“I’ve crossed oceans of time to find you”: Bram Stoker’s Dracula (Francis Ford Coppola, 1992)

Avendo da poco ricominciato a leggere Dracula, immortale capolavoro di Bram Stoker (ma stavolta in lingua originale: mai sottovalutare il piacere di comprarsi un tascabile alla modica cifra di 3.60 €), l’immersione nelle atmosfere del romanzo gotico mi ha spinto a ripensare un po’ al tòpos del vampiro e al modo nel quale questa figura ha attraversato i vari media, giungendo inevitabilmente fino al Cinema. La settima arte ha frequentato con profonda assiduità il mito del vampiro, rielaborandolo e approfondendolo in molti modi e secondo stili spesso assai vari, adattandolo a strutture di generi anche molto distanti tra loro e finanche al racconto autoriale, facendone emergere continuamente nuovi e stimolanti significati. Non si tratta di una riflessione nuova, a dire il vero: né per me, né tantomeno per il mondo intero. Tuttavia mi piace ricorda di quando, qualche anno fa, quando facevo parte di una piccola associazione culturale operante sul territorio di Serravalle Pistoiese, con la quale avevo contribuito a organizzare una serie di eventi presso la Biblioteca Comunale Eden di Casalguidi, eventi che comprendevano anche la proiezione di cicli tematici di film. L’ultimo ciclo che realizzammo, correva l’anno 2016, si intitolava Bloody Wednesday (il riferimento era al fatto che i Biblioledì, questo il nome dell’iniziativa, erano organizzati il mercoledì sera), ed era incentrato sul cinema di vampiri, e più in generale sulla lettura della figura del vampiro sullo schermo cinematografico. Scegliemmo di prediligere film un po’ più “particolari”, operando una selezione che ancora oggi considero piuttosto eclettica: si andava dalla parodia del genere realizzata da Roman Polanski con Per favore, non mordermi sul collo! (1967) a Nosferatu, Phantom der Nacht di Werner Herzog (1979; probabilmente, uno dei miei film preferiti di sempre); da Byzantium di Neil Jordan (2013) al cupissimo e disperato The Addiction di Abel Ferrara (1995), fino al brillante Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch (2013) e all’inquietante Lasciami Entrare di Thomas Alfredson (2009), che chiudeva la nostra selezione su una nota di gelo estremamente disturbante. Nel suo insieme questo ridotto florilegio di titoli ci sembrava in grado di illustrare compiutamente lo sviluppo del tema nel corso del tempo e la capacità di autori dalle sensibilità assai diverse di aggiungere sempre nuovi livelli di senso a un mito antichissimo, e a una storia tanto universalmente nota. Scegliemmo volontariamente di lasciar fuori molti capolavori del genere, e furono scelte spesso assai dolorose (costate ore e ore di discussioni); tra i film che non trovarono posto c’era anche quello che più di tutti ha probabilmente incarnato la più compiuta realizzazione del racconto vampiresco, ovvero Bram Stoker’s Dracula realizzato da Francis Ford Coppola nel 1992. Non mi si fraintenda: rilettura più compiuta nel senso di più fedele alla storia originale, dichiaratamente rispettosa della narrazione di Stoker nei suoi tempi e nei suoi modi e soprattutto, dal punto di vista estetico, una delle più aderenti alla ricca e affascinante ambientazione gotica del romanzo. Ovviamente le cose non stanno proprio così, almeno dal punto di vista della fedeltà al racconto (Coppola qualche libertà se la prende): e però è evidente come Bram Stoker’s Dracula, primo di una prevista serie di riletture cinematografiche di capolavori del gotico inglese (cui avrebbe tuttavia fatto seguito, nel 1994, il solo Mary Shelley’s Frankenstein, prodotto ancora da Coppola ma diretto e interpretato da Kenneth Branagh, insieme a Robert De Niro nel ruolo della creatura), eserciti ancora un fascino magnetico, un’attrazione sullo spettatore che sembra proprio legata al suo modo sensuale di dare forma e vita alle intuizioni e alle inquietudini che attraversano la narrazione di Stoker; più ancora che fedele agli eventi, potentemente aderente alle atmosfere e alle suggestioni che popolano le pagine del romanzo.

