Il grande Jazz sotto le stelle: Enrico Rava al Serravalle Jazz (30/08/2022)

Il grande Jazz è di casa alla Rocca di Castruccio di Serravalle Pistoiese da ormai 21 anni: era il 2001 quando, a una storica esibizione della Barga Jazz Big Band presso la Rocca, fece seguito l’idea di organizzare un festival dedicato al Jazz nella cornice spettacolare offerta dal paese di Serravalle (mio comune di provenienza, tra le altre cose). Giunto alla ventunesima edizione, il Serravalle Jazz, al pari della musica che ne ispira il nome (e la programmazione), gode di ottima salute: l’evento dell’anno è stato senz’altro il live di ieri sera di Enrico Rava, cui è stato assegnato anche il Premio Sellani 2021. Un piccolo passo indietro: dei tanti artisti che hanno animato le serate del Jazz alla Rocca di Castruccio, Renato Sellani è stato senz’altro uno dei più amati (e dei più presenti). Scomparso nel 2014, all’età di ottantotto anni, al pianista e compositore originario di Senigallia l’organizzazione del Serravalle Jazz ha voluto dedicare un premio, l’omonimo Premio Sellani, assegnato a partire dal 2015: il premio 2021 doveva essere assegnato appunto a Enrico Rava che però non aveva potuto ritirarlo a causa di problemi di salute. Si è quindi deciso di conferire l’onorificenza al grande trombettista e flicornista triestino nel corso di questa edizione 2022, organizzando una serata con una formazione “stellare” ad accompagnare il solista. Peraltro, proprio Rava era stato protagonista, in duo proprio con Sellani, di una storica serata durante la prima edizione del festival, nel lontano 2002: un concerto eccezionale, che la pioggia costrinse a spostare all’interno della chiesa di Santo Stefano, nel quale il duo suonò in maniera quasi completamente acustica (senza amplificazione Rava, con un piccolo microfono all’interno del pianoforte Sellani, allo scopo di raggiungere un migliore equilibrio sonoro) eseguendo numerosi brani della tradizione italiana degli anni ’40 e ’50 riarrangiati per piano e tromba, brani che facevano parte di un album pubblicato dai due poco tempo prima (nel 2000, Radio Days era il suo titolo, e lo potete ascoltare qui). Come ha ricordato Maurizio Tuci, storico direttore artistico del festival, nel suo intervento introduttivo alla serata, Rava e Sellani sono a pieno titolo un pezzo di storia del Serravalle Jazz (e, più in generale, del Jazz italiano e internazionale): il conferimento del premio a Rava richiedeva pertanto una cornice adeguata, per spessore e qualità, ed ecco che ad accompagnare sul palco l’artista triestino è stata radunata una band composta da Nico Gori (sax alto e clarinetto), Piero Frassi (pianoforte), Massimo Moriconi (contrabbasso), Ellade Bandini (batteria) e Stefania Scarinzi (voce). Anche qui, un ensemble suggestivo di musicisti, le cui storie si intrecciano profondamente con quelle dei protagonisti della serata: da Moriconi, che ha fatto parte in pianta stabile per quindici anni dell’ultimo trio di Renato Sellani, allo stratosferico Ellade Bandini, che ha attraversato almeno cinquant’anni di grande musica italiana, dal pop al jazz; musicisti che, in varie combinazioni, sono stati anche compagni di viaggio dello stesso Nico Gori, altra stella e solista di prima grandezza, dando con lui alle stampe nell’ultimo decennio numerosi album di straordinario valore. Rava, ovviamente, è uno di quei nomi che non hanno bisogno di presentazioni: nel corso di una straordinaria carriera che ha abbracciato gli ultimi 65 anni di storia del jazz, dal 1957 a oggi, il Maestro si è reso protagonista di oltre 90 registrazioni (tra le quali più di trenta in qualità di solista) e un numero incalcolabile di preziose esibizioni live, che ne fanno uno dei grandi nomi della storia della musica colta del ‘900.
Faccio un appunto “personale”: era il 30 agosto del 2011 quando, sul palco del
Serravalle Jazz, saliva Renato Sellani per un’esibizione di piano solo, intitolata “Dediche agli amici”. Ricordo di essere stato tra il pubblico, quella sera, e di aver pensato (e scritto su Facebook, come il social mi ricordava proprio ieri) che “eravamo a Serravalle, ma pareva di essere a Woodstock”: un’esibizione che pareva incredibile potesse giungere da un uomo di 85 anni, di forza e vitalità assolute,. Trovo quindi in qualche modo poetico che proprio ieri, il 30 agosto di 11 anni dopo, in quello stesso luogo si tornasse a onorare la memoria di un grande artista attraverso l’esibizione di un gruppo di musicisti straordinari.
