"Madre Notte", K. Vonnegut

«In un paese civile Madre notte di Kurt Vonnegut dovrebbe essere diffuso nelle scuole al pari di Se questo è un uomo di Primo Levi. Le osservazioni sulla vita mascherate da filosofia spicciola concentrate nei romanzi di Vonnegut sono una forma di sapienza naturale che una volta tanto nega che tutto debba risalire ad un’ancestralità sorda e bestiale […] Solo James Thurber e Salinger possono vantare la stessa leggerezza nel parlare delle cose del mondo senza emettere giudizi» (D. Brolli, Segrete identità, p.222 Baldini & Castoldi, 1996).

Con questo romanzo del 1961, Vonnegut ci presenta uno dei personaggi che torneranno anche in Mattatoio n.5, Howard W. Campbell Jr., americano vissuto in Germania e passato alla causa del nazismo, del quale divenne megafono e voce nelle onde corte, lavorando al Ministero della Propaganda sotto Joseph Goebbels. Un personaggio che ha fatto il male, che ha dato al male un "appeal mediatico", che ne ha giustificato le azioni, che ha diffuso il pregiudizio e l’odio, quasi l’incarnazione del Male assoluto, come viene definito nel romanzo da un vecchio soldato americano, romanzo che altro non è se non la raccolta delle confessioni di una vita, scritte in prima persona da un Campbell ormai anziano, rinchiuso in attesa di processo per crimini contro l’umanità in una cella dello stato d’Israele. Così nelle pagine scorrono le memorie di un’intera vita, e veniamo a conoscenza dell’attività di drammaturgo, poeta e scrittore rivestita a Berlino prima della guerra da Campbell e, soprattutto, scopriamo come fosse diventato una spia al servizio degli Stati Uniti d’America, e come sia riuscito, in tale veste, a raggiungere i gradi più alti del partito nazista, mentre la sua propria vita andava a rotoli, sbriciolandosi completamente. Con le sue trasmissioni nelle onde corte, Campbell passava messaggi cifrati agli americani, basati sulle pause, sui respiri, sull’uso e la posizione di certe parole; una vita schizofrenica, la sua, come quella di molti uomini moderni, in cui la finzione si somma alla finzione mentre anche gli affetti sinceri, inevitabili pur in un clima di totale menzogna, iniziano a sfuggire. Campbell era riuscito, sotto la protezione degli americani, a vivere sano e salvo per quindici anni a New York, salvo venire poi scoperto da tutti a seguito di una serie di sfortunate coincidenze. Vonnegut ci mostra, con una prosa asciutta e sotto la forma delle “memorie” (un personaggio di finzione che nel corso della vita si finge qualcos’altro e che adopera, nel narrare di sé, quella che Tabucchi ebbe modo di definire la “sottile finzione letteraria dell’autobiografia”), il lento scivolare di un uomo verso il labilissimo confine che separa bene e male in situazioni estreme come quelle della guerra: “un uomo è quel che finge di essere, sicché deve stare molto attento a quel che fa finta di essere.”: e cos’è Howard W. Campbell Jr.? Un uomo che ha sposato il nazismo per convinzione politica o per necessità di spionaggio? Un razzista, un antisemita o un uomo che ha recitato fino in fondo la propria parte, fino alle estreme conseguenze, fino a rendersi del tutto inconfondibile da quel Campbell- nazista che tutti credevano realmente fosse? Interrogativi importanti, che fanno il paio con la sensazione, che si diffonde nel corso della lettura, della guerra come uno stupro, qualcosa che ruba definitivamente l’innocenza a chiunque ne venga raggiunto, o anche solo sfiorato, rendendo alla fine impossibile discernere bene e male quando l’uomo diventa bestia ed incubo per l’uomo. Campbell vive sulla sua pelle una realtà di orrore e follia che ha definitivamente cambiato tutti i suoi protagonisti, da una parte e dall’altra, offesi ed umiliati dalla storia: rigurgiti neonazisti