La trama è talmente nota che ha davvero poco bisogno di essere raccontata. Jonathan Harker (interpretato da Keanu Reeves) è un giovane e rampante avvocato che lavora per uno studio che si occupa di compravendite di proprietà immobiliari. Gli viene affidato un cliente importante e piuttosto misterioso, il Conte Dracula, che vive nei Carpazi, in Romania. Il Conte sta tentando di acquisire una serie di proprietà sparse per tutta Londra, e occorre un consulente che possa seguirlo e consigliarlo al meglio. C’è subito un mistero un po’ inquietante: il precedente dipendente dello studio ad essersi occupato del caso, Renfield (cui presta il volto un Tom Waits agghindato in stile simil-steampunk) ha dovuto abbandonare il lavoro a causa di un misterioso crollo psichico. Nonostante la vaghezza con la quale lo studio liquida la questione, cosa che lo inquieta abbastanza, Harker decide di accettare l’incarico, con la prospettiva di una rapida carriera. L’uomo sta infatti preparandosi al matrimonio con la fidanzata Wilhelmina Murray, per tutti semplicemente Mina (Wynona Ryder): per potersi occupare del caso di Dracula, egli deve partire immediatamente per la Transilvania e rimandare al ritorno tutte le pratiche matrimoniali. Dopo un lungo viaggio, Harker raggiunge il castello del Conte (interpretato da uno strepitoso Gary Oldman). Ben presto egli capisce che in ballo c’è qualcosa di più di una semplice compravendita immobiliare: il Conte ha comportamenti estremamente strani, alterna un tono nostalgico e rassegnato, ma sempre profondamente urbano, a improvvisi e raccapriccianti scatti d’ira, e ben presto Jonathan si rende conto che c’è qualcosa di soprannaturale e inquietante nel suo ospite. Ci vuole poco perché l’uomo realizzi l’atroce verità: Dracula è un mostro che cammina sulla terra, un essere abietto e ripugnante che si circonda di altre creature infernali cui dà in pasto neonati innocenti, in un crescendo di violenza e in un turbinio di sangue. Ormai in trappola, Harker cerca di carpire quanto più possibile dei piani del Conte e, nel frattempo, elabora un piano per fuggire dal castello. La realtà che però Jonathan non può immaginare è che il Conte ha riconosciuto nel ritratto di Mina, che egli ha portato con sé nel viaggio in forma di pegno d’amore, le sembianze dell’amata Elisabeta, la compagna di una vita strappatagli con l’inganno dai turchi sconfitti in battaglia. Intravedendo un’inattesa possibilità di riunirsi all’amata, Dracula decide quindi di accelerare i tempi della propria partenza per Londra, imbarcandosi sul vascello Demeter con un carico di casse piene di terra sconsacrata, che gli occorrono per riposare, rinforzarsi e sopravvivere.
Mina, nel frattempo, ha atteso Jonathan come ospite dell’amica d’infanzia
Lucy Westenra (Sadie Frost). Giovanissima ereditiera di una ricca famiglia, Lucy ha una brillante vita sociale e si destreggia tra vari pretendenti alla ricerca di un futuro marito. La ragazza è contesa tra il giovane dottore Jack Seward (Richard E. Grant), direttore del manicomio di Carfax nel quale tra gli altri è rinchiuso lo stesso Renfield; l’affascinante playboy texano Quincey P. Morris (Billy Campbell); e infine il nobile rampollo di buona famiglia Sir Arthur Holmwood (Cary Elwes), unico figlio di Lord Godalming. La vita sembra procedere normalmente ma, in concomitanza dell’arrivo del Conte Dracula in Inghilterra, una serie di oscuri eventi minacciano la quiete della residenza dei Westenra, e sembrano sconvolgere soprattutto Lucy: la ragazza si ammala, diventa improvvisamente anemica, lamenta una continua stanchezza e gravi difficoltà respiratorie. Ciò che nessuno sa, e che la stessa Mina, pur essendone stata testimone, sembra aver confuso con un’allucinazione favorita da un clima particolarmente inquietante (un’improvvisa tempesta durante la quale Lucy, sonnambula, aveva lasciato la propria stanza