"Il Maestro di Pietroburgo", J.M.Coetzee

Il Maestro di Pietroburgo (J.M.Coetzee)La perdita di un figlio: questo riconduce Fëdor Michailovič Dostoevskij a San Pietroburgo dall’esilio forzato di Dresda, dove ha riparato braccato dalle richieste dei creditori. Pavel Aleksandrovič Isaev, il figlio che Dostoevskij ha adottato come suo, è morto in circostanze misteriose: il padre corre sul luogo del fatto in cerca di risposte. Risposte che la scrittura di Coetzee e lo svolgersi della storia non ci restituiscono che in modo parziale, senza chiarirne il significato, mentre mostrano, in filigrana, come una “storia dietro (dentro) la storia”, un padre che scivola a fondo dentro se stesso, Dostoevskij che scivola dentro Dostoevskij. Il movimento, l’unico che avviene nettamente, è tutto interno al protagonista della vicenda: un padre che non sa rassegnarsi alla dipartita del figlio, che cerca di mantenerlo in vita dentro di sé, che cerca di albergare l’anima smarrita del giovane nelle sue proprie membra di vecchio stanco, sfinito dalla vita, prossimo al suo stesso ultimo traguardo. Dostoevskij, in incognito (ma non troppo, e spesso sottovalutando la propria fama) per sfuggire ai creditori, attraversa questo percorso passando tra un’innocente fedeltà alla memoria del figlio, la volontà di non tradirne la fiducia ora che egli “vede tutto” e lo smarrimento, sentimenti contradditori e tumultuosi nei confronti dell’affittuaria di Pavel, Anna Sergeevna e della di lei figlia, Matrëna. Un incontro di solitudini dal quale ad un certo punto il vecchio padre spera di veder risorgere l’anima immortale del figlio; corpi ed anime che si compenetrano, sul fondo delle quali riluce il volto amato del giovane Pavel, strappato troppo presto alla vita e all’amore di chi gli stava attorno. La storia clandestina tra il grande scrittore ed Anna prosegue tra alti e bassi, momenti di lontananza e momenti di straordinaria e profonda intimità, con lo spirito del figlio che non cessa un attimo di seguire il padre: a mano a mano vengono alla luce aspetti di Pavel che Dostoevskij non conosceva, non poteva (né forse doveva) conoscere, pensieri che emergono dai suoi diari, confiscati dalla polizia per la vicinanza del ragazzo con gli ambienti rivoluzionari e il movimento di Vendetta del Popolo guidato dal giovane invasato Sergej Gennadevič Nečaev. Un Pavel che il padre non conosceva, che subisce il fascino di Nečaev, del suo salmodiare carico di rancore, per quanto, in fondo, sinceramente appassionato. Le versioni sulla morte del figlio si sprecano: “suicidio”, come dice la polizia, “omicidio”, come Nečaev condanna (ed ovviamente sarebbero state le forze dell’ordine stesse ad ordinarlo), ancora “omicidio”, come immagina il padre, commesso però proprio da Nečaev, affamato di martirio per promuovere la propria causa. È un patto, che il giovane rivoluzionario vuole: una dichiarazione dello scrittore, nella quale egli dica la sua verità a proposito della morte del figlio, per aizzare il popolo contro i centri del potere. Dostoevskij scrive quello che pensa, cioè che Nečaev sarebbe il mandante di quella morte, quando si rende conto di essere in scacco, di essere la sola vera preda, lo sconfitto in questa partita, caduto in trappola. Le parole, poi stampate, ingenerano disordini in tutta la città: resta il dubbio che siano state stampate proprio così, senza “ritocchini”. Ma il risultato che ottengono è di precipitare la città in una spirale di violenza. Dostoevskij si sente un traditore, tocca senza toccare, consuma l’amore per Anna senza più realmente desiderarlo, pretende un figlio da lei che li salvi, salvi lui, lei, la figlia Matrëna. Lo pagano un sacco di soldi per scrivere, ma in cambio di ciò è costretto a dare l’anima, a tradire l’amore di tutti. La scrittura diventa una maledizione, e nel buio che si trova dentro Dostoevskij cerca la risposta sul figlio, sulla sua morte e su quel che resta della propria vita direttamente sulle labbra di Dio: ma non conosce altro modo di interrogarlo che non sia lo sfidarlo, lo scommettere su di lui, e contro di lui. Come il giocatore che è ed è sempre stato, congegna “una trappola per acchiappare Dio”. Tradisce così nella scrittura tutti coloro che ha amato, anche il figlio, anche Anna, anche Matrëna, alla vista innocente della quale lascia, a bella posta, aperta sul tavolino della stanza che era stata di Pavel e che per qualche giorno ha ospitato anche lui, la pagina del diario di Pavel sulla quale ha scritto i primi capitoli di questa storia, vendendola e vendendo loro tutti. Se Dio c’è, non potrà essere impassibile di fronte alla corruzione dell’innocenza di una bambina. Niente è così limpido come sembra, e sul fondo delle anime, nei labirinti che ci stanno dentro e che Dostoevskij nei suoi romanzi ha così profondamente esplorato, spesso non si nasconde un fiore, ma abiezione, dolore, paura. Silenzio. Lo stesso silenzio che assapora lo scrittore nel momento del tradimento, nessuna parola, nessun sapore, una estraneità alla propria stessa anima (“Ho perso il mio posto nella mia anima, pensa”). Solo stordimento, ancora ed ancora, sullo sfondo del quale si svolge una storia di rapporti padre- figlio che si consumano e giungono ad una, forse tardiva, resa dei conti.

Il prezzo da pagare gli sembra enorme. Gli danno un sacco di soldi per scrivere libri, aveva detto la bambina ripetendo le parole del figlio morto. Quello che non avevano detto era che doveva dare l’anima in cambio.

2 Risposte a “"Il Maestro di Pietroburgo", J.M.Coetzee”

  1. Hias..questa è la tua prima recensione di un libro. Uau!

    Di Coetzee ho letto solo Vergogna che è veramente notevole.

    Ciao!

    quentin84

  2. Sapevo che non avresti resistito all’attrazione di Coetzee!! 😉 eheh!!

    Comunque dai, non è una recensione… più un commento, o se vogliamo una raccolta di impressioni, ecco. Felice che ti abbia interessato, ad ogni modo!

    Ciao vecchio mio!!

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