nel bel mezzo dell’America liberale, tutti persi nei loro folli propositi (il vecchio dottor Jones e la sua cricca), alla ricerca di un’autorità, qualcuno che ordini loro come muoversi (lo stesso Campbell, in uno degli ultimi capitoli); ex vittime dei campi di concentramento che perseguono la rimozione del ricordo per sopravvivere all’orrore, come il dottor Epstein, oppure che non possono fare a meno di ricordare, cercando vendetta più che giustizia, parola questa che sembra aver perso ogni significato di fronte all’abominio della “soluzione finale”, come la madre dello stesso giovane dottore ebreo. Un orrore e una follia della quale Campbell è in larga parte riconosciuto come artefice ed ispiratore, con le sue trasmissioni di propaganda alla radio: come gli riconosce il suocero, Werner Noth, nel corso del loro ultimo colloquio, Campbell ha dato spessore alla causa nazista, ha  dato motivo di convincersi che ci fosse un perchè in ciò che sembrava irrazionale, impedendo a molti di pensare che l’intera Germania stesse scivolando nella follia: e qui si insinua l’interrogativo inquietante del testo, fa differenza che Campbell fosse in realtà una spia, un infiltrato? Pur se fosse riconosciuto innocente e quindi non imputabile di crimini di guerra e contro l’umanità, non graverebbe su di lui qualche altra colpa? Dove inizia l’obbligo e dove finisce la sua libera scelta, in tutta la sua vicenda? Come distinguere il vero dal falso, il Campbell commediografo di un certo successo, giovane idealista imbevuto di sogni e speranze, marito fedele della splendida attrice Helga, dal feroce antisemita, agitatore e propagandista che trasmette in onde corte? Una finzione tanto perfetta da sembrare la sola realtà. Cos’è l’innocenza, quando bene e male sono a tal punto confusi da non esser più riconoscibili? Campbell vive costantemente in questa contraddizione, estratto dal suo bozzolo decennale solo dall’intervento della cosa più simile ad un amico che abbia mai avuto dal tempo della guerra, guarda caso una spia comunista, in un rapporto basato ancora una volta sul confine insondabile tra realtà e bugia, come tutti quelli che lo attendono nel corso della narrazione. Più volte, durante la lettura, mi è sovvenuta quella frase di Sartre, che voleva l’uomo appartenere al regno della libertà, e la libertà essere la sua essenza: non si è mai liberi di cessare di essere liberi (perdonate la citazione, forse un pò libera e quindi non accuratissima). Questo introduce fortemente il “principio di responsabilità” nella nostra vita di tutti i giorni, e quindi porta alla domanda “quali le responsabilità di Campbell?”. Domande che non dovremmo mai cessare di porre per capire l’orrore del quale sempre più spesso sembriamo affamati, bestie più che esseri umani.





“Ci sono centinaia di buoni motivi per combattere,” dissi, “ma neanche uno per odiare senza riserve, e per credere che Dio onnipotente sia d’accordo con noi. Dov’è il male? È quella parte di ogni uomo che vuole odiare a tutti i costi, che vuole odiare e avere anche Dio dalla sua. È quella parte di ogni uomo che trova attraente qualsiasi genere di brutalità. È la parte di ogni imbecille che vuole punire, avvilire, e gode a fare la guerra.”

2 Risposte a “"Madre Notte", K. Vonnegut”

  1. Mi sembrava giusto proseguire con “Madre Notte”, sempre un libro di Vonnegut, del quale ovviamente consiglio a tutti la lettura. Ne approfitto per augurare a tutti i miei lettori un buon 2009!

  2. Ho finito oggi di leggere questo libro e quindi ho avuto modo di comprendere e apprezzare maggiormente la tua recensione a cui non mi sento di aggiungere altro.

    E’ stata davvero una lettura interessante e stimolante.

    Ciao.

    quentin84

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