raggiungendo gli enormi giardini della residenza), è che Lucy è divenuta vittima del vampiro: durante un furioso amplesso consumato nel cuore della tempesta, proprio quando Mina ha assistito alla scena, il vampiro ha morso la ragazza, ed ella ha assaggiato il suo sangue, avviando così la propria stessa trasformazione in creatura della notte. Assolutamente incapace di razionalizzare il male che sembra aver colto la promessa sposa, Arthur (che nel frattempo ha vinto la concorrenza degli altri spasimanti di Lucy) chiede a Jack un parere medico sulla salute della ragazza. Questi, a sua volta confuso dalla gravità dei sintomi e da questa anemia senza apparente spiegazione, decide di chiamare in aiuto il proprio vecchio mentore, il Dottor Abraham Van Helsing (un Anthony Hopkins sempre straordinariamente sopra le righe). L’uomo giunge a Hillingham, dove ha sede la residenza dei Westenra, e ci mette pochissimo a realizzare la reale gravità della situazione. Nota subito due punture sul collo della ragazza, e capisce di trovarsi di fronte a un nemico spaventosamente forte, che sarà molto difficile vincere. La battaglia per la vita di Lucy, condotta con tutti i mezzi della scienza e della fede, si chiude però con una sconfitta: la ragazza trapassa, divenendo definitivamente vampiro. Solo la dolorosa decapitazione del corpo non morto della ragazza porrà fine alla sua esistenza dannata, avviando gli eventi verso la loro drammatica conclusione.
Parallelamente alla dolorosa vicenda di Lucy, Mina, che non ha più ricevuto notizie da Jonathan, incontra un misterioso principe e dapprima se ne invaghisce, per arrivare poi a innamorarsene: si tratta ovviamente del Conte Dracula, che ha assunto sembianze giovani per poter avvicinare la donna e ricongiungersi a lei, portandola con sé. Il rapporto tra i due, che si sviluppa e si approfondisce di nascosto da tutti, viene però interrotto poco prima di potersi consumare: Mina riceve una lettera da alcune suore romene che si sono prese cura di Jonathan, che è infine riuscito a fuggire ed è stato ricoverato in preda a una grave febbre cerebrale. La donna decide di raggiungere il promesso sposo per celebrare il matrimonio, interrompendo di fatto la propria storia fedifraga col giovane principe. È proprio a seguito di questo rifiuto che il Conte decide di sfogare la propria furia prendendo la vita di Lucy. Tuttavia, l’evento doloroso della decapitazione della ragazza riunisce attorno a Van Helsing il gruppo di uomini composto dal Dr. Seward, da Holmwood e da Morris, cui presto si aggiunge anche Harker, nell’impresa di ricacciare e neutralizzare il vampiro. È una corsa contro il tempo: mentre, su imbeccata di Harker, gli uomini mettono a ferro e fuoco la proprietà adiacente al Carfax Asylum nella quale il Conte aveva trovato nascondiglio, il vampiro riesce a ricongiungersi a Mina e a sedurla. È la donna stessa a chiedere a Dracula di poter bere il suo sangue così da non doverlo più lasciare: con riluttanza, Dracula acconsente ma è costretto a fuggire, poiché gli uomini hanno incendiato la sua proprietà e quindi una larga parte delle sue casse di terra è andata perduta. Il vampiro riparte per la Transilvania, fidando nel nuovo, potente collegamento psichico che intrattiene con Mina, convinto che ella lo raggiungerà. La donna in effetti si mette in viaggio insieme agli uomini, che tuttavia la usano come esca per poter trovare e uccidere Dracula prima che egli possa rifugiarsi al sicuro nel proprio castello. Al termine di un epico e lunghissimo inseguimento, quando tutto sembra perduto, Morris (dopo esser stato pugnalato a morte) taglia la gola del vampiro e Jonathan lo colpisce al cuore. Dracula muore tra le braccia di Mina, che capisce di avere il potere di liberarlo dalla vera dannazione, questo suo eterno deambulare al confine tra vita e morte nella più profonda e cieca assenza d’amore.

