Area, "Arbeit Macht Frei" (1973)

Mai debutto fu più indicativo delle intenzioni di una band. Nel caso degli Area di Arbeit Macht Frei, uscito nel 1973, le intenzioni sono quelle di sperimentare coi suoni, con la musica, con la voce, mescolando l’avanguardia ad un interesse senza precedenti verso la realtà sociale e politica dei difficili anni nei quali l’esperienza del gruppo si inserisce. Musica d’avanguardia che ha qualcosa da dire sulla realtà del mondo, impegno, ricerca e sperimentazione che si fondono, si uniscono, si compenetrano: Arbeit Macht Frei è questo, è un manifesto e contemporaneamente qualcosa di più, il frutto dell’incontro di un ensamble di talenti fuori dal comune (a volte, penso, impareggiabile), dallo straordinario e compianto Demetrio Stratos alla voce a Patrizio Fariselli alle tastiere, da Giulio Capiozzo alle percussioni a Paolo Tofani alle chitarre e ai sintetizzatori, da Patrick Djivas al basso elettrico all’eclettico e “difficile” Eddy Busnello al sax. Un gruppo che, nel solco del free jazz, parte alla ricerca della “fusione totale” tra generi, sonorità, stili, approcci, visioni musicali differenti e (solo) apparentemente inconciliabili: il jazz (ed il free, appunto), la musica concreta (con un occhio di riguardo a John Cage, col quale Stratos collaborò), la musica mediterranea e popolare (sempre presente nei lavori della band, non a caso autodefinitasi “International POPular Group”), l’avanguardia musicale, il gusto per la sperimentazione vocale, l’adozione, qua e là, di strutture prese a prestito dal rock ed in particolar modo dal progressive (fatto che ha favorito una semplicistica quanto a mio avviso erronea identificazione della band unicamente col genere in questione, forse a cercare di circoscriverne la portata innovativa per esorcizzarla e renderla più innocua). Musica senza compromessi, forte, violenta fin dal principio, da quella Luglio, Agosto, Settembre (nero) che apre l’album, deciso invito a prender di petto una delle questioni che più laceravano le sinistre negli anni ’70, quella del terrorismo: oggi è quasi banale schierarsi dalla parte dei fedayn, assai meno lo era 35 anni fa, soprattutto allorché, come gli Area, si cercava di scuotere la coscienza ancora addormentata, impolverata, da posizione ipocrite e, soprattutto, acritiche. Musicalmente, Luglio, Agosto, Settembre (nero) è una pioggia di suoni e richiami mediorientali, alla musica araba, fin dal celeberrimo riff iniziale, accompagnati da un ostinato del basso di Djivas e dai sintetizzatori di Tofani; notevole la performance vocale di Stratos, come geniale è la parte centrale, definita “del suq” da Chiriacò nel suo lavoro sugli Area, nella quale sembra davvero di passeggiare per un chiassoso e coloratissimo mercato tradizionale, un suq appunto. Il brano comincia con una “registrazione pirata” trafugata al museo del Cairo (così vuole la leggenda…) di una preghiera per la pace recitata in lingua araba da una giovane donna, perché Luglio, Agosto, Settembre (nero), oltre che un brano manifesto, è un potente invito a riflettere con la propria testa e a non dimenticare il pensiero libero. I testi dell’album, ermetici quasi quanto, paradossalmente, diretti, sono di Gianni Sassi (che si firma “Frankenstein”), animatore del gruppo di avanguardia artistica Fluxus nonché vero “Deus ex Machina” degli Area: arte ed impegno sociale. La titletrack, Arbeit Macht Frei, conferma quanto detto: inizio con inserti di musica concreta (rumori naturali di acqua) e un solo di Capiozzo che conduce ad una struttura “estesa”, di stampo progressive, dotata di solida sezione ritmica ed accompagnata da un testo sull’alienazione dell’uomo nella società industriale moderna, col fiore all’occhiello di un fantastico assolo filtrato al synth sul finale. Otto minuti di musica semplicemente grandiosa. Mostruosa, oserei dire. Già il testo di Luglio, Agosto, Settembre (nero) era un invito all’approfondimento critico, all’incontro/scontro delle idee e al dialogo, ad affrontare i problemi apertamente: la “consapevolezza” era tutto ciò cui gli Area puntavano, la volontà di fornire non facili parole d’ordine da seguire in modo acritico, bensì strumenti e stimoli funzionali alla formazione di opinioni ed idee personali e “consapevoli”. E Consapevolezza è il titolo del terzo brano dell’album: non “dire cosa si debba fare […] indicando strade obbligate”, ma un testo dalla “forte valenza critica […] mai acriticamente ideologico […] improntato allo stimolo, alla lucidità: un invito alla consapevolezza” (P. Fariselli in “Area: Musica e Rivoluzione”, G. Chiriacò). Oltretutto, Consapevolezza ci permette di apprezzare una caratteristica che diverrà cifra stilistica delle composizioni firmate Area, e cioè la giustapposizione di battute di metro differente a dare un effetto “zoppicante”, come nei ritmi aksak bulgari, permettendo ai musicisti di liberarsi della costrizione- ossessione del 4/4 a favore di una maggiore libertà improvvisativa, che rompe l’elasticità ritmica del pezzo: così l’inizio del brano risulta dall’accostamento di due battute, una di 6/8 e l’altra di 11/16, col resto del pezzo dominato da un “tranquillo” (molto tra virgolette) 7/4. “Consapevolezza” tecnico- ritmica e intellettuale, quindi. Segue Le Labbra Del Tempo, potente brano giocato sugli effetti elettronici nei quali è incastonata, come una preziosa gemma, la voce fuori dal tempo di Demetrio, icastica ed incisiva come non mai nel tratteggiare un testo che parla di ribellione e del diritto al risveglio delle coscienze: una meravigliosa melodia vocale, una parte d’improvvisazione di stampo jazz nella quale ogni strumentista sembra seguire una propria direzione senza curarsi degli altri, ma mantenendo intatta una magica armonia, ed infine il potente “Io ho” gridato da Stratos nel silenzio degli altri strumenti (sì, la voce di Demetrio è la voce- strumento, è la “voce- musica”), un acuto di potenza e pienezza sconvolgenti, come nel “momento di maggior tensione di un’opera” (G. Chiriacò, op. cit.), dal lirismo esasperato. La successiva 240 Chilometri Da Smirne è uno strumentale nel quale si palesa compiutamente la vena jazz del gruppo, brano contraddistinto dalla carica espressiva del sax di Busnello, che si lancia in un assolo fantastico, dolente, ricco di forza e capace di scacciare via tutti i fantasmi del suo autore, sublimazione e catarsi incalzate da una ritmica irregolare; l’assolo di basso di Djivas, non altrettanto memorabile, torna su un meno impegnativo 4/4. Va detto che Busnello possedeva maggior esperienza rispetto agli altri membri del gruppo, tutti molto più giovani, nell’arte dell’improvvisazione, maggior esperienza che pesa e si fa sentire proprio in questo brano. A chiudere questo splendido lavoro incontriamo L’Abbattimento Dello Zeppelin, la composizione forse più affascinante, nella quale più emergono le incredibili capacità di Stratos (ed ancora più incredibile è pensare come qui la ricerca vocale di Demetrio non fosse che agli inizi!), il quale modella di fiato le parole del testo fino a far loro assumere una consistenza fisica, tangibile (provare per credere, ascoltate con attenzione l’interpretazione di parole quali “rumore”, “piombare”, “sgonfiato”, che sembrano quasi presenti spazialmente agli occhi dell’ascoltatore). La storia è quella del dirigibile Zeppelin, precipitato a causa di un incendio, e la voce di Demetrio è quella del fuoco (“dicono tutti che è colpa mia”), colpevole dell’abbattimento del pallone aerostatico del titolo; evidente l’analogia dello Zeppelin con la macchina (e con la società) dello spettacolo, un baraccone di luci, rumori e fuochi artificiali che copre un desolante vuoto di contenuti con la logica del mercato e del successo che tutto livello e tutto rende parimenti “innocuo”. Ma innocua non è, non lo è mai stata (né ha mai aspirato ad esserlo) la musica degli Area. Arbeit Macht Frei nasce dall’incontro tra personalità assai differenti tra loro, provenienti da storie musicali e di vita diverse (Capiozzo, Busnello e Fariselli dal jazz, Tofani dall’elettronica, Djivas dal progressive rock, Stratos addirittura dal movimento beat), che si fondono in una sintesi mirabile, in quella che è a tutt’oggi la più grande band che la musica italiana possa vantare, una band a tal punto d’avanguardia da risultare innovativa anche oggi che tanti anni sono passati e, complice la normalizzazione culturale cui ogni giorno assistiamo (e a volte, colpevolmente, sembriamo rassegnarci), poco o niente che non sia immondizia riesce a raggiungere le nostre orecchie. Io dico: ascoltate Arbeit Macht Frei perché è un lavoro che ha molto da dire sulla musica e su un certo modo di intendere la ricerca musicale, oggi sempre più desueto, ma soprattutto ha molto da dire sull’impegno, sulla logica del confronto, sulla voglia e il bisogno di critica, dimensione sempre più spesso negata nelle “società bloccate” in cui viviamo.