Un’esibizione che, con inesauribile inventiva ed eclettismo, ha spaziato in lungo e in largo per la storia del jazz: la serata si è aperta con il bebop di
Minority, standard scritto dal grande Gigi Gryce e reso celebre da numerosi reinterpretazioni nel corso degli anni (ricordo, tanto per fare due nomi, quelle di Cannonball Adderley in Portrait of Cannonball e di Bill Evans in Everybody Digs Bill Evans, entrambe del 1958), eseguito in quartetto da Gori con il supporto di Moriconi, Frassi e Bandini. A seguito dell’ingresso sul palco di Rava, la band ha eseguito Dear Old Stockholm e Old Devil Moon, altrettanti omaggi a due dei musicisti che maggiormente hanno influenzato Rava nel corso della sua carriera, ovvero Miles Davis e Chet Baker. Se di Dear Old Stockholm, canzone della tradizione svedese, si ricordano numerose reinterpretazioni nella storia della jazz, da Stan Getz a Paul Chambers a John Coltrane (c’è un’intera compilation di Trane, edita nel 1963, che prende il titolo proprio da questo brano) fino appunto a quella, celebre, proposta da Miles Davis, della popular song Old Devil Moon, composta da Burton Lane su testo di Yip Harburg per il musical del 1947 Finian’s Rainbow si ricordano riletture dello stesso Miles, del Trio di McCoy Tyner, ma anche di Frank Sinatra, Sarah Vaughan e appunto del grande Chet Baker. Con la successiva Retrato em Branco e Preto, Rava ha voluto invece omaggiare il genio immortale di Antônio Carlos Jobim (compositore del brano insieme al grande Chico Buarque) e le figure di João Gilberto e, ancora, Chet Baker, protagonisti di alcune tra le più celebri riletture del brano offerte nel corso degli anni: una bossa affascinante che ha avvolto e avvinto delicatamente il pubblico, creando un momento di sospensione e meraviglia assoluti, dominati dalla timbro inconfondibile della tromba di Rava. Col ritorno sul palco di Nico Gori, la band si è quindi lanciata in una riproposizione molto “atmosferica” di uno degli up-standard più travolgenti dell’intero repertorio jazz, Cherokee, brano scritto dal compositore britannico Ray Noble e riproposto negli anni (tanto per fare due nomi) da musicisti del calibro di Charlie Parker, dalle orchestre di Count Basie e Duke Ellington, da Sarah Vaughan e, in tempi più recenti, anche dalla band di Kamasi Washington nello strepitoso album The Epic del 2015. Cherokee, oltre ad essere uno tra i più frequentati, è senz’altro uno degli standard più noti e amati dell’età d’oro del Jazz, e ha consentito a Rava e Gori di snocciolare una padronanza del linguaggio bebop sfolgorante (non che ci fosse qualche dubbio), facendo del brano una tavolozza per improvvisazioni inventive e coloratissime. Dopo la cerimonia di conferimento del Premio Sellani a Rava, che ha interrotto per alcuni minuti l’esibizione dal vivo, il trombettista si è congedato dal palco con la riproposizione di Sometimes I’m Happy, altra popular song scritta da Vincent Youmans con testo di Irving Caesar e resa immortale dall’interpretazione di Sarah Vaughan: a confrontarsi con la cantante americana, è salita sul palco Stefania Scarinzi, che ha prestato una voce eccezionale (e uno scat incredibile) al brano, che aveva già fatto parte della tracklist dell’album Reason Why, realizzato in trio proprio dalla cantante con gli stessi Gori e Frassi nel 2018 (lo si ascolta qui). Da segnalare uno strepitoso solo del contrabbasso di Massimo Moriconi, protagonista di un’esibizione che, da contrabbassista di (poche) belle speranze, posso etichettare soltanto come mostruosa: una solidità, un groove, un’inventiva e al tempo stesso un senso melodico assolutamente invidiabili, anch’essi frutto dello sviluppo di una grammatica e di un linguaggio jazzistico che è stato evidentemente il lavoro inesausto di un’intera carriera e che spiega senza bisogno di ulteriori chiarimenti come mai un grande compositore come Sellani avesse scelto Moriconi come contrabbassista stabile del proprio trio. Dopo i saluti di Rava, il quintetto Gori-Moriconi-Frassi-Bandini-Scarinzi ha riproposto Honeysuckle Rose, brano composto nel 1929 da Fats Waller con parole di Andy Razaf, anch’esso presente nello stesso Reason Why del 2018 di cui parlavo poco fa. Prima di lasciare spazio alla parte finale del concerto, interamente strumentale, Scarinzi ha eseguito, in una formazione senza fiati con i “soli” (si fa ovviamente per dire) Moriconi, Frassi e Bandini, una versione strepitosa di (In my) Solitude, altro standard composto da Duke Ellington nel 1934 con testi di Irving Mills e Eddie DeLange, e inciso per la prima volta da Fats Waller: un momento di eccezionale raccoglimento per una ballad delicatissima, retta dal piano elegantissimo di Frassi, dalla classe infinita di Bandini e dal senso melodico di Moriconi. Con il ritorno sul palco del band leader, Nico Gori, la serata si è chiusa su tre brani strumentali che hanno ripreso principalmente le sonorità espresse dal sassofonista nel suo recente lavoro con gli stessi Moriconi e Bandini, realizzato sotto il nome di Modalità Trio e raccolto nel recentissimo album men, pubblicato nel 2021 (cliccate qui per ascoltarlo): echi di composizioni originali, riletture di The Jitterbug Waltz (altra composizione di Fats Waller) e piccole citazioni sparpagliate con grazia da Frassi al piano (mi pare di aver colto più di una strizzata d’occhio a Thelonius Monk, in particolare una piccola sequenza di accordi presa da In Walked Bud o forse Straight No Chaser: due brani ben diversi, lo so, e chiedo venia, ma la memoria comincia a farsi fallace).