Un eroe romantico

Non ci vuole molto a individuare la più evidente e profonda differenza tra il racconto di Stoker e la rilettura di Coppola: come peraltro accadeva già nel Nosferatu di Herzog, il vampiro non è semplicemente un mostro assetato di sangue, incarnazione delle peggiori paure della società vittoriana, ma un essere tormentato, tridimensionale, condannato a un’esistenza resa abiezione dall’incapacità di ritrovare la serenità nell’amore. Al pari del Nosferatu di Kinski, il Dracula di Oldman è essenzialmente una creatura romantica il cui fascino principale risiede nella (ed emana dalla) sua eterna dannazione: di volta in volta un’incapacità di trovare pace, di morire, di amare. Una figura complessa e sfaccettata, spaventosa quanto affascinante, condannata a un’esistenza interminabile fatta di solitudine e abiezione, una figura che è l’autentico polo attrattivo e motore dell’intero racconto.

Qualcuno ha visto nella trasmissione del vampirismo attraverso il sangue una metafora dell’AIDS, avvicinando in qualche modo l’impianto ideologico del film di Coppola a quello, ad esempio, di un film come The Addiction di Ferrara, nel quale il vampirismo è piuttosto una scoperta metafora di un’altra delle grandi piaghe sociali della fine del secolo scorso, la dipendenza dalle droghe:

The neck wounds inflicted by Gary Oldman’s Dracula, seen in close-up, look like the lesions of Kaposi’s sarcoma. The film pauses, irrationally but mesmerizingly, for an extended microscopic view of what appears to be rampaging blood cells. And its cinematography is often tinted capillary red, day and night, saturating the viewer’s entire perspective with blood. What horror tale more than Stoker’s, or this unfaithfully anachronistic retelling of it, could be more metaphorically appropriate to this moment? (The New Blood Cultura, Frank Rich, December 6, 1992)

Per quanto le possibili interpretazioni del romanzo di Stoker prima e del film di Coppola poi, a volte anche molto feconde e stimolanti, si sprechino e si moltiplichino, ritengo personalmente che in questo Bram Stoker’s Dracula la chiave di lettura più diretta (e forse la più esatta) sia quella sessuale, legata al sottile erotismo che trasuda dal racconto (e dal modo nel quale Coppola ha deciso di affrontarlo). A differenza ad esempio della narrazione costruita da Herzog nel suo film del 1979 (creata a partire da un altro testo classico, differente ma altrettanto ricco, ovvero il Nosferatu- Eine Symphonie des Grauens di Murnau del 1922), nella quale il racconto risultava essenzialmente dalla sovrapposizione di due movimenti narrativi, ovvero il viaggio di Harker verso il regno fantastico del Conte, e il viaggio, uguale ma di segno opposto, compiuto dall’elemento fantastico (Dracula) verso il reale, al fine di penetrarlo e fecondarlo, il Dracula di Coppola sacrifica il primo dei due elementi preferendo piuttosto dedicarsi al moto concentrico che porta Dracula a re-incontrare la donna della sua vita, quella Elisabeta che ha ormai assunto le sembianze di Mina. Tutto, nella narrazione, è carnale e ancorato ai corpi: la sensualità incarna il modo nel quale Dracula perturba il mondo borghese, perturbazione necessaria affinché le due anime dannate possano ritrovarsi e ricongiungersi. Non vi è quindi un elemento terzo che faccia della figura del Vampiro qualcosa di archetipico, come era ad esempio l’idea della peste fantastica che, insieme a Kinski, prendeva la città di Wismar: Dracula è qualcosa di soprannaturale eppure, fin dall’inizio, connaturato a questo mondo. Nella figura del vampiro ritroviamo più l’elemento dell’esotico hollywoodiano che non il fantastico herzoghiano: l’orrore affonda le radici nel mito del vero Vlad l’impalatore, nella ricostruzione della resistenza all’invasione turca posta in esergo al racconto, e l’essere demonico del protagonista trova uno specchio dolente nella sua solitudine auto-imposta, che fa seguito all’abiura con la quale Vlad ha accolto la condanna ricevuta da Elisabeta per il gesto del suicidio, compiuto credendo morto in battaglia l’amato marito.

Il Dracula di Coppola è dunque soprattutto un malato d’amore e di eternità, la cui solitudine (come forse quella del solo Nosferatu di Herzog prima di lui) è dovuta a una dolorosa mancanza d’amore; ma se in Nosferatu il percorso con cui Jonathan si avvicina al regno delle tenebre e quello con il quale Dracula entra nel mondo “reale” sono come detto due facce della stessa medaglia (il castello che non esiste e non è altro che un mucchio di rovine se non ci si crede, forzando l’immaginazione; o ancora il vascello che approda a Wismar penetrandola metaforicamente, affondando la prua nel porto e lasciandone fuoriuscire il proprio carico, quella peste fantastica che andrà a fecondare la realtà rendendola più di se stessa, rendendola fantasia, immaginazione, vita brulicante), in Coppola Dracula è principalmente incarnazione dell’esplosione sensuale, del rapporto carnale, della fisicità e della sessualità, il portatore dell’impero dei sensi dentro l’ordinato (ma pruriginoso) mondo borghese rappresentato da giovani ragazze in fiore (Lucy) e donne ancora acerbe (la stessa Mina), un mondo di costruzioni e formalità per le quali la carnalità esposta e vitale del Conte è uno shock a tutti gli effetti. Non c’è un solo passaggio della vicenda che non sottintenda un sottile erotismo, ora esplicito, ora appena accennato: la pioggia che bagna Mina e Lucy mentre il conte solca i mari sul Demeter, avvicinandosi a quella Londra dove potrà riunirsi alla propria amata reincarnatasi nella promessa sposa di Jonathan Harker, una pioggia che libera i sensi delle donne spingendole a trasgredire e abbandonarsi lascivamente ai piaceri della carne; la sofferenza della giovane Lucy, della quale il vampiro si nutre, che sconfina nella sensualità (dolore e piacere si confondono, in un autentico climax); la sensualità ricercata, barocca, con la quale Dracula e Mina si accostano l’un l’altra, in cerca di quel sentimento di un amore perduto che riposa ancora sul fondo dell’anima immortale di entrambi.

