento delle milletrecento pagine del romanzo, non sia qui ancora stato individuato come veicolo privilegiato del moto digressivo intrapreso dai personaggi e dalle loro vicende. Ma La Scopa del Sistema è soprattutto una sfida lanciata al lettore, un enorme rompicapo- barra- racconto- barra- paradosso- barra- antinomia, tutto basato sul significato e sul valore della Parola e sul momento fondante del "racconto": ho letto qua e là come il romanzo si possa leggere soprattutto come atto d’amore e fiducia completa nelle Storie, e nel potere delle Parole, e questa può essere una serena chiave di lettura. Fatto è che La Scopa del Sistema è soprattutto una trama che si avvolge su se stessa, un enigma da decifrare, un puzzle distrutto da ricomporre, nella quale la scrittura tenta costantemente di contestualizzare ogni singola parola di modo da non perderne il controllo, di modo da poter continuare a narrare in un fluire di “pieno” che non lasci spazio al “vuoto” incontrollabile: Lenore, che si sente etero- diretta, ad un certo punto si assenta, e manca dall’ultimo capitolo, il ventunesimo, dopo aver taciuto per buona parte del ventesimo, nel corso di un rapido precipitare degli eventi, pur stuzzicata dal martellare degli altri protagonisti che in qualche modo vogliono controllarla rendendola parte di una Storia, tutti riuniti nell’androne del Bombardini Building dove ha sede la "Frequent & Vigorous"; Lenore sfugge al libro, ed il libro, il racconto, non può che divenire autoreferenziale, come appunto l’ultimo capitolo dimostra, risolvendosi in una frase tronca ma nella quale l’ultima parola è facilmente intuibile. Lenore sfugge al libro e alla Storia perché per una volta pensa con la sua testa, e nessuno degli altri personaggi che vuole controllarla né tantomeno lo scrittore può farle fare ciò che vuole: diviene tridimensionale e calandosi in un tunnel telefonico recupera il controllo di sé. Rick Vigorous non potrà che cercare di contestualizzarla, per reintrodurla in qualche modo all’interno di un orizzonte narrativo, ma resta il fatto che ella si è assentata. L’ansia di dire e pronunciare parole che mettano ordine nella storia come fosse un fiore appassito da conservare tra le pagine di un libro, sfiorisce a sua volta in un paradosso, un romanzo che perde la sua protagonista e dunque il suo centro: vi è una conclusione definita, in qualche modo, diversamente da come avverrà per Infinite Jest, ma anche qui è difficile dire di aver riallacciato compiutamente tutti i nodi. In effetti, come accade per Infinite Jest, appena concluso il romanzo resta la voglia di ripartire da capo per cercare di inquadrare tutta la vicenda nell’ottica della sua conclusione, ed io non posso che consigliare, come feci a suo tempo per il capolavoro di Wallace, di farlo senza esitazioni: La Scopa del Sistema partecipa della stessa magia dell’audiovisivo che dà il titolo a Infinite Jest, la magia di Infinite Jest stesso, e cioè quella di incollarti in qualche maniera a quello che leggi. Sarebbe l’intrattenimento perfetto se non contenesse anche al suo interno l’antidoto e la negazione dello stesso. Comunque la si veda, un’esperienza da provare, anche se le mie parole non le rendono la giustizia che merita.

Lenore stava osservando il disegno sul verso dell’etichetta Stonecipheco posata sulla pila di quaderni nel cassetto della scrivania. Raffigurava una persona, infilata in quello che si sarebbe detto un camice. In una mano impugnava un rasoio, nell’altra una bomboletta di schiuma da barba. Lenore riusciva a distinguere la scritta “Noxzema” sulla bomboletta. La testa della persona era un’esplosione di schizzi d’inchiostro.
– Stavo guardando questo, – rispose.
Mr. Bloemker si avvicinò. Puzzava come un pannolino da cambiare. – E sarebbe? – chiese, sbirciando da sopra la spalla di Lenore.
– Se è quello che io credo che sia, – disse Lenore, – è una specie di indovinello. Un come si chiama. Una antinomia.
– Una antinomia?
Lenore annuì. – Nonna adora le antinomie. Credo che questo tizio qui.. – abbassando lo sguardo sul disegno sul verso dell’etichetta – … sia il barbiere che rade solo e tutti quelli che non si radono da sé.
Mr. Bloemker la guardò. – Un barbiere?
– L’atroce dilemma, – disse Lenore, rivolta al pezzo di carta, – è se il barbiere si rada da sé o meno. Credo che sia questo il motivo per cui la testa gli è esplosa.
– Cioè a dire?
– Se lo fa non lo fa, se non lo fa lo fa.
Mr. Bloemker contemplò il disegno. Si accarezzò la barba.

PS: Qui trovate un altro paio di estratti dal romanzo. Buona lettura!

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