“Mimikry”, Alva Noto & Blixa Bargeld (2010)

Lo so, siamo in ritardo. Il disco di cui mi accingo a parlare, Mimikry, è stato pubblicato nell’ottobre del 2010 da Alva Noto, al secolo Carsten Nicolai, grande compositore di musica elettronica e visual- artist tedesco, e Blixa Bargeld, già voce e mente dei berlinesi  Einstürzende Neubauten, oltreché spalla di Nick Cave coi suoi Bad Seeds fino al 2003, e rappresenta il primo lp per questo “combo” che abbiamo imparato a conoscere (anche su queste pagine) con l’ep di debutto intitolato Ret Marut Handshake. Già le cinque tracce date in pasto al pubblico con l’ep d’esordio avevano chiarito lo stile e le ambizioni dei due artisti, e questo Mimikry non fa che rafforzare quelle sensazioni: la musica che il duo crea attraverso la fusione di stridii metallici e glitch digitali con le potenti doti vocali del cantante degli Einstürzende Neubauten è quanto di più moderno e, al contempo, evocativo possa capitare di sentire in giro di questi tempi. Già l’iniziale Fall, che apre con acufeni della voce per lasciar spazio a un tappeto di piccoli glitch ed estendersi poi su “aperture” dal vago sapore sinfonico, sporcate dai sussurri di Bargeld, chiarisce bene gli obiettivi di una musica che rappresenta una potentissima mimesi col reale: l’apparente freddezza dei suoni crea nell’ascoltatore spaesamento, disagio, persino tensione, perché rivela la freddezza del mondo in cui tutti ci troviamo a vivere, non semplicemente additandola ma mostrandola in tutta la sua forza. Così Fall scivola via ondeggiando tra il rumore e la melodia, e la successiva Once Again, con l’incedere martellante di un trapano e le voci potentemente distorte, crea nuove sensazioni forti e inquietanti, a due passi dal frastuono, strappando anche un inatteso sorriso quando Bargeld ripete la parola italiana “pazienza” durante un bridge, per poi stemperare inevitabilmente nel primo pezzo del disco che già conosciamo dall’ep d’esordio, quella One che con digitale eleganza (e tenerezza) riporta l’ascoltatore a cullarsi con l’altalena degli umori suggeriti dai due musicisti. A One seguono i singulti ritmici di Ret Marut Handshake, possente intreccio di voci e rumore industrial- elettronico processato dai pc di Noto che evolve in una bizzarra danza per drum machine martellanti ed echi diafani di suoni che avrebbero potuto essere, una pioggia di parole sommerse nel frastuono più cieco. La successiva Bersteinzimmer, long version del brano contenuto nell’ep, inizia con oscuri rintocchi su sfondo di rumori tremolanti, per lasciar spazio a sinfonie strozzate su cui la voce di Bargeld si arrampica salmodiando melodicamente il testo; I Wish I Was A Mole In The Ground, anch’essa estesa rispetto alla versione già conosciuta nel primo assaggio del lavoro del duo, continua a stupire con la sua originale fusione di folk americano tradizionale e sgradevolezze elettroniche d’avanguardia quali piccoli glitch, acufeni, disturbi, rumor bianco e altre amenità assortite, il tutto dominato dalla vocalità di Bargeld, prima calda e poi di nuovo estrema, sul tappeto intessuto da drum machine e suoni digitalizzati che accompagna il pezzo alla sua conclusione. La title- track Mimikry è di nuovo un’orgia di basi ritmiche sincopate e sprazzi melodici che si affacciano all’orizzonte, sfuggenti quasi quanto seducenti, sulla quale ancora una volta si ritaglia un ruolo da protagonista indiscussa la voce di Bargeld, vero elemento vivificante di tutta questa che si potrebbe definire, forse arditamente ma certo non senza qualche ragione, una vera e propria esperienza estetica e artistica prima ancora che un semplice disco di canzoni più o meno comunemente dette: non semplicemente musica, ma una sorta di installazione multidimensionale, nella quale occorre accettare di venir accompagnati dal trait d’union costituito dalle parole ossessive, ora sussurrate ora gridate, del cantante tedesco, attraverso angoli acuti e asperità tecnologiche disseminate lungo il percorso