Dracula come discorso meta-cinematografico

Accanto a questa sensualità esibita, all’elemento erotico che permea l’intero racconto, c’è il tema dell’immagine filmica, o per così dire il racconto meta-cinematografico, la seconda delle due arterie principali che attraversano l’opera di Coppola. A questo filone pertiene a pieno titolo anche un certo elemento di gusto kitsch connaturato alla messinscena: lo si legge nella pesante e ostentata teatralità dei gesti dei protagonisti, ma soprattutto nell’enorme mole di fantasmagorie che affollano le immagini e che sono particolarmente importanti nel girato relativo al Castello di Dracula. All’interno delle mura del castello, infatti, le ombre si muovono separatamente dai corpi che le proiettano, prendendo vita propria e finendo per rappresentare le autentiche pulsioni e intenzioni dei personaggi (si consideri l’ombra del Conte che, dopo aver riconosciuto il volto dell’amata Elisabeta in quello di Mina, cinge il collo di Harker come a volerlo strangolare); la fisica è stravolta, così come le dimensioni spaziali e temporali (gocce di raffinati profumi che “cadono” dalle loro ampolle verso il soffitto, Dracula stesso che può spostarsi strisciando come un serpente lungo le pareti esterne del castello, assolutamente verticali); si mostrano fusioni innaturali di corpi umani, come nella sequenza in cui le mogli del vampiro blandiscono e seducono Jonathan; sacrifici umani e misteriosi fuochi fatui accompagnano la discesa agli inferi di questo gioco al massacro. Questa tendenza all’eccesso visivo, il gusto per la stranezza “metafisica” e l’arcano, non risparmiano nemmeno gli antagonisti del vampiro: si pensi alla sequenza nella quale Van Helsing, al fine convincere il gruppo di uomini costituito da Seward, Holmwood e Morris dell’assoluta stranezza della vicenda che li coinvolge riesce, in maniera misteriosa e come in un gioco di prestigio, a sparire alla loro vista nel giardino della residenza dei Westenra. Ma l’elemento forse più importante in questa lettura meta-cinematografica del racconto è l’uso della sovrapposizione di immagini che pone i soli occhi del vampiro dentro l’inquadratura, solitamente in corrispondenza delle altezze e di volta in volta per osservare Harker o Lucy e Mina. In particolare relativamente a quest’ultima, in virtù di una sorta di profonda e arcana connessione che supera gli abissi del tempo e che mette in comunicazione il vampiro e l’amata perduta, Dracula può osservare la donna e i suoi occhi possono divenire sguardo penetrante, prospettiva totalmente altra e privilegiata, quasi il mostro fosse un Deus ex machina, il regista di un film, l’autentico titolare di una visione espansa: e le sue molteplici incarnazioni (lupo, mostro, pipistrello, principe) nient’altro che differenti forme attraverso le quali infondere la propria vibrante presenza (e lo spettro della sensualità che egli incarna) nello statico mondo borghese abitato dai protagonisti della vicenda.

Tuttavia è soprattutto la forma che assume il rapporto stesso tra Mina e Dracula, sotto le mentite spoglie del principe Vlad di Sachait, a palesare il reale contenuto meta-cinematografico del narrato di Coppola. L’incontro tra i due personaggi è propiziato dal Cinema stesso: avviene infatti a Londra, nell’occasione di un’esposizione della recente invenzione del cinematografo (a partire dalla fine degli anni ’90 dell’ottocento le proiezioni pubbliche cominciarono a diventare molto diffuse in Inghilterra). La stessa scelta della pellicola, uno sgranato bianco e nero a velocità di riproduzione volontariamente maggiore, come se Coppola stesse ricreando un filmato con le tecniche dell’epoca, pone la sequenza in un’immediata e stridente cesura col lussureggiante colore (e calore) del resto del film: come in un racconto che parta e si sviluppi dentro la storia principale, la donna accompagna l’uomo alla proiezione cinematografica, i due battibeccano, l’irruzione di un lupo interrompe l’iniziale proposito del vampiro di trasformare Mina e crea il presupposto che avvicina definitivamente i due quando Sachait, domando la creatura fuggita dallo zoo, conquista la fiducia di Mina. Il rapporto tra i due procede in una sorta di sospensione onirica che culmina in un incontro clandestino bagnato di assenzio, durante il quale palesemente si assiste a un film dentro il film, ovvero la proiezione della vicenda di Elisabeta sugli specchi che arredano la saletta privata nella quale i due trascorrono insieme la serata. Le immagini, le sequenze della vita dell’antica regina sono rievocate da Mina come in una trance, e si sovrappongono alle ombre che scorrono di là dagli “schermi”, figure che sono a loro volta simulacri, ombre cinesi, proiezioni. La finzione filmica entra nella storia e alimenta la confusione tra la vita e la piccola morte, tra la realtà e l’immaginazione, contribuendo a dare spessore a una storia d’amore lunga secoli, che affonda le proprie radici negli abissi del tempo. È Cinema dentro il Cinema, film nel film: una storia che si alimenta del suo stesso racconto, quasi ne avesse bisogno per continuare a esistere.

