The Right Stuff: Tailwinds, il primo LP dei Fearless Flyers (2020)

Di questo disco potevo parlare fin dallo scorso 23 Luglio quando, con la pubblicazione via YouTube dell’ultimo brano in scaletta, The Speedwalker, tutte e dieci le tracce che lo compongono erano ormai disponibili per l’ascolto; ho preferito aspettare, anche perché mi piace parlare della musica quando la tengo tra le mani, solitamente, ed essendomi affrettato ad acquistare la prima stampa del vinile volevo attendere di riceverlo, toccarlo, metterlo sul piatto. Il caso volle che il suddetto vinile fosse consegnato proprio all’alba della zona rossa nella mia regione, la Toscana: consegnato a casa dei miei, avamposto sicuro e sempre presidiato, a differenza di casa mia (tranne che in questa fase di strano “lockdown/non lockdown”), ma, sfortunatamente, sito in altro comune. Dal momento che la prima prova sulla lunga durata dei Fearless Flyers, side project di casa Vulfpeck, ha accompagnato una bella fetta di questo mio strano 2020, ho deciso comunque di rompere gli indugi e scriverne, prima che sia troppo tardi (come, vi avviso già, avverrà a breve anche per l’ultimo disco degli stessi Vulfpeck, The Joy of Music, The Job of Real Estate, anch’esso in corso di stampa e che, pare, non verrà consegnato prima del 2021, sebbene ormai l’album si possa considerare ufficialmente pubblicato e sia di fatto disponibile su tutti i principali canali streaming da circa un mese). The Fearless Flyers, dunque: Nate Smith alla batteria, Joe Dart (big guitar), Cory Wong (medium guitar) e Mark Lettieri (small guitar) compongono una sfavillante sezione ritmica dedita a suonare un funk interamente strumentale e super-veloce, diretto (da dietro le quinte) dal consueto deus ex machina di casa Vulf Records, quel Jack Stratton che nel progetto riversa tutte le sue doti produttive, nel tentativo di mettere in pista la più perfetta e marziale macchina funky che possiate immaginare. Per l’occasione del debutto sulla lunga distanza, intitolato Tailwinds, il quartetto+1 si propizia un ottimo vento di coda (che ne aumenta sensibilmente la velocità) sposando alle proprie ritmiche serrate una specialissima elite horn section, ribattezzata per l’occasione Delta Force, comprendente l’ineffabile Grace Kelly (big sax), Kenny Holmen (medium sax) e Alekos Syropoulos (small sax). Ovviamente le metafore aviatorie si sprecano, ma d’altra parte i nostri sono degli aviatori senza paura, e quello che temono di meno sono gli interplay rapidissimi e incredibilmente fluidi, i voli spericolati a fare la barba alla torre di controllo, le ritmiche serrate fatte di botta e risposta a velocità prossime al boom sonico (non a caso l’abbigliamento scelto dai nostri nei video che hanno accompagnato la pubblicazione alla spicciolata dei brani, e che potrete vedere cliccando sui titoli dei brani stessi, rimanda proprio al mondo dell’aviazione, a partire dagli Aviator indossati dai membri della band, non soltanto per consonanza coi gusti del buon Joe Dart). Il repertorio proposto in Tailwinds è fatto di dieci autentiche bombe, artiglieria pesante sganciata con grazia e consapevolezza: bombe davvero intelligenti, una volta tanto, che non fanno vittime ma ti spingono a muovere il collo con la stessa irresistibile, sincopata elasticità di un consumato Joe Dart (occhio a non slogarselo, però, ricordate sempre che guitar hero is for boys, Joe Dart hero is for men!). Apre le danze l’introduttiva Nate Smith is the Ace of Aces (già sentita in apertura del primo EP omonimo della band), con Cory Wong che sconfina in territorio-Lettieri suonando la chitarra baritona, la Delta Force che dispensa pennellate di fiati e il buon Joe Dart che inaugura, con il suo breve solo in mezzo al pezzo, quello che (in maniera abbastanza effimera) qualche mese fa mi ero affrettato a ribattezzare “The Year of the Fuzz Bass” (forte anche del sound sfoggiato in Test Drive, brano della casa madre in cui era ancora un basso distorto a farla da padrone). Dopo aver introdotto l’Asso degli Assi, il secondo brano ci introduce alla Elite