Sigur Ròs Live: una serata da ricordare

I biglietti conservati gelosamente in una busta per due mesi, un traffico a dir poco epocale, l’impossibilità di trovare un parcheggio non a pagamento a Porta Romana, panini fatti in casa ed incartati alla meno peggio in un pezzo di stagnola, bottiglie d’acqua (tanta acqua). Ne è valsa davvero la pena. Non sono un habitué dei grandi eventi, ma questo concerto tenuto ieri sera dai Sigur Ròs al Giardino di Boboli nell’ambito delle iniziative di OperaFestival era uno di quelli cui proprio non è possibile rinunciare. La cornice innanzitutto: suggestiva, un palco ricavato nel giardino, una lunga gradinata ed una platea costruite all’interno di un “circolo” di alti alberi. La scenografia, essenziale, Sigur Ròs Livecostituita di lunghi teli neri e, sul fondo del palco, delle enormi sfere bianche “luminose”. Ovviamente, un’occhiata alla strumentazione da vicino non la si nega a nessuno… testa- cassa Marshall, Ampeg, una batteria Gretsch con annessa drum machine, e organetti, sintetizzatori Korg, tastiere Yamaha, xilofoni, una grandissima abbondanza di bassi e chitarre d’ogni genere (e per un bassista, credetemi, è sempre un piacere vedere cose di questo tipo). Al centro del palco, dietro le postazioni di voce e chitarra e del basso, un palchetto sopraelevato sul quale trovano posto quattro sedie, che saranno occupate dagli archi delle Amiina, fedeli partners dei Sigur Ròs da molti anni; le tastiere alla nostra sinistra e alla destra la batteria, volta verso il centro del palco. Ovviamente, una marea di amplificatori (come già accennato) e pedali effetto. E poi, certo, circa 3000 persone giunte sin qui per partecipare di quella magia che solo i Sigur Ròs sanno regalare. Apre la serata Helgi Jónsson, che suona il trombone nel gruppo di fiati che accompagna i Sigur Ròs: quattro canzoni molto belle, solo chitarra acustica e voce, un pugno di musica cantata in inglese. Per il giovane cantante si trattava, per sua stessa ammissione, della prima volta in Italia: tradiva in effetti una certa emozione, specialmente nel dialogo con un  pubblico che comunque ha saputo essere molto caldo anche con lui. I Sigur Ròs invece si fanno attendere un pochino (inizieranno alle 21.40, con una decina di minuti di ritardo sull’orario previsto) ma non tradiscono assolutamente le aspettative, come logico. L’esordio è affidato a Svefn-g-englar, dall’album ágætis byrjun: entra per primo Kjartan, e si diffondono le note introduttive del pezzo. Ottima la performance vocale, che si conclude in un lunghissimo acuto. Il tutto lascia spazio ad una “filologica” versione di Glósóli, con chitarre in bella evidenza e batteria onnipresente (tra drum machine e batteria tradizionale, Orri dà il meglio di sé). Salgono sul palco le Amiina ed è la volta di Sé lest, ancora da Takk…, tutta costruita sullo xilofono: il finale, come da tradizione, vede l’ingresso sul palco dei fiati, che irrompono completamente vestiti di bianco sulle note di un’allegra marcia. Un’introduzione rumorista della chitarra e dei fiati dà il là a Ný batterí, caratterizzata da un’esecuzione veemente, molto carica, con un suono corposo, d’impatto e una batteria devastante; il resto lo fa l’arpeggio al basso di Georg. A questo punto è il momento del primo brano tratto dall’ultimo lavoro, Með Suð í Eyrum Við Spilum Endalaust, appunto Við Spilum Endalaust: un bel riff di batteria al servizio di una delle melodie più interessanti di questo ultimo album. Un pezzo energico che introduce elegantemente un altro dei cavalli di battaglia della band, Hoppípolla, purtroppo funestata da qualche problema tecnico con l’accordatura delle tastiere, problema del quale Jónsi sentirà il bisogno di scusarsi personalmente in uno dei suoi molti e, a quanto pare, insoliti colloqui e siparietti col pubblico: va detto che comunque l’atmosfera molto “intima” del concerto ha favorito anche scambi di questo genere e un rapporto di complicità tra artisti e pubblico, complicità che sfocerà in attiva partecipazione sul finire della serata. Ma andiamo con ordine: ad Hoppípolla segue la sua coda strumentale, Með Blóðnasir, davvero travolgente dal vivo, e a questa l’hopelandic di Olsen Olsen, ancora da ágætis byrjun, persino più coinvolgente ed emozionante nel contesto live che nella versione incisa su disco. A seguire, la primaSigur Ròs Live: Untitled #8 (1) parte di Festival, dall’ultimo album, con un’esecuzione che la ricollega direttamente alla Gítardjamm ascoltata in Heima, occasione ideale per