In questo racconto corale di una vicenda amorosa, condotto ricalcando la struttura epistolare e diaristica del romanzo di Stoker, due sono le figure fondamentali nel percorso che condurrà Dracula verso Mina/Elisabeta: quelle di Renfield e Lucy. I due personaggi, pur profondamente diversi tra loro, si assomigliano nell’essere entrambi tramiti del vampiro dentro il mondo “reale”: ma mentre il primo ha apparentemente perso il lume della ragione a seguito dell’incontro col principe della notte, che venera come un Maestro in virtù di un’oscura promessa di vita eterna, la seconda diviene per Dracula una concubina e una fonte di forza e sostentamento, insieme vittima e discepola. La vicenda di Lucy si avvia alla propria tragica conclusione proprio mentre l’amore trasforma le lacrime di Mina in pietre preziose tra le mani del Principe Vlad: illusione che è ancora sogno, Cinema (effetto speciale, se vogliamo), ritrovata comunione tra i due amanti attraverso gli abissi del tempo che si compie proprio mentre Jonathan riesce a mettere in pratica i propri propositi di fuga dal castello attraverso quello stesso fiume che prese la vita di Elisabeta, e trovando rifugio presso l’ospedale di un convento. Il ritorno di Harker sulla scena pone Mina di fronte alla scelta tra l’amato promesso sposo e il misterioso principe che le ha fatto scoprire un nuovo, possibile e più profondo amore. La decisione di Mina di partire verso la Romania per raggiungere Jonathan catalizza la rabbia del vampiro. In una drammatica sequenza il Principe, nel suo elegante abbigliamento, si scopre spezzato dal dolore, preda di un pianto disperato, il volto mostruoso che ne rivela compiutamente l’animo deforme: scatenata la rabbia degli elementi, Dracula prende il corpo e la vita di Lucy, rendendola sua simile. Niente possono Quincey e le sue pistole, né il promesso sposto Arthur. La rabbia del mostro lascia solo morte dietro di sé, ed è in un’esplosione di sangue che la vita di Lucy, ormai “concubina del demonio”, si spenge, mentre Mina si unisce in matrimonio a un Jonathan visibilmente provato dall’esperienza vissuta in Transilvania. È la sovrapposizione di due rituali di unione e comunione: l’una una comunione sacra, il vincolo del matrimonio stretto tra due amanti, l’altra un’unione empia, sacrilega e oscura, nella quale il vampiro vince il corpo e l’anima della sua vittima. Non è un caso che questi due matrimoni, quello tra Mina e Jonathan e quello tra Lucy e la zona d’ombra tra la vita e la morte nella quale il vampiro la condanna a deambulare, vengano celebrati in contemporanea con un uso sapiente del montaggio, in un potente crescendo di tensione emotiva. Agli uomini guidati da Van Helsing non resta che spezzare la catena, uccidendo Lucy e liberandola dalla dannazione eterna. Il sarcofago che dovrebbe contenere le spoglie della giovane donna è infatti vuoto, ed ella è condannata a vagare per sempre dentro la notte alla ricerca di quel sangue che le permetta di mantenersi non morta. La centralità della vicenda di Lucy, di gran lunga superiore nel film che nel libro di Stoker, assolve così allo scopo di fornire un negativo al racconto della comunione tra Mina e Jonathan, e tra Elisabeta e Dracula.

