Musica espansa: The Power Station Tour- West Coast (Cory Wong, 2023)

“I’m a LIVE guy. I love the energy of live shows and that’s really where my band shines. There’s something special about a group of 10 musicians on stage giving it everything they’ve got with a packed room of people giving that energy right back. My live show is a balance of highly arranged material with jumping points that give ample room for exploration night after night. This album is a collection of our favorite journeys through each song.”

Come i più fedeli lettori di questo blog avranno probabilmente già notato, su Arcipelaghi prendiamo maledettamente sul serio la musica di Cory Wong: non per altro, ma personalmente ritengo che chiunque metta così tanta gioia dentro la propria opera meriti un’attenzione speciale, più “intensa”, per così dire. Ogni album licenziato dal chitarrista e compositore di Minneapolis diventa una ghiotta occasione per fare tutti quanti un salto avanti dentro la miglior musica contemporanea; perché la musica si suona, insieme agli altri, ed è fatta di cose basilari ma fondamentali come l’interplay, l’ascolto reciproco, la volontà espressiva; perché la composizione è oggi più che mai qualcosa di maledettamente essenziale, un gusto che bisognerebbe fare di tutto per preservare. La mia idea su Cory Wong l’ho espressa più e più volte su queste pagine, ed è riassumibile in un giro di parole: un musicista e un compositore di primo livello che soprattutto ha una Visione, qualcosa che non è limitato al singolo album, al singolo tour, al singolo pezzo da dare in pasto allo streaming. In ogni opera di Wong, sia essa un LP a suo nome, un album realizzato in collaborazione con altri musicisti, un EP o un live, in ogni solco di ogni vinile c’è qualcosa che valga la pena ascoltare, la capacità autentica di plasmare la materia musicale, la curiosità di chi si butta a capofitto dentro qualcosa, il senso dell’avventura, la serietà del gioco. È passato già più di un anno da quando, su questo blog, recensivo un altro album “live” del nostro, quel The Paisley Park Session che vedeva Wong impegnato, insieme ai suoi Wongnotes, in un classico live in studio presso i leggendari Paisley Park Studios di Minneapolis, già proprietà del nume tutelare (e genio musicale, e illustre concittadino di Wong) Prince; e a un anno di distanza vi parlo oggi di questo The Power Station Tour- West Coast, album registrato da Wong con la band nella parte di tour affrontata nel 2022 lungo la West Coast, appunto, in accompagnamento al recente, splendido ultimo album, Power Station (se ne parlava abbondantemente qui e qui). L’atmosfera di questo The Power Station Tour- West Coast è ovviamente diversa da quella che si respirava nelle Paisley Park Session: quest’ultimo ero un live in studio, qualcosa di simile a quanto fanno spesso band come gli Snarky Puppy, sebbene non esattamente uguale; diciamo, una registrazione live in presa diretta in un contesto intimo come quello offerto da uno studio di registrazione. The Power Station Tour- West Coast nasce invece in un contesto completamente differente, compiutamente live: il disco è una testimonianza diretta di un tour che ha portato Wong e la sua band dentro gli stadi, i palazzetti dello sport, i teatri e i locali per musica dal vivo, e la sua musica di fronte a un pubblico (molto numeroso) di appassionati in carne e ossa. In un certo senso, la musica stessa ne esce di fatto “espansa”, allargata a una platea multiforme e vasta: ha più spazio per vibrare, arricchendosi di nuove armoniche, gonfiandosi a dismisura fino a riempire gli ambienti offerti da teatri e palazzetti. Dal punto di vista tecnico, quindi, un live album vero e proprio, mixato sapientemente dallo stesso Wong insieme al FOH Engineer Miles Hanson (tra l’altro, un lavoro sonoro coi fiocchi).