Sull’interplay dei musicisti, sul loro approccio allo strumento, ho detto troppo poco, mi rendo conto: assistere allo spettacolo di Bandini, Frassi, Moriconi e Gori che si scambiano quattro per lasciare libero sfogo alla propria interazione creativa è stata probabilmente una delle esperienza più belle dell’intera serata. Bandini in particolare ha potuto, con la modalità dello scambio di quattro, costruire piccoli fraseggi, arabeschi percussivi affascinanti e sincopati, e le risposte ad essi offerte dai fiati di Gori hanno rivaleggiato, per ricchezza e suggestività, con gli scambi e gli intrecci tra le voci dello stesso Gori e di Rava, un dialogo che è stato il protagonista indiscusso della prima metà della serata. Perfetto contraltare armonico alla solidità ritmica offerta dal contrabbasso di Moriconi, il pianismo discreto di Frassi si infiammava improvvisamente in assoli frastagliati, piogge di note, sincopi e frasi spezzate, estremamente complesse, inseguendo in qualche modo figurazioni che ricordavano molto il formidabile scat proposto da Scarinzi nei suoi interventi solisti alla voce (voce splendida, di un’espressività esacerbata, come è stato possibile ammirare durante i brani cantati proposti nel corso della scaletta). Di Moriconi ho già detto: era la prima volta che lo vedevo dal vivo e mi è rimasta negli occhi la mostruosa precisione ritmica, la padronanza assoluta di tutto il registro dello strumento, la capacità di scivolare impercettibilmente dal groove più ostinato alla melodia più delicata, con un’espressività e una pienezza sonora che sarebbe un sogno poter anche soltanto avvicinare. Sia quando si esibiva al clarinetto che al sax alto, infine, il timbro di Nico Gori è stata in grado di suggerire un complesso quadro di ispirazioni, allo stesso tempo disegnando melodia e palesando una capacità di improvvisazione così torrenziale tale da rimandare a memoria i più grandi interpreti dello strumento (penso ancora, soprattutto, al buon
Cannonall Adderley). Quanto a Enrico Rava, beh: nella sua tromba si ascoltano ad ogni nota la semplicità abbacinante di Miles Davis, il trasporto emotivo di Chet Baker, ma anche l’estetica free, echi di classicismo, un suono profondo mille secoli, pieno di suggestioni, ispirazioni, idee, e insieme assolutamente originale, personale.
Non c’era probabilmente modo migliore di celebrare la memoria del grande
Renato Sellani e, insieme, la carriera di Enrico Rava che con questa band, con questa esibizione e con questa musica: una serata da ricordare, che rimarrà lungamente nella memoria dei numerosi appassionati raccoltisi alla Rocca di Castruccio, e senza dubbio anche nella storia di un festival che è cresciuto sempre più, di anno in anno, fin quasi ad arrivare al limite dimensionale della Rocca stessa. Serate come quella di ieri ci insegnano cosa possa succedere quando un luogo, con i suoi spazi e le sue suggestioni, incontra una musica capace di alimentarne la magia, espanderne (almeno idealmente) i confini, superarne la realtà e moltiplicarne la forza: e, come la serata di ieri ha ampiamente confermato, l’incontro fra gli interpreti del grande Jazz e la Rocca di Castruccio è ormai uno di quei momenti dell’anno che si aspettano con impazienza e che ci si augura possano non terminare mai.

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