da Alva Noto, a mo’ di intricate prove da superare; una voce che in ogni brano si fa essa stessa puro suono, musica, ritmo, rumore, per tornare poi a scandire parole che riescono ad essere contemporaneamente (e miracolosamente) dure, come la lingua in cui sono pronunciate, e calde, come le sensazioni che riescono ad evocare nei passaggi maggiormente melodici ed evocativi, che sono rari e ben nascosti ma comunque presenti, disseminati con grazia e buon gusto malcelato dall’apparenza rude di questa musica. Accade questo in Mimikry e anche in Berghain, prima dell’esplosione rumorista finale, due minuti circa lungo i quali tutto diventa suono puro, ritmo e figura, e le parole filastrocca oblunga e misteriosa. Wust colleziona suoni distanti e stridenti intervallandoli ai rintocchi di quello che sembra lo spettro di un pianoforte lontano, per poi salire sui gorgheggi della voce e su ritmi meccanici, in un crescendo sonoro schiacciante che lascia spazio a vuoti su cui, ancora, Bargeld recita con la sua voce di un altro pianeta qualcosa che deve avere sinistramente a che vedere col mondo in cui viviamo. Questo penultimo brano ondeggia di nuovo, un po’ come l’iniziale Fall, tra silenzio e rumore, e non manca, indirettamente, di rimandare con la memoria, ad esempio, al percorso musicale intrapreso dagli Einstürzende Neubauten, dal fragoroso industrial degli esordi al raffinato Neubauten- pop portato a compimento con Silence Is Sexy. Chiude l’album l’elegante Katze, dove strani miagolii elettronici/ vocali si inseguono lungo il profilo ritmico disegnato dalle drum machine, in un pezzo che si avvale di un non meglio specificato featuring di Veruschka (supermodella tedesca in voga negli anni ’60) compiendo definitivamente l’inglobamento della vocalità di Bargeld nel magma sonoro alimentato da Noto, fino a fare di essa una sua parte indistinguibile, un ingrediente dosato con cura al pari di ogni altro glitch, rumore o loop prodotto dai pc del compositore tedesco.
Avevo già avuto modo di sottolineare, pur nella voluta freddezza dei suoni sprigionati da queste composizioni, come la musica di cui Noto e Bargeld ci fanno dono abbia in effetti un senso tutto umano: lungo gli spigoli taglienti di queste dieci tracce scivola via dolorosamente un intenso canto di solitudine e indifferenza, melodie queste che dovrebbero nostro malgrado esserci note nelle eleganti e curatissime società industriali avanzate in cui viviamo ogni singolo giorno della nostra vita. Eppure, forse senza che ce ne accorgiamo, ogni giorno qualche pezzo di noi viene strappato via nel clangore metallico del nostro mondo estraneo, ci abbandona e, scarnificato, resta lì appeso, distante a sua volta, freddo e privo di vita. La musica contenuta in questo Mimikry è dotata del grande dono di sconvolgere chi le si avvicina, presentandosi in tutto il suo freddo e lucido raziocinio come la reale colonna sonora dei nostri tempi, il trionfo dell’inumano sull’umano, una successione binaria di sì e no, uno e zero, e anime digitalizzate abbandonate a se stesse in un flusso gelido e virtuale: musica di oggi che parla di oggi. La solitudine che gorgheggia nelle tracce è reale, e il suono digitale che la lascia emergere è il suono pulsante e vivo che meglio può descrivere quei meccanismi disumanizzanti che questa solitudine, tra le altre cose, creano. Forse questa è solo musica, e tutte queste parole nient’altro che ricercato vaniloquio. Tuttavia, se siete pronti per esperire una visione realmente artistica sul vostro mondo, questo è il momento giusto per mollare sul posto la band para-impegnata del momento e gettarvi a capofitto nel labirinto sonoro imbastito per voi da questi due teutonici simpaticoni, con la certezza, questa volta sì, di essere coi piedi ben saldi dentro i nostri tempi contradditori, muti e lucidamente folli. Un’esperienza che farebbe bene a parecchi per aprire gli occhi una volta per tutte sullo stato dell’Arte.

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