Insieme a Wong ritroviamo sul palco musicisti eccezionali, quegli stessi che abbiamo ormai imparato a conoscere grazie agli ultimi dischi del nostro: la band che accompagna il compositore di Minneapolis si è infatti un po’ stabilizzata negli ultimi anni attorno al nucleo offerto dai Wongnotes (ovvero Sonny T al basso e alla chitarra, Kevin Gastonguay alle tastiere, Petar Janjic alla batteria) con in aggiunta la sezione di fiati costituita di fatto dagli Hornheads capitanati da Michael Nelson al trombone (cioè Eddie Barbash come sax alto e soprano, il fenomenale Kenni Holmen al sax soprano, tenore, flauto e ottavino, Jake Botts al sax baritono e al clarinetto basso e Jay Webb a tromba e flicorno). In aggiunta a questi musicisti, in alcuni dei brani inclusi nell’album possiamo ascoltare Sierra Hull (voce e mandolino) e Robbie Wulfsohn (voce), che hanno accompagnato Wong e i suoi Wongnotes per alcune date del tour.

Il valore aggiunto di questo live album è però quello di non limitarsi a fare un copia-e-incolla della tracklist del disco che gli dà il titolo ma di ampliare il discorso, ponendosi di fatto come un prodotto complementare alla visione mostrata nell’album, che cioè lo completa e soprattutto lo arricchisce: la consueta prolificità dell’artista di Minneapolis è testimoniata dai ben 19 brani presentati, che attraversano trasversalmente la carriera di Wong dai lavori solisti a quelli realizzati con band come i Fearless Flyers o i Vulfpeck. Molto, moltissimo funk, ovviamente, ma non mancano i momenti atmosferici, o le ballad in odore di jazz, con la garanzia del consueto, stratosferico lavoro dei fiati (si prenda ad esempio la brillante riproposizione di Smokeshow, con la sua intro di sassofono). L’album inizia subito con una combo di pezzi che vengono proprio dall’esperienza con le due principali band delle quali Wong fa parte, ovvero i già citati Fearless Flyers e Vulfpeck: si tratta di una versione adrenalinica di Assassin, già ascoltata sul primo LP dei FF, Tailwinds, nella quale Petar Janjic tiene botta con eleganza al drumming stratosferico del Maestro Nate Smith, e dell’omonima Cory Wong (It was so nice of Cory’s parents to name him after this song, per chi si fosse perso gli episodi precedenti), nobilitata da un solo di basso di gran classe del buon Sonny T. A seguire ci sono una versione espansa di Team Sports, già ascoltata in Elevator Music for an Elevated Mood, con una parte centrale e una coda che presentano un eccezionale duetto tra il basso di Sonny T e la chitarra solista di Wong, e la riproposizione di You Got To Be You, tratta invece dal Vulf Vault dello stesso chitarrista, quel Wong’s Cafe che è stato uno dei migliori album ascoltati lo scorso anno: in questa versione live, You Got To Be You preserva tutte le deliziose vibes tipiche del wurlitzer di Woody Goss, con in più un filo di aggressività funky. Brooklyn Bop è invece un inedito, suonato da Wong con la band nel corso del tour e immortalato in un video pubblicato lo scorso dicembre sul canale Youtube dell’artista (registrato il 19 Novembre 2022 nella data di Austin, TX, e che trovate in fondo a questo testo): un esempio luminoso di urban funk con un solo strabiliante di Sonny T al basso (che peraltro ci mette anche la voce, in un sorprendente interplay basso/batteria/voce che accompagna una bella porzione del pezzo). Brooklyn Bop si esaurisce in una coda strumentale per chitarra sognante, batteria minimale e tromba, coi fiati in grande evidenza. La successiva Home arriva invece da Motivational Music for the Syncopated Soul, dove era suonata col contributo di Jon Batiste al piano: qui diventa un momento atmosferico, che separa la lunga suite di Brooklyn Bop dalle derive country del blocco a seguire. Su Home assistiamo a interventi solisti dei fiati e della stessa chitarra di Wong, su un substrato da ballad con echi jazzy costruito dalle tastiere e dalla batteria.

