Random Access Melodies: Raw Data Feel (Everything Everything, 2022)

“I don’t want to be defined as a political singer. This record isn’t really looking at the world. Instead, it’s very personal. It’s about getting over trauma, but using characters to play that experience out, so I don’t have to deal with it head-on. A lot of people probably do have trauma from this period we’ve all gone through, whether they directly relate to what I’m saying or not. I’m trying not to make [the theme of trauma] super obvious, but a lot of the songs converge towards the same thing, which is unusual for us. I speak about using technology to deal with something rather than me dealing with it myself. I used an AI’s brain to write my songs because I don’t want to talk about those things right now; that’s kind of the idea – relying on technology like a crutch, and this modern loneliness where your only friend is your phone.”

Un tempo si diceva che “il personale è politico”: era vero, perché la politica, che è l’arte di stare insieme agli altri, ha una dimensione minima che emerge già quando questi altri sono pochissimi, una piccola comunità, poche unità, persino una sola persona; ed è vero anche se la si vuole leggere in un altro modo, ovvero che sempre più spesso sono i comportamenti personali, singoli (e singolari), il modo nel quale reagiamo alle cose del mondo a costituire, anche quando così non ci sembra, una risposta “politica” all’ambiente nel quale viviamo. La ragione per la quale sento il bisogno di cominciare a parlare di Raw Data Feel, sesto album di studio degli Everything Everything, con questo cappello “politico” risiede in larga parte nella dichiarazione di Jonathan Higgs che ho riportato in esergo al mio testo. Considero Higgs da diverso tempo come uno degli autori più interessanti (dal punto della scrittura dei testi) della sua (ma oserei dire della nostra) intera generazione: la musica degli Everything Everything si è evoluta negli anni sia nella complessità che nella ricchezza di stimoli e ispirazioni, e una larga fetta del suo valore e del suo fascino è data proprio dalla ricerca testuale. Gli Everything Everything, per chi scrive, sono uno dei pochi gruppi in circolazione che fanno davvero una musica che parla dell’oggi, della realtà, di temi fondanti per l’umanità: che si tratti di brani che parlano del suicidio maschile e della tossicità della cultura maschilista (la memorabile The Mariana), o di interi concept album sulla società sbandata e violenta nella quale viviamo (A Fever Dream) o sulla comparsa della coscienza nella storia di un’umanità ritratta a un passo dall’apocalisse (l’ultimo RE-ANIMATOR, dalla penna di Higgs non escono mai riflessioni banali. È un vero peccato che la band non sia ancora riuscita a tradurre tanta qualità in un successo unanime anche al di fuori dei confini britannici: sfortunatamente non sorprende più, anche se fa sempre un po’ tristezza, che una proposta di questo livello resti spesso sommersa da un anestetico rumore di fondo. Considerate solo questo dato: dal nostro paese Higgs e soci mancano dal 2016, e il ruolino di marcia fino a quel momento racconta di sole otto occasioni live, davvero troppo poco per una band di questo valore. Cecità dei booking, mercato difficile, pubblico disattento/disinteressato? Anche qua, ahinoi, niente di particolarmente nuovo. Divagazioni a parte, e per tornare al punto, la dichiarazione riportata all’inizio di questo testo mi è sembrata una dichiarazione d’intenti: quando Higgs sceglie di scrivere dei brani sull’esperienza traumatica che ha vissuto in questi due anni di pandemia sa di stare scrivendo qualcosa che è stato sotto gli occhi (e nella vita) di tutti noi. Il suo personale è il mio personale, è il tuo, di te che stai leggendo, è quello di tutti noi: il modo in cui interagiamo tra di noi in questa esperienza è invece pienamente politico. La stessa scelta, rivendicata da Higgs, di voler affrontare il trauma cercando il supporto della tecnologia, in questo caso di una Intelligenza Artificiale, è ben più di un semplice espediente stilistico, e racconta piuttosto della voglia (e della necessità) di sfruttare i mezzi che il nostro mondo ci mette a disposizione per affrontare una situazione estrema ([…] that’s kind of the idea – relying on technology like a crutch […]); ed è anche al tempo stesso una potente fotografia dei tempi che viviamo ([…] and this modern loneliness where your only friend is your phone).