risolvere i problemi di accordatura di Kjartan: gli altri musicisti lasciano il palco e Jónsi e le Amiina si ritagliano un momento di grande intensità. È stato anche questo un passaggio senz’altro molto emozionante. Le successive due canzoni vengono ancora da Með Suð í Eyrum Við Spilum Endalaust, e sono nell’ordine Fljótavík (in una versione "raccolta" che esalta al massimo la bellezza del giro di piano) e la splendida Góðan Daginn: Jónsi imbraccia l’acustica, ed il sound diventa improvvisamente molto raccolto. L’esecuzione di Góðan Daginn era probabilmente uno dei momenti che attendevo maggiormente nell’intero concerto, e non ne sono certo rimasto deluso. Mi ha colpito soprattutto la capacità della band, dimostrata qui come in altre occasioni durante l’esibizione, di passare da atmosfere distese, rilassate, molto intime come queste a brani invece più tirati, o caricati di pesanti distorsioni, con enorme naturalezza e mantenendo pur sempre intatta tutta la bellezza della propria musica: questo è un particolare che non ho mai mancato di segnalare nelle mie recensioni della band, ma scoprire come anche dal vivo questi piccoli miracoli si ripetano è sempre un gran piacere. Affogata nei frusci e nei rumori di fondo elettronici (altra costante di molti brani presentati nel corso della serata) arriva Sæglópur, ed il pubblico dimostra di gradire molto: l’esecuzione è ancora una volta perfetta ed il pezzo, già potente nel disco, sembra prendere una nuova vita. A Sæglópur segue uno dei pezzi più belli del gruppo islandese, Hafsól, già contenuta nel primo album Von e, nella versione ascoltata al Giardino di Boboli, nell’EP di Hoppípolla e nel doppio Hvarf/ Heim: protagonista assoluto il basso di Georg (comunque notevole il suo apporto ritmico e armonico anche negli altri brani), percosso con una bacchetta della batteria a ricreare il magico riff sul quale si arrampica letteralmente la voce di Jónsi, contrappuntata dal fantastico pizzicato degli archi delle Amiina. L’arrangiamento degli archi, ancora una volta e soprattutto in questo caso, si rivela di grande gusto e profondità, ed il pezzo, a fronte dei quasi dieci minuti di durata, scivola via piacevolmente, trasportando l’ascoltatore in una dimensione irrimediabilmente “altra”. A trascinare il pubblico giunge infine l’ultimo singolo Gobbledigook: Jónsi chiede di battere il tempo con le mani (“For this song, I need you to clap your hands!”) ed i tremila del Giardino di Boboli non se lo fanno ripetere due volte. Il pezzo è trascinante, l’esecuzione festosa: i coretti sono eseguiti dal gruppo dei fiati, mentre le Amiina lasciano gli archetti ed impugnano una serie di tamburi coi quali, anche loro, tengono il tempo. Gobbledigook in fondo è proprio questo: una cavalcata festosa e “ritmica”, fatta apposta per batterci su le mani. Prima dell’ultimo ritornello, il colpo finale: alcuni dei fiati imbracciano dei “cannoni” di carta coi quali sommergono la platea di coriandoli colorati, in un incredibile gioco di luci. Il momento magico Saluti e Applausiprosegue: la band lascia il palco ma ritorna, invocata a gran voce dal pubblico ormai accalcatosi tutto sotto il palco (me compreso…!). È la volta di Untitled#8: con una cavalcata elettrica lungo le gelide e desolate lande tratteggiate da ( ) finisce questa serata magica. I bassi sembrano scaraventarci lontano dal palco, la voce di Jónsi raggiunge livelli davvero eterei, ma ormai c’è tempo solo per gli inchini, i saluti, gli applausi, dal pubblico alla band e, giustamente, dalla band ad un pubblico che ha saputo farsi coinvolgere e lasciarsi trasportare lontano da una musica mai così suggestiva, da un’atmosfera ed un ambientazione mai così magiche. Oggi ci ripenso, a mente fredda: non so dire quanto mi dispiaccia che questa fantastica serata sia finita. Forse sembrerò eccessivo, ma è proprio così: la meraviglia dei suoni e la suggestione delle atmosfere conduce anche a questo.

Non mi resta che aspettare che ritornino: da buon amante dei Sigur Ròs ero già nel loro mondo da un bel po’. Adesso però ci sono entrato definitivamente e dalla porta principale, e non credo di aver voglia di uscirne.

PS: ovviamente mi scuso per la pessima qualità di alcuni dei video che ho linkato, compresi quelli registrati e caricati su YouTube da me medesimo, ma al momento non si può far di meglio. Ovviamente ci sono anche foto migliori delle mie, che vedete in questo post. Le potete rintracciare, ad esempio, su Flickr.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.