Bluebird proviene da Trail Songs (Dawn), e fa il paio con Pebbles, primo brano estratto da Power Station, nel riproporre quelle atmosfere roots-rock che da un po’ di tempo Wong insegue nei suoi lavori. Si tratta in entrambi i casi di “tiny instrument versions”, ovvero in primis canzoni suonati con “strumenti piccolini” oltreché riletture che aggiungono alle atmosfere country un netto cambio di passo funk, incarnato soprattutto dal supporto ritmico (come particolarmente evidente nella riproposizione di Pebbles). A questi brani, non a caso, seguono due pezzi eseguiti con Sierra Hull, ovvero 25 trips e Long Way: se il primo è un folk-rock cantato, il secondo è un divertissement country trascinante, ancora ibridato con le ritmiche funk messe in moto dal dinamico duo Janjic- Sonny T.

Massive, estratta da The Striped Album, riporta il sound verso il metal funk, ma la successiva Smokeshow, altro episodio proveniente da Wong’s Cafe, mescola ancora le carte: a introdurre il brano, in una versione decisamente dilatata, è un solo di sassofono in forte odore di smooth jazz, chiave di volta ideale per accompagnare l’ascoltatore verso il tema del pezzo. La successiva Kenni and the Jets riprende in chiave sincopata il pezzo omonimo incluso in Tailwinds dei Fearless Flyers, con il buon Kenni Holmen giustamente sugli scudi. Let’s Go riprende il brano originariamente incluso su Wong’s Cafe ma nella sua versione vocale, già ascoltata in Here We Go Jack di Vulfmon, affidando ai fiati il compito di replicare le parti vocali originariamente cantate da Bill Viola. Radio Shack (già in The Joy of Music, the Job of Real Estate) ci accompagna in una fulminante incursione nel surf-Vulf, un sound che purtroppo i nostri hanno sviluppato poco al di là di questo episodio. Synchronicity (ancora pescata da The Striped Album) ritorna ad essere un brano cantato, con Robbie Wulfsohn che presta la voce a un pezzo che suona sempre folgorante come su disco, stesso effetto che fa lo splendido funk di Light as Anything, risalente a qualche anno prima (l’album era The Optimist, del 2018), ancora cantata da Wulfsohn. A seguire questi due passaggi c’è spazio anche per il cazzeggio di Middle School Dance Medley, sempre con Wulfsohn alla voce: un flusso di brani dance degli anni ’90 riarrangiati dai Wongnotes, in un crescendo di retro-disco nostalgica. Chiude il lavoro una rilettura di Starting Line, brano tratto da Motivational Music for the Syncopated Soul, e riproposto qui col contributo di Wulfsohn e di Sierra Hull.