A modern loneliness turned into music

Se pensate che un progetto del genere sia come minimo ambizioso, pensate bene: per quanto apparentemente raccolto e intimo, un discorso di questa portata è così ampio da portare con sé tutta una lunga serie di riflessioni, conseguenze, concetti (e contesti). La stampella cui Higgs si è appoggiato nello sviluppo di Raw Data Feel è stata Kevin, un’Intelligenza Artificiale che ha steso una parte dei brani (non così ampia, e comunque in buona parte revisionata dallo stesso Higgs, ma sufficiente a guadagnare a Kevin il riconoscimento come coautore di questi pezzi): realizzata col contributo di Mark Hanslip, musicista e ricercatore all’Università di York, a questa A.I. sono stati dati in pasto una serie di dati grezzi (i Raw Data del titolo, chiaramente) per estrarne una combinazione complessa di immagini. “I wanted something really corporate, so I gave him LinkedIn’s terms and conditions. Then I wanted something completely opposite, which was Beowulf, one of the oldest English poems. The “dangerous, toxic, modern stuff” came courtesy of 400,000 comments from the internet forum 4chan, downloaded as a block. Then I threw Confucius in as well, for a philosophical veneer. And after all this it spat out reams and reams of nonsense”, racconta lo stesso Higgs: un insieme composito di suggestioni per insegnare a Kevin a costruire un pensiero (e un linguaggio) che tenesse conto dei diversi “estremi” dell’esperienza umana, dalla disumanizzazione e mercificazione del lavoro alla filosofia, dalla poesia agli abissi del web (a proposito dell’uso che si fa del web, e non c’entra nulla oppure sì, c’entra, vi consiglio di rileggere questo seminale articolo di Garrett Hardin pubblicato su Science nel 1962, che parla di tutt’altro eppure parla anche di questo). La strada percorsa da Higgs nella scrittura di questi brani può apparire esotica, ma se ci pensate bene tutti quanti noi educhiamo ogni giorno delle intelligenze artificiali, senza pensarci: è quello che accade ad esempio quando risolvete un captcha per accedere ad una pagina web, ovvero in quel momento potreste stare insegnando ad un algoritmo a distinguere tra delle immagini, a catalogarle e infine a poterle riconoscere autonomamente. L’insieme composito di suggestioni ricevute da Kevin ha dunque prodotto la base per i testi dei brani di Raw Data Feel, nel tentativo di unire il dato grezzo (Raw Data) al calore umano (il Feel, l’aspetto emotivo e sentimentale); la precisione della macchina e la profondità del sentimento. Non solo, all’intelligenza artificiale si devono anche l’artwork del disco (un’immagine dello stesso Kevin, direi; mi piace pensare che sia il modo in cui Kevin vede se stesso, che poi se ci pensate è una forma di autocoscienza, il che dimostra come il discorso sviluppato lungo Raw Data Feel sia anche strettamente interconnesso con le tematiche di RE-ANIMATOR) e alcuni video che accompagnano i brani.
Musicalmente,
Raw Data Feel è un ibrido, così come lo era stato l’album precedente: una complessa creazione in bilico tra un approccio “elettronico”, che naviga ancora dalle parti di A Fever Dream, e uno maggiormente vicino a un senso della composizione più canonico, ancora organico alla forma-canzone. Mi sono sorpreso, ascoltando più e più volte il disco, nel riconoscervi paradossalmente tante somiglianze con la musica che Higgs e soci suonavano una decina di anni fa, ai tempi di Arc. Quello che rende speciale la forma espressiva raggiunta dal quartetto di Manchester è comunque proprio l’equilibrio, precario e quindi affascinante, tra l’astrazione e la fisicità: la batteria di Michael Spearman è come sempre un autentico motore ritmico, quasi una macchina che tiene il treno instancabilmente sul binario, e la pulsazione offerta dai bassi dell’ineffabile Jeremy Pritchard è una garanzia di esattezza e precisione al pari dell’interplay matematico tra i due, che dà vita a un meccanismo privo di intoppi. Le chitarre di Alex Robertshaw scivolano magicamente sulla scansione ritmica creando spazi; Robertshaw, in contrapposizione con la sezione ritmica, è un musicista più cerebrale, la cui creatività è senz’altro maggiormente astratta ma non per questo meno calda, vitale, pulsante: i suoi interventi, anche quelli meno evidenti, sono sempre assolutamente determinanti nella costruzione ritmica e armonica della band. Va sottolineato peraltro come il chitarrista abbia saputo dare un contributo fondamentale anche e soprattutto in fase di produzione e finalizzazione dell’album (primo della band ad essere interamente prodotto proprio da Robertshaw). A legare tutto insieme c’è ovviamente il cantato di Higgs, la sua espressività feroce, e le astrazioni elettroniche governate dai suoi synth. Il panorama sonoro di Raw Data Feel oscilla così tra il rock elettronico (Teletype), un’indie-rock al sapore di new wave con qualche eco degli anni ’80 (Jennifer), guizzi di un RnB groovy e futurista (Shark Week) e veri e propri landscapes e paesaggi sonori (si prenda ad esempio Leviathan, o la conclusiva Software Greatman), con ispirazioni che vanno dagli amati Radiohead al krautrock fino al progressive. Musica alternativa nel senso di inusitata, eclettica, a volte persino estrema: una musica complessa, ricca di stratificazioni, suonata a ritmo serratissimo e che pure è, magicamente, diretta, immediata, luminosa, di nuovo in un equilibrio precario e affascinante.