Horn Section che ci delizierà le orecchie lungo tutti questi brani: Introducing Delta Force fa un po’ il verso a Introducing The Fearless Flyers (anche questa contenuta nel primo EP), riprendendone, arricchendone e ristrutturandone il riff principale con l’intervento ora portante dei fiati, giovandosi di due meravigliosi fraseggi solisti del solito Joe e della chitarra baritona di Mark Lettieri. Introducing Delta Force diventa una sorta di abbacinante showcase che mette in mostra il meglio dell’interplay ritmico tra Dart e Nate Smith (anche impegnato in un’affascinante sequenza di irresistibili rullate verso il finale), il meglio del Cory Wong chitarrista “atmosferico” (con una chitarra che erutta inusitati suoni liquidi nei vari intermezzi), un Lettieri in stato di grazia con un solo pieno di buzzing e una sezione di fiati dotata di un groove e al tempo stesso di una forza melodica non comuni: in ultima analisi, le potenzialità incalcolabili di questo incredibile manipolo di spericolati musicisti. La solidità di Colonel Panic, uno dei tanti tiratissimi wall of sound che compongono Tailwinds, si destruttura su una sezione centrale fatta di un duetto tra Nate Smith e la Delta Force, prima che il rientro di Wong dia il via al ritorno di tutti gli altri, e soprattutto a un assolo futurista e graffiante della baritona di Mark Lettieri, il cui suono rammenta a tratti proprio quello di un motore d’aereo lanciato a tutta potenza: si sfiora mach 1, e sorprendentemente, mentre siete ancora in panico, quello che segue è l’assurdo speed-metal-funk di Ambush, qualcosa di assolutamente mai sentito nella produzione dei quattro (oltre che la dimostrazione che non serve un doppio pedale per mitragliare colpi di cassa a diritto, se sei Nate Smith). Un minuto e cinque secondi di sconvolgente funk metallico (d’altra parte si tratta pur sempre di un agguato) ed è l’ora di The Birdwatcher, rilettura di un altro dei numerosi instant classic firmati da Woody Goss per i Vulfpeck (e già ascoltato nell’EP My First Car, licenziato da Stratton e soci nel lontano 2013): altro episodio della serie “ritmiche così serrate che se lasci un sacco di carbone in mezzo tra questi quattro, alla fine del pezzo ti ritrovi con una miniera di diamanti”, Nate Smith che ci prende gusto a duettare coi fiati e il Precision baby a scala cortissima di Joe Dart che cesella in maniera inconfondibile. Assassin parte a tutta manetta, ed è una gioiosa macchina da guerra incernierata sull’interplay quasi commovente tra Nate Smith e il basso dominante di Joe Dart, con la chitarra di Wong che duetta col charleston e la Delta Force impegnata a legare il tutto melodicamente: feroce e spettacolare il duetto Dart-Smith a metà pezzo, un solo di precisione, potenza e ricchezza magnetiche, preludio all’accelerazione finale, un crescendo di velocità incontrollabile che fa quasi perdere la coordinazione. Un decollo: e l’atterraggio avviene sul morbido della ballad Adrienne & Adrianne (anche questa rilettura della rilettura di una bossa nova, con l’originale licenziato dai Vulfpeck in Vollmilch, EP del 2012), introdotta dal duetto tra lo shuffle sincopato di Nate Smith e il medium sax di Kenni Holmen, prima che tutti tornino ai propri posti per costruire il tessuto ritmico e armonico sul quale saranno ancora gli scambi tra Smith e i fiati a fare letteralmente il pezzo; c’è comunque sempre spazio per un solo un po’ fuzzy del solito Joe Dart, prima dell’esposizione conclusiva del tema con un unisono di grande trasporto. Kenni and the Jets rilegge addirittura un classico di Elton John (la quasi omonima Bennie and the Jets), di cui conserva intatto in maniera quasi filologica il pattern ritmico arricchendolo con gli interventi solisti dei membri della Delta Force, invitati a supplire alla mancanza delle parole inscenando trascinanti scambi di battute di qualità jazzistica con protagonisti principali la coolness di Grace Kelly e il travolgente Kenni Holmen (sì, lo so: Kenni, come Kenni and the Jets. Come dire, continua la tradizione di marca Vulfpeck di ribattezzare