Riferimenti bibliografici e teorici: Gianpaolo Chiriacò, "Area. Musica e Rivoluzione", Stampa Alternativa, 2005.

Approfondimenti: potete leggere i testi dell’album qui e qui alcuni testi ed i credits; alcune recensioni alternative a questa (nel caso non dovesse piacervi…) possono essere reperite su Debaser (e 1, e 2, e 3!), su Ondarock, che tra l’altro pone il disco tra le "pietre miliari" della storia del rock, su Kalporz.com e perfino su truemetal.it!! I link ai brani su yuotube per l’ascolto li trovate nel post (a volte non sono proprio dei gran pezzi d’arte, ‘sti video… perdonate!)… quindi, non c’è altro. Buona lettura, buon ascolto!!

8 Risposte a “Area, "Arbeit Macht Frei" (1973)”

  1. Ecco, “senza tempo” è l’espressione giusta… almeno per me!! E’ un disco che non ha esaurito affatto la sua forza, pur con trentacinque anni “sul groppone”, nè il suo messaggio.

    Ciao! 😉

  2. …una pietra miliare del Progressive Italiano… dirò di più, gli Area e Demetrio Statos sono stati i massimi sperimentatori dell’avanguardia musicale in Italia.

    Post più che meritato!

    Ciao

  3. @Fahren451heit: beh, ovviamente non posso che concordare con te! Grazie per la visita, torna da queste parti quando vuoi!! Ciao! 🙂

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