Raw Data Feel: un array lineare di emozioni

L’opening, affidata a Teletype, è folgorante (come spesso accade coi dischi degli Everything Everything, un titolo per tutti: Night of the Long Knives): su un tessuto glitchy, fatto di piccoli rumorismi elettronici e percussioni sintetiche, va in scena un dialogo tra basso e chitarra (adoro, letteralmente adoro il riff di Robertshaw sulle strofe, semplicissimo, perché crea un’apertura enorme, abbacinante rispetto ai passaggi in cui è assente). Il teletype altro non è che un vecchio sistema di comunicazione, ancora in uso nell’aviazione, e gli impulsi elettronici che si sentono in incipit altro non sono che suoni generati da questo oggetto: ovviamente, siamo di fronte a un brano che parla di comunicazione, e della sua assenza (Don’t talk a lot/ You don’t talk a lot but I like it/ ‘Cause I can’t tell you everything that went on/ Can’t tell you everything that went on) e che ovviamente introduce al tema dominante del lavoro, quello del trauma (it’s easy to lie when nothing makes sense anymore […]/Gonna take a bit/ Maybe this will take a little time to heal/ ‘Cause I’m hurting/ And I don’t want to go back down inside of me/ And where is my sense of joy?/ It’s creeping back in/ Yeah, I’m a liar but I’m lying next to you and you don’t care), con qualche spruzzata di sindrome dell’impostore. I Want A Love Like This si accoppia perfettamente al brano che lo precede: un classico pezzo à la Everything Everything, con un ritornello di spessore e ritmiche trascinanti, che parla di una nuova relazione e di un falso e malato senso di ottimismo, che nasconde tra le sue crepe una serie di angosce e pericoli; anche questo è un topos della musica della band di Manchester, che spesso accosta l’immagine dell’amore a quelle della morte (‘Cause someone always dies/ Someone always dies when we do this/ Yeah, someone always dies/ Someone always dies when we do this, canta Higgs, e la memoria torna subito a brani come Kemosabe, MY KZ, UR BF o anche Warm Healer), sebbene I Want A Love Like This sembri contenere qualche reminiscenza tematica molto vicina anche al già citato RE-ANIMATOR (l’attrazione per l’eccesso, ad esempio, racchiusa qui nei versi I really love bizarre behaviour/ You see/ I want the teeth of the enchanter/ On me). Il terzo brano, Bad Friday, è un ibrido di pop e RnB molto vicini, strutturalmente, a episodi del passato quali Can’t Do o Distant Past: nelle parole di Higgs, “At surface value, [a song] about a night out. Really, it’s about violence and abuse, but it’s being given this coat of paint which makes it appear to be a song about a crazy night out – one during which you get so drunk that you can’t remember what happened, you can’t remember how you got beaten up. It’s obscuring the reality and blaming it on someone else. But as far as anyone listening is concerned, it’s a party tune”. L’immagine dello shapeshifter, evocata nel ritornello, sembra nuovamente riallacciarsi alle figure mostruose che popolavano i versi di RE-ANIMATOR, ma più in generale rafforza l’idea che Bad Friday sia un brano incentrato sulla violenza e l’abuso (I could not remember in the morning recita il principio del ritornello, scandito dal familiare eppure raggelante bong dell’errore di Windows 95). La successiva Pizza Boy è un formidabile brandello di pop anni ’80 scandito dai bassi profondissimi e quasi sintetici di Pritchard e dalla batteria potentissima di Spearman, con un ritornello che apre in maniera straniante: in Pizza Boy Higgs canta il tentativo di superare il dolore (I may be comatose but oh my god/ We can have a good night) attraverso l’edonismo (But time is fun when you’re just having flies, con voluta confusione di significati) e la solitudine digitale, lo straniamento dalla realtà che è diventato uno dei topos della nostra società consumista (la conferma in questo tweet della band). You Need More Time, canta sempre Higgs: la disconnessione dei personaggi del brano dalla realtà, operata attraverso l’accesso alle tecnologie moderne (Is it fun on your own?