Arriverà presto un terzo lavoro firmato Vulfmon, e intitolato Dot: anche a non saperne nulla sarebbe evidente, perché il buon Jack Stratton in questi mesi non si sta certo risparmiando con le nuove uscite. Marzo si è aperto con il piccolo gioiellino beatlesiano Little Thunder, realizzato dal nostro (per l’occasione al basso) con il contributo del sodale Jacob Jeffries (voce e batteria) e di Harrison Whitford (chitarra e voce), già ascoltato sulla bellissima Harry’s Theme (Lite Pullman) nel precedente lavoro di studio Vulfnik (qui per fare un ripassino). Il brano, registrato nello studio di Mike Viola (che ci ha messo anche il tamburello oltre al lavoro di mix), avrebbe programmaticamente dovuto avere delle vibes da Rubber Soul, ma finisce per sconfinare in territori vagamente più acidi, alla Revolver: chitarre graffianti, importanti aperture melodiche nei ritornelli, bassi profondissimi e rotondi e un solo di chitarra tanto acido quanto affascinante sul finale, in pieno stile sixties. Come sempre, qualità altissima.
Con la pubblicazione del singolo Prologue, lo scorso 2 Marzo Kamasi Washington ha annunciato il suo nuovo album, Fearless Movement, in uscita a inizio Maggio (il 3, in particolare) per l’etichetta Young (precedentemente nota come Young Turks e associata a XL Recordings). Come sempre accade per le opere di Washington (ma come, più in generale, dovrebbe sempre accadere), la musica è da intendersi principalmente come luogo di connessioni: non sorprende quindi che Prologue germini da un seme prezioso come Prologue (Tango Apasionado) , celebre (e stupenda) composizione di Astor Piazzolla (inclusa nel bellissimo album The Rough Dancer and the Cyclical Night (Tango Apasionado) licenziato nel 1988 dall’etichetta American Clavé e riedito nei tardi anni ’90 per Nonesuch Records; il brano ha guadagnato notorietà anche per l’utilizzo che ne ha fatto Wong Kar-Wai nel suo Happy Together, datato 1997, del quale parlavo diffusamente qui). Del brano di Piazzolla questa Prologue riprende il tema, adagiandolo su un opening elettronico dei synth e un furibondo up-tempo della batteria del solito Ronald Bruner Jr.; la rilettura viene poi infiammata da una serie di interventi solisti travolgenti, da quello (torrenziale) della tromba di Dontae Winslow a quello, dapprima pensoso e poi sempre più coltraneano, del band leader, che accompagnano il brano in un crescendo quasi orgiastico verso la ripresa finale del tema, col trombone in bella evidenza. Da qualunque parte la si guardi, Prologue è una gemma preziosa di fusion e sperimentazione sonora, tenuta insieme da una band in stato di grazia (oltre ai musicisti già citati, troviamo Tony Austin e Kahlil Cummings alle percussioni, Brandon Coleman alle tastiere, Cameron Graves al piano, Rickey Washington, il padre di Kamasi, a sassofono e flauto, e Ryan Porter al trombone). Inutile dire che, se questo è il biglietto da visita, Fearless Movement si accredita come uno dei probabili picchi del 2024 musicale (prendete nota: Washington sarà in Italia, all’Estragon di Bologna, il prossimo primo novembre).
Del primo album solista di Fabiana Palladino avevamo già detto qualcosa nel Round-Up dello scorso gennaio. L’uscita del disco (avvenuta lo scorso 5 Aprile per XL Recordings e Paul Institute) è stata preceduta da svariati singoli e, il 12 marzo, da questa I Can’t Dream Anymore: si tratta di un R’n’B levigato e affascinante, stracolmo di vibes anni ’80 (dai synth allo strumming delle chitarre), suonato (e scritto) interamente da Fabiana Palladino e da Jai Paul. Come avevo già scritto, quasi nessuno più suona del pop di questo tipo, con queste soluzioni armoniche e sonore: il disco di Fabiana Palladino si riconnette apertamente, nell’estetica e nei contenuti, al pop degli anni ottanta, reinventandolo e riaggiornandolo a una contemporaneità sempre più orfana di certe cadenze. Sono estremamente curioso di ascoltare attentamente l’album, cosa che spero riuscirò a fare presto.