i propri musicisti seguendo il nome dei brani… un po’ come accaduto con Cory Wong, forse lo ricordete: “at the guitar, his parents named him after a Vulfpeck song” Se non sapete di cosa sto parlando è male, molto male, ma potrete sempre rimediare andando qui). A Kenni and the Jets segue uno dei vertici del lavoro, lo stupendo feel caraibico di Kauai, composizione parto della genialità di Cory Wong (sempre sia lodato): una linea di basso semplice e magnetica, quasi un basso continuo che si incastra deliziosamente nel feel percussivo di Nate Smith, cesellato dalle chitarre e accarezzato dai fraseggi dei fiati. Kauai rimanda alla memoria esperimenti tipo la vecchia Under the sea (anch’essa ascoltata nel primo EP del quartetto), ed è in fondo una ballad suonata quasi all’unisono dai sette musicisti, che culla come le onde di un mare profondissimo e contiene tonnellate di summer vibes (ma lo avevo già scritto). Per un bassista, la fluidità mastodontica della linea di basso, il modo in cui sottolinea il moto ondoso delle percussioni, è qualcosa di miracoloso: non lo so, forse mi sbilancio troppo, ma questo potrebbe essere il mio bass-sound preferito dell’intero 2020. Chiude il volo l’irresistibile reprise del R’n’B groovy di The Speedwalker, anche questa già ascoltata in My First Car dei Vulfpeck: la più classica delle composizioni firmate Stratton, imperniata su un groove micidiale e impreziosita dagli svolazzi di Wong e dall’onnipresente dinamicità della Delta Force, oltre che dall’ennesima, fantastica progressione solista di un debordante Nate Smith verso l’up-tempo geometricamente scandito del finale.
Se dovessi trovare un aggettivo per definire
Tailwinds, forse mi verrebbe in mente proprio “geometrico”: Tailwinds è un gioco a incastri, fatto di dialoghi, scambi di battute, intarsi, sottolineature, fraseggi che si compenetrano, botta e risposta fragorosi, una gioiosa macchina da guerra (come scrivevo qualche milione di parole fa) che decolla, sorvola, sgancia le sue bombe, atterra, e non si fa mancare svolazzi e acrobazie durante il percorso. Sulla solidità dell’intesa e dell’interplay tra i quattro impavidi aviatori che compongono questa spettacolare squadriglia acrobatica sussistevano pochi dubbi: e la fluidità e l’apparente facilità con cui la solidità ritmica già rodata del quartetto si sposa con la poderosa sezione di fiati della Delta Force non fa altro che donare a questa battaglia aerea un’imprevedibilità e una profondità della quale pochi eguali si sono apprezzati nei cieli (della musica contemporanea, del funk, di quello che preferite). Sull’asse Smith-Dart si genera la portanza che consente a un Wong compassatissimo, e prevalentemente orientato al lavoro ritmico, e a un Lettieri in stato di grazia di comporre arabeschi e figure acrobatiche stranianti, e al tempo stesso è sull’asse Smith-Delta Force che si apre un secondo fronte d’attacco, non meno affascinante e trascinante (chi l’ha detto che combattere su due fronti contemporaneamente debba sempre necessariamente portare sfiga?). Nella stanza dei bottoni, intanto, Stratton muove le sue pedine e, sicuramente, gongola: questa sua creatura è quanto di più vicino al suono prepotentemente funk da lui adorato nelle produzioni anni ’70-’80 (Mack, per fare un nome su tutti), un funk tiratissimo, veloce, incalzante, ritmiche e idee sincopate che producono accelerazioni furibonde, un wall of sound di groove contagiosi e irresistibili. Musica per il corpo (e infatti, mi si consenta l’ultima battuta, tanta di questa magia scaturisce come di consueto dal moto perpetuo del collo di Joe Dart) ma anche, a un livello molto profondo, per la mente: la disciplina che occorre per evitare lo stallo nella cabrata folle messa in scena da Tailwinds è infatti una dote tutta mentale. Ma, soprattutto, Tailwinds è un blitz: meno di trenta minuti di musica densissimi e pieni di idee, cambi d’atmosfera, variazioni ritmiche e melodiche. Andare alla guerra, sempre metaforicamente parlando, non è mai stato così bello.

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