/ Just you and your mobile phone? ) richiede un lungo tempo per essere superata, un po’ come accadeva al protagonista immerso nella cultura consumistica di Blast Doors (You say you’re gonna change / But you don’t have any time). La meravigliosa Jennifer è un episodio insieme insolito, straniante e travolgente: la ritmica new-wave imbastita da Pritchard e Spearman suggella la chitarra in odore di country di Robertshaw, a disegnare un brano perfetto con un ritornello che è difficile togliersi dalla testa. Dal punto di vista testuale, il brano introduce uno dei vari personaggi di questo lavoro, Jennifer e presenta un interessante doppio riferimento incrociato a due vecchi brani della band, MY KZ, UR BF e Violent Sun, racchiuso nei due versi Then she got into the back of that car, whoa/ And she went headlong into that whispering wall. Il Whoa introduce il personaggio di Raymond, nominato apertamente più avanti nel testo, che era l’antagonista di MY KZ, UR BF (See Raymond apart, cantava Higgs sul primissimo singolo della band, e And I wanna know what happened to your boyfriend/ ‘Cause he was looking at me like “Whoa!”/ Yeah, right before the kitchen was a dustbowl/ And tossing me the keys and I can’t forget how/ And everything just coming through the windows/ And half the street was under my nails/ It’s like we sitting in a Faraday cage/ When the lights all failed; anche in Jennifer il povero Raymond ha a che fare con delle chiavi, come si evince dai versi Can you toss me the keys now? I hear Raymond outside/ He’s gonna open the front door and then we’ll attack/ We’ll put his head in the dustbin and drive into the black). Questa associazione è esplicitamente confermata dallo stesso Higgs (JENNIFER also features a character in MY KZ UR BF, from 2010. But I thought Raymond was blown up by a missile? One of these accounts is not true, a fantasy perhaps? ), ma allo stesso tempo i due versi che vi ho riportato sopra richiamano alla memoria le visioni allucinatorie e il terrore da collasso mentale cantato nell’affresco pre-apocalittico di Violent Sun (And you heard it from the whispering wall, recitava un verso di quel brano). Raymond, Jennifer e l’apocalisse incipiente (o il dolore stordente che causa un collasso mentale): tutto questo è tenuto insieme dal riferimento a un quarto brano, contenuto nello stesso Raw Data Feel, ovvero Kevin’s Car, posto più avanti nella tracklist (probabilmente il pre-chorus di Jennifer, ‘Cause she got no way to get out si riferisce alla stessa prima parte del verso, Then she got into the back of that car, e quindi a quella stessa macchina). Riferimenti incrociati a parte, Jennifer è soprattutto una splendida canzone, e uno dei momenti più alti dell’intero lavoro.
La seguente