Com’è facile intendere anche da questo breve (!?) resoconto, The Power Station Tour- West Coast è tutt’altro che il classico album live monolitico e incentrato sull’ultimo lavoro di studio del suo autore: se lo si volesse descrivere con una similitudine, direi che assomiglia più a un mosaico, a un’opera composita e stratificata, nella quale la mano dell’artista è sempre, assolutamente evidente ma il risultato va a comporre un quadro inatteso, differente. In qualche maniera Cory Wong, in queste diciannove tracce, sembra voler gettare uno sguardo onnicomprensivo dietro le proprie spalle, ad abbracciare tutto un percorso; un po’ come quando si prende una bella rincorsa per spiccare il prossimo, coraggioso salto in avanti. Ed è un passo coraggioso quello che spinge a voler rileggere ogni volta, da capo e con inesauribile inventiva, un repertorio tanto ricco, sfaccettato e complesso; significa che si concepisce la propria musica come un qualcosa di fluido, di vivo, in costante evoluzione, sempre cangiante, e che si accetta il rischio di esplorarne anche lati inattesi, di approcciarla da un altro punto di vista, di rivoltarla come un calzino, a volte; di lasciarla parlare, darle fiducia e permetterle di esprimersi totalmente. Perché, si sarà forse chiesto Wong, perché dovrei fare un disco di versioni live di brani già contenuti nell’ultimo album? È una cosa che fanno tutti. Perché invece non fare un disco che espanda quel mondo musicale, quello dell’album, e lo espanda verso (e dentro) tutto il mio mondo musicale, che è ben più vasto, cercando di portarci dentro la mia più recente, nuova sensibilità strumentale e compositiva? Quando mi chiedo perché mi piaccia tanto la visione musicale di Cory Wong finisco sempre per pensare che sia perché Cory Wong è evidentemente un musicista che compone per amore della musica: un artista che prende la sua materia e la plasma, e ogni volta è pronto a riprendere il discorso da capo, a cercare altre strade, a riarmonizzare, rileggere, reinterpretare; a volte a scarnificare, altre volte a dilatare, altre ancora a comprimere; un artista che sa circondarsi di compagni di viaggio che condividano con lui questa voglia di plasmare la materia musicale, farla propria e farlo ogni sera in una maniera diversa, sempre nuova, sempre coraggiosa. Chiaro, c’è anche un aspetto di perizia tecnica e strumentale notevolissime, che nessuno mette in dubbio: la band di Wong è una combo di musicisti eccezionale, con solisti di caratura mondiale (Sonny T non ha bisogno di presentazioni, Petar Janjic è un motore ritmico di razza, Kevin Gastonguay un pianista delicato e di grandissimo gusto, per non parlare della qualità dei componenti dei Wongnotes, Barbash, Holmen e Webb su tutti), ma non è soltanto questo che mi spinge a tornare ogni volta a riascoltare questa musica, a cercarsi sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che posso aver mancato al primo passaggio, qualcosa che mi sorprenda. Nietzsche scriveva che la maturità nell’uomo si identifica con il momento in cui si è in grado di tornare a mettere nel gioco la stessa serietà che ci si metteva da bambini: senza voler scomodare paragoni o termini illustri e fuori luogo, è un po’ questo ciò che succede in queste 19 tracce, ed è questa la più autentica ragione per la quale restare a bocca aperta ascoltandole. The Power Station Tour- West Coast testimonia di un artista e di una band che hanno colto il significato pieno del termine “sperimentazione”: la voglia di rileggere, ritornare sui propri passi, comprenderli, scegliere altre direzioni e ogni volta da capo, estraendo un significato diverso ad ogni passaggio, ad ogni rilettura; la capacità (potentissima) di immaginare la musica come uno spazio che si evolve, un meccanismo vivo, un organismo che cerca la propria strada, e non, banalmente, come qualcosa di definito, da recitare come una punizione o da replicare ogni volta sempre uguale, come un vuoto rituale; dare a chi ti ascolta non quello che già si aspetta, ma tutt’altro, forse quello che non sa ancora di voler sentire. Quando ascolto la musica di Wong sento sempre questo effetto da “immaginazione al potere”, il brivido di sapere che sta per succedere qualcosa e il piacere di non sapermi assolutamente aspettare cosa: il senso della sorpresa, il gusto del gioco, quel buttarsi a capofitto di cui parlavo in apertura, la voglia di riscrivere la propria parte, trovare ogni volta una voce diversa. Da parte mia, da musicista (o aspirante tale), so quanto una Visione di questo tipo sia fondamentale per chi alla musica voglia approcciarsi dal lato creativo; d’altro canto, da semplice persona innamorata della musica, non posso che amare una Visione come questa, la sua onestà e la sua sfrontatezza, perché so che essa mi arricchisce come ascoltatore e come essere umano. Per questo, solo per questo credo che tutti quanti dovrebbero ascoltare Cory Wong e la sua band: è solo un consiglio, chiaro, ma la buona musica fa sempre bene all’anima e questa musica buona lo è senz’altro.


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