Il 5 Aprile ha visto la luce anche il nuovo album di Lizzy McAlpine, altra vecchia conoscenza di chi segue queste pagine. Older, questo il titolo dell’album, è stato anticipato a Marzo (il 13, per l’esattezza), dalla ballad I guess, un brano incentrato su un amore mai sbocciato e sulla vecchia idea che “love is a matter of timing”, il mantra ripetuto dai protagonisti di 2046 di Wong Kar-Wai (questo mese va così, sto in fissa col buon Wong). I guess it’s all about timing/ I guess it’s all about the/ Things you want but never get/ I guess it’s all about trying/ To love someone you’ve never met, canta la McAlpine nello splendido ritornello, e per il resto I guess è una folk song che da dimessa e intimista, chitarra e voce, procede verso un’esplosione sonora finale chiassosa e a tratti quasi gioiosa (in questo, apparentemente e paradossalmente antitetica alle parole del suo testo). Un’altra dimostrazione di completezza da parte di una cantautrice di livello ormai acclarato, baciata peraltro da una voce che (personalmente) trovo bellissima. Spero di parlarvi presto dell’intero Older, non appena avrò un attimo per ascoltarlo con la dovuta attenzione.
Il mio amico Sebastián Tozzola ha pubblicato, lo scorso 15 Marzo, un singolo un po’ insolito rispetto alla sua classica produzione: Colmar el Aire è infatti un episodio prettamente acustico, nel quale Sebastián si cimenta appunto al basso acustico e alla voce, duettando con la splendida linea di violoncello suonata da Benjamín Báez; una ballad dal forte sapore romantico, piena di deliziosi accenti tipicamente sudamericani, accompagnata da un artwork realizzato come sempre dall’artista Pedro Strukelj. Credo che ci aspetti, per questo 2024, un quarto capitolo della serie dei Paseo del Bajo, e come sempre non vedo l’ora di ascoltarlo!
(English Version) My friend Sebastián Tozzola released, last March 15th, a single that was a bit unusual when compared to his classic production: Colmar el Aire is in fact a purely acoustic episode, in which Sebastián tries his hand at acoustic bass and vocals, duetting with the amazing cello played by Benjamín Báez; a ballad with a strong romantic flavour, full of delightful typically South American accents, accompanied by an artwork crafted (as usual) by the artist Pedro Strukelj. I believe that a fourth chapter of the Paseo del Bajo series awaits us in 2024 and, as you can imagine, I can’t wait to listen to it!
Altro disco al quale arriverò in ritardo è il nuovo album dei miei adorati Einstürzende Neubauten, Rampen (apm: alien pop music) , che ha visto la luce anch’esso lo scorso 5 Aprile. L’album, il primo per la band capitanata da Blixa Bargeld dai tempi del bellissimo Alles in Allem (correva l’anno 2020), è stato anticipato dal singolo Ist Ist, un sabba industriale di rara potenza a metà strada tra la sinfonia concreta e l’esplosione fragorosa, in bilico tra la ricerca sperimentale e le sonorità Neubauten-pop ascoltate in lavori come Silence is Sexy (la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando Ist Ist sono infatti, un po’ per il testo e un po’ per i suoni, brani come Sabrina o Die Befindlichkeit des Landes). Come sempre, quando si parla degli Einstürzende Neubauten, l’operazione è tanto musicale quanto intellettuale: al terrorismo sonoro, tramutatosi negli anni in una preziosa (e insisto, profondamente sinfonica: vederli live è essenziale per capire) rilettura degli stilemi del pop, si affianca un’elaborata e ricca ricerca dei significati, un uso colto e raffinato delle parole e il gusto per una riflessione mai meno che coraggiosa su temi profondi (un po’ come quello dell’identità, che si poteva incontrare nei brani succitati di Silence is Sexy e che mi pare emerga anche nel testo di questa Ist Ist). Musica per il cuore e per la mente.
Dot, Il nuovo album del buon Jack Stratton nelle vesti di Vulfmon, si preannuncia come una collezione di brani-gioiello: il 28 marzo il nostro ha dato alle stampe il singolo Tokyo Night, suonato con l’ormai inseparabile Jacob Jeffries e cantato dalla splendida Evangeline Barrosse. Il brano, un R’n’B giocoso tempestato di suoni insoliti (pentole e tazze amplificate e usate da Jeffries e dalla stessa Barrosse come percussioni), è impreziosito da un paio di brevi ma densi (e melodicissimi) interventi solisti di Joey Dosik, altra vecchia conoscenza di queste zone, e sembra ribadire la passione del nostro per le “ambientazioni” dal sapore nipponico (mi torna in mente la scelta di accompagnare lo strumentale Blue, estratto dal secondo lavoro Vulfnik, a un video in stile anime realizzato da Point Lobo; e a tal proposito, come potrete apprezzare schiacciando play qua sotto, il video di Tokyo Night è accompagnato da sottotitoli in giapponese). Come sempre, Stratton è musicista (e producer) di gran classe, e Tokyo Night uno di quei brani deliziosi che vorresti non finissero mai.