La scienza di confine di Van Helsing

Solo un nemico che proviene dal suo stesso mondo può combattere il Vampiro ed eventualmente sconfiggerlo: questi è il dottor Abraham Van Helsing, nella lettura di Coppola qualcosa a metà strada tra un santone e un uomo ossessionato (da se stesso tanto quanto da Dracula), la cui prossimità a quel mondo occulto dal quale il Vampiro proviene è dichiarata apertamente nel prologo stesso del film, laddove Hopkins presta il volto al sacerdote che decreta la dannazione di Elisabeta, colpevole di aver scelto il suicidio perché incapace di affrontare il dolore di aver perso il marito. Il sacerdote/Van Helsing è di fatto la figura che condanna sia Elisabeta che, per conseguenza, Vlad all’eterna dannazione: la sua mancanza di pietà spinge Vlad all’abiura della fede e al proposito di abbracciare le forze dell’oscurità, suggellato bevendo il sangue sgorgato dalla croce; e questo abbraccio mortale col Male rende Vlad il mostro costretto a vagare attraverso il tempo senza poter trovare pace, bestia assetata di sangue ma soprattutto bramosa di quell’amore che l’inganno prima, e l’assenza di umana pietà poi, gli hanno strappato e negato. Van Helsing diviene quindi lo scienziato che passeggia sul crinale della scienza di confine, propugnatore dell’idea che non tutto possa essere spiegato con la ragione (come nella stessa sequenza cui mi riferivo poc’anzi): per restare nel paragone con l’universo herzoghiano, il negativo della figura del medico che svolge l’autopsia sul corpo di Kaspar Hauser, tentando di spiegarne la profonda e dolente differenza rispetto al resto di quel mondo che l’ha rifiutato attraverso la scoperta dell’anomalia fisica, l’uso del sapere come un grimaldello per scardinare l’elemento di disturbo e accomodare gli eventi dentro una rassicurante e prestabilita immagine del reale (“finalmente per questa stranissima persona abbiamo trovato la giusta spiegazione, come non se ne possono trovare di migliori”, recita il medico al termine dell’autopsia). Il medico olandese rappresenta quindi l’antitesi del vampiro, la nemesi in grado di organizzare la sconfitta del potentissimo essere senza la necessità di negarne la dimensione altra, la forza del mito e il fascino emanato dalla storia personale di Vlad prima, e della sua forma vampiresca poi. Van Helsing è soprattutto in grado di far leva sull’arma più potente per sconfiggere Dracula. Il vampiro chiede infatti un ultimo gesto di pietà, che otterrà da Mina/Elisabeta: la liberazione dall’atroce dolore di una vita senza morte, di una vita senza amore, senza speranza alcuna di sollievo.

Mina mostra infatti un’umana e profonda compassione per quello spirito dannato, e sarà proprio la sua compassione la chiave per sconfiggere il mostro e restituire a Vlad la pace che egli desidera. In un colloquio con Renfield, la donna scopre di essere la moglie che il Maestro brama. In un ultimo lampo di consapevolezza, Renfield suggerisce a Mina di fuggire lontano, suggerimento che lo esporrà alla furia del suo Maestro e gli costerà la vita. Va in scena quindi la caccia al vampiro, che porterà alla distruzione delle sue casse di terra, nelle quali egli riposa e dalle quali trae la sua forza, e alla sua fuga verso la madre patria. Dracula è un mostro ctonio, che proviene dalla terra e da tutto ciò che in essa si agita. Le casse di terra patria che il Conte ha fatto trasportare dalla Transilvania fino in Inghilterra e disporre nelle sue varie proprietà brulicano di serpenti e insetti e vita abietta, e in esse il vampiro deve riposare per ricostituire le proprie forze. Mentre gli uomini, guidati da Van Helsing, compiono un esorcismo sulle casse, distruggendole e bruciandole, il vampiro, materializzandosi come una fantasmatica nebbia verdognola, un’aurora terrena e mortifera, raggiunge prima Renfield, punendolo con la morte per il suo tradimento, e poi Mina, materializzandosi nel suo letto per unirsi a lei in un amplesso mortale. Allo shock iniziale, causato dalla scoperta che il principe è in realtà il vampiro che ha tolto la vita a Lucy, segue un bacio che suggella il legame indissolubile tra Elisabeta/Mina e Vlad. C’è una sensualità profondissima nel corpo nudo di Mina che si intravede dalla sottoveste trasparente, nel suo odio che si trasforma in amore e divampa proprio come il fuoco che gli uomini appiccano alle casse di terra del Conte: un fuoco che purifica, uno che suggella un’unione sacrilega, un altro palese parallelo sottolineato dalle sapienti scelte di montaggio. Dracula vampirizza quindi Mina. Va in scena un nuovo matrimonio, anche se il vampiro è inizialmente combattuto e riluttante all’idea di costringere la donna alla dannazione eterna: ma è proprio Mina a scegliere volontariamente di unirsi a Dracula, così da poterlo amare per sempre.

