Un’armoniosa tempesta: MiddleAgeMusic (Roberto Carioni, 2020)

MiddleAgeMusic è il titolo del primo lavoro solito del chitarrista e liutaio cremasco Roberto Carioni, pubblicato lo scorso 24 dicembre per l’etichetta Disques de l’Europe Morte (qui potete trovare il loro intero catalogo, centrato principalmente su musica ambient e industrial): un lavoro impegnativo, ricco di deviazioni, idee e suggestioni, le cui coordinate puntano per lo più verso un recupero di sonorità dark-wave brulicanti di chitarre e distorsioni, sulle quali Carioni disegna melodie sognanti e intrise di un post-romanticismo che richiama alla memoria soprattutto gli Ultravox di Midge Ure (giustamente ed esplicitamente omaggiati in questo album con la rilettura della loro Visions in Blue, tratta dall’album Quartet, del 1982). Sarebbe tuttavia ingiusto ridurre questi 45 minuti di musica a mero citazionismo o all’omaggio per una musica che appartiene al passato (per quanto glorioso): MiddleAgeMusic, nella chiarezza dei suoi riferimenti, è un disco profondamente (ed elegantemente) elaborato, composto da sette brani molto lunghi e strutturati, agli antipodi rispetto all’accessibilità radiofonica e a una larghissima fetta dell’indie(sigh)-rock di consumo, eppure assolutamente facili da ascoltare, uno di quegli esempi (sempre troppo pochi) nei quali la ricercatezza delle soluzioni musicali si sposa magicamente alla facilità d’ascolto, nei quali cioè la proprietà di linguaggio del suo autore (da un punto di vista tecnico, e compositivo) non allontana l’ascoltatore ma lo avvicina, producendo qualcosa di vivo, pulsante, davvero affascinante. Pare paradossale dover scrivere cose del genere, ma non bisogna dimenticare che viviamo in un mondo in cui una larga fetta della scena musicale è fatta di persone che non sarebbero in grado di suonare nemmeno un campanello, figurarsi distinguere un accordo di dominante da un accordo maggiore, e quindi è doppiamente bello incontrare un lavoro nel quale la perizia musicale, che traspare sia dall’esecuzione che dalle scelte di arrangiamento, si accompagni a una profondità emotiva capace di coinvolgere e smuovere qualcosa dentro chi ascolta: mi fa pensare che musica così esista ancora, che basti solo sbattersi un po’ per incontrarla, sapendo che quando la si trova ti lascia sempre qualche cosa da portare con te. Ti arricchisce, ecco: i sette brani di MiddleAgeMusic (scritto proprio così, tutto attaccato, credo anche perché il disco andrebbe ascoltato proprio così, tutto in fila, un flusso sonoro ininterrotto, complesso e ricco di illuminazioni estatiche) propongono una musica suonata da dio, la cui potenza è magnificata dal sapiente lavoro di mix e post-produzione eseguito da Marco Torriani e dall’ottimo mastering di Marco Milanesio (Off Studio, Torino), efficace e rispettoso delle dinamiche delle varie tracce.
L’opening track
Killing me è sinceramente irresistibile, batteria sintentica molto anni ’80 ad accompagnare una strofa dai toni orientaleggianti prima, e poi un ritornello squassato da un fraseggio della chitarra elettrica che a me ha rimandato alla mente perfino certo shoegaze di fine anni ’90-primo decennio dei 2000 (tipo la scena romana, i La Calle Mojada, per fare un nome, che una quindicina di anni fa mi piacevano assai e che di sicuro non c’entrano niente, ma il sapore di quel ritornello mi ha riportato alla memoria proprio questo), un’esplosione sonora ed emotiva di abbacinante bellezza; la successiva Violet seduce dipingendo un’atmosfera sognante e sospesa, pregna di suggestioni cinematografiche e arricchita da scelte di arrangiamento molto ricercate, sulla quale spiccano versi dolenti. Dopo questo inizio un po’ slow, Sublime alza il ritmo, flirtando con tentazioni industriali e aumentando di conseguenza il coefficiente di asperità soniche e distorsioni: eppure anche in questo episodio a convincere maggiormente sono i momenti più stranianti, quelli nei quali il tempo rallenta come avvolgendosi su se stesso. Accade a metà del pezzo, quando si scatena un’autentica tempesta di arpeggi a cascata, che creano un imponente wall of sound, e nel finale, laddove il brano si dilata delicatamente fino a spegnersi nel silenzio.
Proprio a metà del lavoro trova spazio la rilettura di
Visions in Blue degli Ultravox, band che costituisce probabilmente una delle maggiori (e più scoperte) ispirazioni di Carioni lungo l’intera tracklist: un profondissimo drone di chitarra, scandito solo da percussioni ieratiche, erige un’autentica cattedrale sonora che accompagna i versi di Ure, recitati con trasporto da Carioni attraverso mille dissonanze, verso l’up-tempo finale. Questo è come una cover dovrebbe essere: stravolta, riscritta, un corpo al quale viene donata nuova vita.
Le ultime tre tracce del lavoro seguono un climax inverso rispetto alle prime tre.
Let me è probabilmente il pezzo più ritmato dell’intero lotto, arricchito da una costellazione di suoni sintetici che sposano l’incastro delle chitarre e delle batterie rimandando alla memoria qualcosa dei primi Depeche Mode; la seguente First Communion, ripartendo da sonorità elettroniche e potenti riff di chitarra, ricrea un incedere ritmico sacrale, sconfinando in territori ambient e astratti e accumulando lungo il percorso una profonda tensione senza soluzione catartica; catarsi che è infine fornita da M.R.O., cui Carioni affida la chiusura del lavoro: una ritmica lenta eretta sopra un maelstrom oscuro di sintetizzatori, dissonanze e grappoli di note sparpagliate attorno ai versi, con un ritornello che esplode come la tempesta sonora perfetta, distorta e gonfia di dolorosi riverberi.
Come ho detto all’inizio, questo
MiddleAgeMusic va consumato tutto insieme, seguendone la parabola sonora: dentro c’è tutto, mille ispirazioni e altrettante divagazioni, false piste e labirinti. Quella contenuta in queste sette tracce è a tutti gli effetti musica per un’età di mezzo, i cui tratti non fatichiamo a scorgere in questi nostri tempi spesso privi di sussulti, di meraviglia o anche solo di semplice sincerità. Forse la chiave è proprio qui: con il suo flusso sonoro ricco, affascinante ed elaborato, e il piglio doloroso dei testi, Carioni confeziona un album che è soprattutto sincero, complesso ma non per questo impenetrabile, che chiede solo di lasciarsi trasportare, musica che getta ponti tra un’ispirazione che guarda al passato e una sensibilità ben ancorata al presente, davanti alla quale si stende un futuro ancora tutto da scrivere.

Questo album non è ancora disponibile su Spotify o YouTube, quindi per ascoltarlo vi rimando al bandcamp dell’etichetta, ovvero cliccate QUI.

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