Chiudo facendo un piccolo strappo alla regola non scritta di questi “riassunti” mensili, che si concentrano per lo più su singoli brani ascoltati nel mese di riferimento oppure, occasionalmente, su anniversari di album in qualche modo importanti per chi scrive. Lo faccio per lasciarvi un consiglio di ascolto che meriterebbe più spazio di questo, ma il tempo è tiranno e quindi bisogna accontentarsi: lo scorso 20 Marzo, per Go Country Records, è stato pubblicato Where I Belong, un nuovo album di J. Sintoni. Il nome di questo artista potrebbe ancora dirvi poco, perché pur essendo un fantastico chitarrista e un valido songwriter, Emanuele Sintoni (classe 1974, di Cesena) è ingiustamente poco noto al di fuori dell’ambiente del blues (ambiente nel quale ha condotto la propria formazione musicale, prima di volgersi anche verso una dimensione più prettamente cantautorale). Ho avuto il piacere di conoscere Emanuele grazie alle Pistoia Blues Clinics, dove è stato insegnante di chitarra nelle passate tre edizioni (2021, 2022 e 2023, alle quali ho partecipato in prima persona come allievo) e, nel 2022, anche mio insegnante di musica d’insieme in quello stesso contesto: e sarebbe bastato il bellissimo lavoro fatto per riproporre efficacemente i brani di Stevie Wonder e Aretha Franklin (che erano al centro di quella edizione delle Clinics) a capire di che pasta sia fatto Emanuele, come artista e come persona. Nell’occasione di quelle lezioni di musica d’insieme ho avuto modo di conoscere direttamente e toccare con mano la cura prestata da Emanuele alla costruzione dei brani, alla ricerca di soluzioni insieme semplici, eleganti ed efficaci, e soprattutto la forte empatia con la quale sapeva coinvolgere tutti i musicisti nel processo compositivo; e non mi ha certo sorpreso ritrovare tutte queste caratteristiche sia nelle sue esibizioni live (è stato al Dumb di Pistoia a inizio agosto del 2023 per una serata chitarra e voce, ed è attualmente in tour per promuovere il nuovo album) che, soprattutto, nei lavori di studio. Venendo a Where I Belong, si tratta di un album prettamente acustico composto da quindici brani completamente originali: avvalendosi di una buona quantità di ospiti (da Marco Pandolfi all’armonica a Thomas Guiducci al banjo, da Andrea Taravelli al contrabbasso a Grayson Capps, importante cantautore e blues-man americano che Emanuele ha accompagnato recentemente nel suo tour europeo), il chitarrista cesenate si concentra sulla sua sei corde e sul songwriting, componendo un lavoro nel quale le sfumature bluesy si stemperano in un mix elegante di folk e country-rock. Ci sono alcuni brani davvero eccezionali, come l’opening affidata a Alone With My Song (non vorrei confondermi, ma mi sembra proprio che Emanuele lo abbia suonato al Dumb lo scorso Agosto: o, quantomeno, lo ricordo chiaramente introdurre un brano con parole che sembrano combaciare perfettamente col testo di Alone With My Song), o ancora la malinconica delicatezza della ballad Until I Run Out Of Songs, il trascinante blues del singolo Hurry Hurry o le atmosfere profondamente americane che caratterizzano Away From Home, quasi un instant classic; ma c’è spazio anche per il respiro e le atmosfere on the road di The Name of Things, per la delicata eleganza di una ballad come Rest and Survive, la raffinata malinconia di brani quali la bellissima Seven Days of Rain o anche Lights (The lights are turning blue/ and if I’m blue I think of you/ and when the lights are turning low/ Loving you is all I know: spero di non aver cannato il testo perché vado a orecchio) e, infine, per una chiusura dai toni quasi elegiaci, affidata alla solenne pensosità di The Flight of Birds.
Penso che Where I Belong sia un album che merita un ascolto approfondito e attento, e spero che queste poche, insufficienti parole siano di stimolo a qualcuno dei miei 24 lettori per andare a cercare questo disco e consumarlo, come sarebbe sempre giusto fare. Spero anche di rivedere presto Emanuele da queste parti, per un live o una clinic: e, come musicista (come allievo, s’intende, semplice appassionato e non professionista, ma pur sempre musicista: si è musicisti fin quando si sente la musica continuamente dentro la propria testa, come diceva Miles), spero di avere presto l’occasione di trovarmi ancora con lui in una sala prove a suonare un po’ di bella musica.