Metroland is Burning è un piccolo gioiello di pop pieno di synth sognanti molto anni ’80: in questa fantasia di distruzione, fa la sua comparsa anche il personaggio di Kevin, che sappiamo essere il nome dell’intelligenza artificiale che ha contribuito alla stesura dei testi, ma che per Higgs personifica anche la giovinezza, con tutto il suo furore e la sua rabbia (Kevin is a version of young me, youth itself, an algamation of people I know, and (confusingly) the pet name we gave the A.I. that helped create some lyrics/artwork), un piccolo vandalo che realizza il sogno di bruciare Metroland, parco giochi sito nel MetroCentre di Gateshead, cittadina nella quale Higgs è cresciuto (Not the place there now, the one in my head from when I was a teenager). Leviathan, uno dei momenti più oscuri del lavoro, è in realtà un brano centrato sulla morte, e sull’elaborazione del lutto (I wanted a metaphor for impending death, unstoppable, inevitable and immense. So it became a many tentacled, black, mythical serpent that is eternally approaching, racconta ancora Higgs): edificato su un tappeto di archi e suoni sintetici e impreziosito dalla chitarra di Robertshaw, il brano arriva a citare persino il Falstaff di Verdi nei ritornelli (When I saw you/ I fell in love/ I had to smile/ Because you knew it), e presenta un’affascinante sezione strumentale poco prima della sua conclusione. L’irresistibile scansione ritmica di Shark Week riporta all’amore della band per hip-hop e RnB, e il brano a detta dei quattro sarebbe parzialmente ispirato a una canzone di Craig David: strofa e ritornello sono eccezionali, e il break strumentale che precede la seconda strofa stordente e affascinante. Anche qui si incontra un nuovo riferimento a Kevin, reso un vegetale da un qualche evento traumatico consumatosi tra il narrato di Jennifer e quello della successiva Kevin’s Car (Is that Kevin in the car? He’s a cabbage like me) e definito in maniera molto brillante come He’s Obama in the streets, but he thinks he’s Osama in the sheets, verso ispirato a Higgs da una biografia di un utente letta su Tinder. La seguente Cut UP! è uno dei brani più bizzarri del lotto, di difficile interpretazione: un delirio di suoni elettronici e vagamente alieni macellati in un mattatoio ritmico serratissimo. A voler ascoltare Higgs, Cut UP! sarebbe un brano …about (Kevin) trying to be cool & going to a club called Cut Up. Also about clickbait – the bridge was inspired by the words on a pornhub popup banner. Anche qui compaiono diversi personaggi dell’album, come lo stesso Kevin, Pizza Boy (chiaro rimando alla terza traccia) e il misterioso The Goatman, che si lega alla seguente HEX come figura mistica di un qualche misterioso culto (una specie di bafometto adorato in uno hoodoo mall, un supermercato “stregato”: Come where the goatman spoke/ Come where the mother bleeds yolk/ To fertilise your eggs). Musicalmente, HEX presenta un bridge strumentale bellissimo, arricchito da un solo di chitarra semplice ma incisivo di Robertshaw: e, come conferma lo stesso Higgs, contiene un duplice riferimento al culto e al mistero profetico tanto quanto all’informatica e ai linguaggi di programmazione, come a trovare una connessione tra due mondi apparentemente agli antipodi tra loro (HEX is a kind of tribalistic ritual/prayer/spell that calls for sacrifice and giving yourself up to a cult/lord of some kind. It’s also a computing language). My Computer va ben oltre i territori lambiti da Spike Jonze con Her, raccontando dell’interesse amoroso ed erotico del narratore per un robot: un alt-pop scandito dalle ritmiche serrate di Spearman e Pritchard, e impreziosito da un solo mesmerico e stordente, carico di effetti sonori stranianti, eseguito alla chitarra da Robertshaw. Dal punto di vista tematico, Higgs canta dell’amore tra due esseri tanto distanti per intelligenza e forza, laddove la forza si traduce anche, reiterando le analogie spesso ricercate dal cantante tra amore e morte, nella capacità di annientare