“La milonga fischiettata che non riconosciamo e ci emoziona”: Paseo del Bajo (Sebastián Tozzola, 2020)

Sebastián Tozzola è un clarinettista argentino, clarinetto basso solista per l’Orchestra Filarmonica del Teatro Colón di Buenos Aires, compositore e anche bassista elettrico. Ha un curriculum che fa spavento (qualcosa lo potete trovate qui e qui) ed è un musicista talentuoso, istintivo e tecnico al tempo stesso, sia quando si cimenta al clarinetto che quando impugna un basso elettrico. È come bassista che l’ho conosciuto, ormai quasi un anno fa, grazie ad un suo video su Instagram rilanciato da una pagina dedicata al basso elettrico, Baixonatural: mi sono letteralmente innamorato del suono del suo fretless e, consapevole di non esser mai andato nemmeno lontanamente vicino ad avere un suono paragonabile al suo, ho deciso di fare una di quelle cose che faccio di rado, quasi esclusivamente con persone non italiane, ovvero scrivergli per complimentarmi, ovvio, ma anche per farmi togliere un po’ di curiosità tecniche (roba da bassisti nerd). Quello che ho scoperto è che, oltre ad essere un musicista stratosferico (ma questo si capisce alla prima nota), Sebastián è soprattutto una persona squisita, disponibile e molto, molto gentile: sicuramente ha qualcosa a che fare col suo essere anche un didatta, e con l’importanza che le persone intelligenti danno al tema dell’educazione e del trasferimento della conoscenza e dell’esperienza. Così ho iniziato a seguirlo volentieri, non senza restare a bocca aperta per le sue registrazioni, debitamente documentate sul suo canale Instagram, e oggi sono qui a consigliarvi di ascoltare il suo ultimo album solista, Paseo del Bajo, uscito lo scorso 4 dicembre per le edizioni Club Del Disco. Paseo del Bajo è centrato interamente sul basso elettrico, e dentro ci sono un gran numero di composizioni autografe di Sebastián accompagnate dalla rilettura di alcuni grandi classici: c’è il jazz, il tango, un po’ di malinconia sudamericana, tanta mistura fina di patitucciana memoria, soprattutto un’espressività melodica profondissima e affascinante. Dentro queste quindici tracce si respira a pieni polmoni molta musica tradizionale argentina, dal chamamé ad echi di tango, dal bolero al candombe, dalla cumbia al folk più popolare mutuato dai classici ensemble chitarristici che a tutti vengono in mente pensando al Sudamerica, e il fraseggio di Sebastián spazia senza soluzione di continuità dal sapore tipicamente jazzistico che rimanda alla mente diversi mostri sacri (Pastorius e il già citato Patitucci in primis) al classicismo da chiar di luna e da polifonie contrappuntistiche che proviene dalla formazione classica del clarinettista: un bagaglio musicale enorme, suggestivo e profondissimo, pieno di invenzioni e colori affascinanti.