Sfruttando la profonda connessione tra Dracula e ipnotizzando Mina/Elisabeta (i confini tra le due donne si perdono), Van Helsing riesce ad anticipare i piani del Vampiro. Non è un caso che l’uomo di scienza riesca a connettersi alla dimensione esotica del vampiro attraverso una pratica di confine come l’ipnosi. In una grandiosa corsa contro il tempo per salvare Mina dall’ineluttabile trasformazione e uccidere Dracula, gli uomini tentano di intercettare la nave che riporta il Conte in Transilvania, arrivando a usare la donna stessa come esca. La resa dei conti ha luogo nel cortile del castello di Dracula in un’estrema corsa contro il tramonto. Nello scontro, Quincey perde la vita e il vampiro viene ferito a morte dagli uomini. Sarà allora proprio la compassione di Mina, quella che la donna ha da sempre sostenuto di provare, a spezzare l’incantesimo e a liberare l’anima di Vlad. Il castello è un gigante silenzioso seduto sulla cima di uno strapiombo, come su un trono. È qui che Jonathan accetta come Mina e Dracula siano da sempre legati in maniera indissolubile: proprio mentre il bianco abbandona i suoi capelli, segno che la maledizione sta svanendo, egli realizza che è sempre stato compito della donna mostrare al mostro quella compassione che nessuna altra persona avrebbe potuto dargli, e liberargli per sempre l’anima.

Un amore profondo come mille, infinite notti

Alla fine, Dracula è il racconto di un amore più forte della morte. Alla richiesta di Vlad di dargli finalmente la pace, mina affonda il coltello nel cuore del mostro che è tornato infine, per un attimo soltanto, a essere uomo. Un ultimo bacio, e lo sguardo del vampiro resta fisso su un affresco che lo raffigura abbracciato all’amata Elisabeta. Mina taglia la testa del mostro, la maledizione è per sempre spezzata, ma il vincolo di quell’amore e della sua purezza resta intatto, e non potrà mai essere reciso.

In un testo dallo splendore figurativo enorme, Coppola riesce a intessere una narrazione che è insieme visionaria, eccessiva, a tratti barocca e imbevuta di un profondo e rispettoso amore per la grandezza del Cinema. La stessa scelta del cinematografo, teatro di illusione e ombre cinesi, come luogo deputato all’incontro tra i suoi due protagonisti, associata al montaggio e alle scelte estetiche che rimandano al cinema dei pionieri (il passo accelerato, il bianco e nero da film muto, le frequenti dissolvenze a cerchio e gli effetti che marcano le transizioni tra i vari capitoli della storia), fanno di questo Bram Stoker’s Dracula un’esaltazione del racconto cinematografico, il sogno dei sogni, di tutti i sogni. A Coppola interessa evidentemente il vampiro inteso come principio vitale, soffio che insuffla la carnalità e la sensualità nel mondo in bianco e nero della società ottocentesca, elemento che inietta il caos (ovvero la forza creativa) dentro una realtà accomodante, priva d’emozione. Non è un caso che la liberazione erotica della quale il vampiro è metafora abbia tanta presa sui vari protagonisti della storia, siano essi Lucy, Mina o Jonathan, giovani e inesperti, così pieni di desiderio e insieme così incapaci di esprimerlo e concretizzarlo. Il Dracula di Gary Oldman è invece un essere vibrante, teso come un arco, completamente marcio e insieme completamente puro, ricolmo di quello stesso desiderio. Egli non porta con sé la peste che trasmuta il mondo, non è egli stesso quella peste, come accadeva in Herzog; è piuttosto la raffigurazione di quella liberazione sessuale, fisica e carnale che sconvolge la puritana borghesia inglese dell’ottocento così come avrebbero fatto dì lì a poco la scienza di Marie Sklodowska Curie (sono proprio del 1897 i suoi studi sul polonio) o le immagini in movimento dei fratelli Lumière (risale infatti proprio alla fine del secolo la rapida diffusione del cinema sul territorio britannico). Non c’è limite al potere della scienza, dice il principe Vlad di fronte al cinematografo, così come non c’è limite alla forza di un amore che attraversa i secoli, unica speranza di redenzione da un’eternità dannata. Bram Stoker’s Dracula contiene tutto questo, incorniciato in un’ambientazione affascinante, decadente e profondamente rispettosa del tono gotico del romanzo originale: una celebrazione pulsante quanto estrema delle forze vitali che attraversano la nostra stessa esistenza.

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