l’altro (You’re in love with the future, I don’t know why/ You’re in love with the future, I don’t know why/ And you can hide, you can seek/ With that ultraviolet ammo). Kevin’s Car è l’altro snodo tematico fondamentale del lavoro, che tiene insieme, tra flashback e flashforward, la storia di Jennifer e Kevin: il brano è la storia dolceamara della fuga di Jennifer sul sedile posteriore della macchina di Kevin, raccontata dal punto di vista della ragazza. Se la fuga dei due da una qualche catastrofe sembra aprire la strada a un esito positivo, in realtà sappiamo che la storia finirà male, in un qualche tipo di incidente cui si fa aperto riferimento sia in Jennifer che in Shark Week: All of my hurt is gone/ And all of my wars are won, racconta Jennifer inizialmente, arrivando a citare addirittura il Petrarca. I riferimenti “fantascientifici” al Planet A e quelli contenuti nel verso I’m running to the mouth of the Moon non fanno che rafforzare l’idea che Jennifer e Kevin stiano scappando da un qualche tipo di apocalisse che avrebbe coinvolto il loro pianeta d’origine, in analogia a quanto descritto in vecchi episodi come la già citata Violent Sun, vicini a Kevin’s Car soprattutto dal punto di vista tematico. Il brano è inoltre arricchito da uno splendido break strumentale che sconfina quasi nella kosmische musik, su un sottofondo ritmico sempre serrato e incalzante che proprio alla suddetta Violent Sun potrebbe richiamarsi. Di particolare importanza, come già accennato, il verso “And there is no Planet A” , un originale ribaltamento della logica sottesa ai proclami che si fanno normalmente quando si cerca di sensibilizzare verso e in tal modo scongiurare una catastrofe annunciata (non c’è un pianeta di riserva, si suol dire): per il narratore, non v’è altra speranza che il Planet B, perché il Planet A è ormai inservibile. A questa botta di malinconico pessimismo segue il delizioso space-rock nostalgico di Born Under A Meteor, con una ritmica in odore di anni ’60, che sembra dare forma proprio alla tragedia che ha travolto proprio il Planet A: inizia come una reminiscenza giovanile di due amici che giocano ai videogiochi e finisce col racconto della caduta di un meteorite, che spazza via la vita dal pianeta. Allo stesso tempo il brano, scritto da Robertshaw, funziona come una metafora malinconica del passaggio dalla fanciullezza all’età adulta (It’s about doom, and success. Jesus was born under a meteor, and didn’t have a very nice time, all things considered, dice Higgs). La conclusiva Software Greatman sembra quasi rispondere alla domanda sottesa all’intero disco: quale trauma, cosa nasconde il narratore dentro di sé, che non è in grado di scendere a vedere e portare alla luce? I don’t know how to get over this thing ‘cause it’s always there/ And every time I go back into myself it’s just waiting there/ I don’t know how to get over this thing ‘cause it’s always therе, canta Higgs nel ritornello, prima che faccia la sua comparsa proprio il Software Greatman del titolo, una nuova entità nonché l’ultimo personaggio di questo racconto, anch’esso “nato sotto una meteora”. Resta il dubbio: chi incarna Software Greatman? È il protagonista della storia che ha infine ceduto e, riconoscendo di non essere più in grado di affrontare la distruzione portata al proprio mondo (sono molteplici i riferimenti al riscaldamento globale lungo il testo del brano), sceglie di isolarsi dentro un’esistenza compiutamente e definitivamente digitale? O forse questa trasformazione è il preludio a un qualche tipo cambiamento? O, magari, nessuna di queste ipotesi è valida?