Da questo melting pot emerge
A bajo y Pa’fuera, che apre il lavoro con un fraseggio di qualità patitucciana ed è un up-tempo strumentale in cui la lieve cumbia delle ritmiche sposa la sottile malinconia del tema, una caratteristica intrinseca di una gran parte della musica che comunemente associamo al Sudamerica, inteso come terra di romantici contrasti. Su Deserción è il fretless sognante di Sebastián a farla da padrone, sostenuto dal lavoro discreto di Emiliano Gimenez alla batteria. Una delicata cascata di armonici introduce a Y Vuela, ballad costruita su un’armonizzazione a più voci e primo brano cantato del disco, presto arricchito dall’ingresso della batteria e, nuovamente, del fretless e del clarinetto basso. Candombe Bajito recupera la tradizione del candombe, musica popolare diffusa in alcune zone dell’Argentina ma nata in Uruguay dalle tradizioni musicali degli schiavi africani liberati: il brano è costruito su pochi e decisi elementi percussivi, che sostengono un lavoro del basso a metà strada tra la solidità ritmica e l’espressività puramente melodica. La cosa davvero bella che si sente durante questa esecuzione, e anche altrove nel disco, è la voce di Sebastián che accompagna, cantando, il fraseggio della linea melodica: quando vai a lezione la prima cosa che impari è ad accompagnare il tema e il solo cantando, un passaggio ineludibile per trovare la propria voce sullo strumento. Segue la leggerezza del 7/8 notturno di Miniatura a la Luna 1 (Siete Octavos para Medialuna), che cita Okonkolé Y Trompa (brano scritto da Pastorius e Don Alias per il debutto solista del grande Jaco) e sfuma dolcemente in una pioggia di note. L’incedere romanticamente latinoamericano dell’elegantissimo chamamé Al Mar, uno dei singoli estratti dal lavoro, sfocia nella ballad Al Desandar, e a seguire nel sapore classico e contrappuntistico della Fuga VII a 3 Voces (Del Clave Bien Temperado) di Bach, reinterpretata magistralmente da Sebastián armato unicamente del suo basso elettrico. La ballad Despertar è costruita su voce, armonici, pochi elementi ritmici e basso fretless impegnato a disegnare melodie liquide e affascinanti, mentre La Nochera, brano ripreso dal canzoniere dei Los Chalchaleros (uno dei più importanti ensemble musicali tradizionali argentini, dedito a varie forme musicali del folklore locale, quali zamba, cueca, chacarera, gato e ancora il chamamé) propone un folk venato di malinconia con un testo dolcemente poetico, cui segue il duetto piano e basso di Sol de Abril, suonato e composto a quattro mani con Andrés Pilar e caratterizzato da un interplay delicato e incalzante. Amardel affianca al clarinetto un fraseggio del fretless in pieno mood Pastorius, e una lieve ritmica disegna un accompagnamento delicato per il basso che espone un tema affascinante e nostalgico, cantato ancora all’unisono con la voce (come accadeva già in Candombe Bajito). Miniatura a la Laguna 1 (de las Gaviotas) è un episodio di musica corale, interamente basato sugli intrecci delle voci, introduzione alla rilettura del classico bolero Perfidia, celeberrima composizione del marimbista e compositore messicano Alberto Domínguez. Chiude il lavoro il folk introspettivo di Mi breve Pasar, altra composizione autografa di Sebastián.
È prodigiosa la varietà di registri che Sebastián riesce a coprire coi suoi bassi elettrici e soprattutto con quel fretless dal suono meraviglioso, spaziando e aprendo un ventaglio di molteplici possibilità e ispirazioni: si va dai fraseggi in odor di Pastorius (
Amardel) a ritmiche bailade quasi a passo di tango, dalla musica tradizionale a variegate forme di ibridi dal sapore contemporaneo. Paseo del Bajo è un lavoro affascinante, ricchissimo, pieno di rivoli e intuizioni, baciato da una grazia compositiva e da un’ispirazione ad altissimi livelli: se poi siete anche bassisti, allora il fingerstyle lirico di cui è capace Sebastián non potrà lasciarvi insensibili: al di là delle evidenti doti tecniche, si parla di un musicista dall’espressività travolgente,con un suono denso, profondissimo, totalmente personale pur nei molti riferimenti importanti, un’artista dal quale c’è solo da imparare. Ma Paseo del Bajo è innanzitutto musica per ascoltatori curiosi, che abbiano voglia di imparare qualcosa di nuovo, di ascoltare qualcosa di cui magari non avevano mai sentito parlare (metà dei generi musicali che ho chiamato in causa in questa recensione non li avevo mai sentiti nominare prima di essere incuriosito da queste quindici tracce, che mi hanno spinto a cercare di saperne di più). Un ascolto che permette di entrare in contatto con un intero mondo musicale, quello della tradizione argentina, forse non così noto alle nostre latitudini: una musica che, prendendo a prestito le parole che Borges usava per il tango (forse la sua espressione più universalmente celebre), è “un linguaggio in cui convivono tragedia, malinconia, ironia, amore, gelosia, ricordi, il barrio amato, la madre, pene e allegrie, odori di bordelli e di attaccabrighe”, un monologo composto sullo sfondo di quella Buenos Aires che, sempre citando il grande autore argentino, altro non è se non la “milonga fischiettata che non riconosciamo e ci emoziona”.

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