Do androids dream of electric sheep?

Non so, è sicuramente sbagliato e lontano anni luce dalle intenzioni della band, ma a me piace pensare a Raw Data Feel come a una storia d’amore ai tempi dell’intelligenza artificiale, che si nutre di dolore, morte, violenza e che pure strappa brandelli di umanità all’inevitabile cancellazione della memoria: cosa c’è, in fondo, di più intimo e insieme di più collettivo, politico? Coniugando uno stile ormai completamente codificato a un immaginario variopinto che abbraccia tanto la science fiction (innumerevoli i riferimenti alla fantascienza, a Star Trek tanto per dirna una) quanto le teoriche psicologiche, la teosofia quanto le fantasie informatiche e le stramberie digitali, Raw Data Feel riesce magicamente a tenere insieme analogico e digitale in un modo in cui a pochi altri era riuscito. L’Intelligenza Artificiale ribattezzata Kevin è insieme strumento cui appoggiarsi e affidarsi per poter nominare e narrare il trauma, lente attraverso la quale scandagliare sé stessi, e uno dei protagonisti della narrazione, ovvero narratore e narrato al tempo stesso, centro pulsante di una storia complessa e stratificata che mette plasticamente in scena i temi affrontati dalla band durante la composizione di queste quattordici tracce; ma anche personaggio in cerca di autore, macchina cui viene dato in pasto un array di dati attraverso i quali creare un racconto che, in ultima analisi, rappresenta la propria presa di (auto)coscienza, affidata all’immagine di sé che Kevin ricostruisce forse nell’immagine che troviamo sulla cover dell’album. Insieme lente per scandagliare il mistero e insolubile oscurità, perché ciò che c’è al fondo della propria anima il narratore non ce lo racconta: I don’t know how to get over this thing ‘cause it’s always there/ And every time I go back into myself it’s just waiting there. Gli androidi sognano pecore elettriche? Non lo sappiamo, forse nemmeno riescono a prendere sonno, magari perché anche dentro di loro, nel mistero della coscienza, c’è qualcosa che li tiene svegli, che ne nutre il tormento e ne è insieme estasi, linguaggio, poesia. Queste quattordici tracce mi piace considerarle come Random Access Melodies: quattordici brandelli di umanità strappati all’oblio dell’era digitale e racchiusi dentro un album che è forse a oggi addirittura il migliore della carriera della band. Nella scrittura di Higgs c’è un’urgenza profonda, da sempre manifesta, e un’inventiva feroce, potente: le parole fioriscono su strutture musicali che sono come al solito meccanismi perfetti, recanti riferimenti ben evidenti impreziositi da una rielaborazione sempre profonda e soprattutto irriducibilmente personale. Non c’è nessun’altra band al mondo che parla dell’apocalisse dentro la quale avanziamo ad ampie falcate come sanno farlo i quattro di Manchester: nella musica degli Everything Everything trovano spazio la fine del mondo (e l’emergenza climatica, e la voodoo economics), l’eterna dialettica tra Amore e Morte, la riflessione sui media (pensiamo soltanto al tema/mezzo dell’intelligenza artificiale, sviscerato in questo album), la solitudine, la violenza (ancora, quella dell’uomo sull’uomo, quella della società sull’uomo e quella dell’uomo sul suo ambiente) e tutta quella gamma di sentimenti che definisce il nostro concetto di umanità, che gli dà un senso, che cerca di dirci ancora oggi per cosa valga davvero la pena vivere. Il personale e il politico, insieme, di fronte alla fine del mondo: accennata in RE-ANIMATOR, raccontata in Raw Data Feel. Mentre i brani si consumavano nel lettore, mi sono tornati in mente alcuni versi di Kae Tempest, una poesia chiamata And as we followed dinosaurs, una di quelle cose che non c’entrano niente e che pure c’entrano eccome, perché molto dicono di noi, di cosa siamo stati, di quel che pensiamo di essere, e magari anche di ciò che saremo:

Whatever follows us
Will hunt for footprints in the lowlands,
And piece together fragments of our habits
From the internet.

A fossilised smartphone preserved behind glass
For the new young to traipse past on school trips,
Yawning.

2 Risposte a “Random Access Melodies: Raw Data Feel (Everything Everything, 2022)”

  1. Grazie… che analisi profonda e dettagliata! Davvero un peccato che gli EE siano semisconosciuti in Italia… ebbi la fortuna di godermeli live a Milano 10 anni fa e spero possano tornare dal vivo nel nostro Paese.

    1. Ciao, e grazie per il tuo commento!
      Avrei tanto voluto vederli dal vivo, ma come scrivevo temo sia da parecchi anni che non si vedono più da queste parti… spero che prima o poi qualcuno li riporti in Italia, altrimenti toccherà andare a cercarli altrove.
      Grazie per la visita, torna quando vuoi!

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