Land Of Plenty- La Terra dell’Abbondanza (W.Wenders)

Land Of PlentyWenders, dopo “The Million Dollar Hotel”, insiste sulla tematica dell’emarginazione sociale presentandoci questo film, “Land Of Plenty – La Terra Dell’Abbondanza”, ambientato negli Stati Uniti post- 11 settembre. Due anni sono trascorsi dall’attentato al World Trade Center. Paul Jeffries è un reduce del Vietnam (scampato all’abbattimento del suo elicottero, avvelenato da diossina e dalle armi chimiche usate in quella guerra), che, da quella fatidica data, spende le giornate facendo da sentinella per il proprio paese, girovagando per le strade di Los Angeles alla ricerca di terroristi islamici, di cellule dormienti, di qualunque persona possa essere “il nemico”: la causa alla quale ha votato la sua vita è la salvaguardia del proprio paese. A bordo di un attrezzatissimo furgone- spia, registra immagini, raccoglie prove, tiene registri vocali delle proprie indagini. Lana, ventenne, è la nipote di Paul, americana di nascita ma che ha sempre vissuto lontana dal proprio paese: parte dal medioriente, dove si trova col padre missionario, per cercare lo zio che non vede da anni e consegnargli una lettera lasciatele dalla madre sul letto di morte. Una volta arrivata a Los Angeles, impegnata in una missione della città che aiuta i poveri ed i senzatetto, riuscirà ad entrare in contatto con lo zio. Il film di Wenders è palesemente diviso in due parti, una prima, nella quale conosciamo i due personaggi principali e li vediamo muoversi nel loro ambiente, ed una seconda, una sorta di road movie, un viaggio che condurrà i due protagonisti laddove tutto è iniziato. Paul (interpretato da un buon John Diehl) ha in sé molta della paranoia, del terrore nel quale un intero paese è precipitato con l’11 settembre: egli ha messo una barriera, un filtro tra sé ed il reale (rappresentato dalla tecnologia, dalle telecamere con le quali registra ciò che lo circonda, dal microfono, unico oggetto con il quale riesce a dialogare per buona parte del film) e vive prigioniero di un’ossessione che lo insegue fin dai giorni del Vietnam. In lui si esplicita l’allucinazione collettiva che ha colto un’intera nazione. Lana (alla quale presta il volto un’adorabile Michelle Williams) ricorda invece molto alcuni vecchi personaggi di Wenders, in particolare quel Tom Tom di “The Million Dollar Hotel”, del quale ha molta della mimica caratteristica (oltre ai capi di vestiario, praticamente identici): è una persona autenticamente buona (ed in questo vagamente angelica… Wenders non è nuovo a simili “frequentazioni”, basti pensare a “Il Cielo Sopra Berlino”), il cui unico piacere è nell’aiutare il prossimo, chi è più debole. E poi ci sono i deboli, appunto: attraverso l’occhio filtrato di Paul (che però perverte il reale) ma soprattutto attraverso lo sguardo scevro di pregiudizi di Lana, conosciamo tutto un mondo fatto di dolore, di sofferenza, di mancanza, un mondo del tutto rimosso dalla propaganda governativa, che spinge il cittadino a concentrarsi su menzogne come quelle irachene, mentre la vera emergenza è sulle strade, tra la gente. Lana assume un impegno fattivo nei confronti del reale, aiutando la missione e cercando di alleviare il dolore (come farà nel suo tentativo di riconsegnare il corpo di Assan, giovane pachistano ucciso da ragazzi bianchi, e fulcro narrativo dell’intera vicenda, al fratello Joe), mentre l’incapacità di Paul di leggere la realtà porta la trama della sua esistenza a trasformarsi in un film giallo. Sempre, in Wenders, la perversione della realtà conduce all’intrigo giallo: succedeva in “Lo Stato Delle Cose”, succedeva a Cassiel in “Così Lontano, Così Vicino”, succedeva al detective Skinner di “The Million Dollar Hotel”. La paranoia lo spinge a seguire le tracce del già citato Assan, intravisto con due scatole recanti la dicitura “borace” sotto le braccia: l’omicidio del giovane pachistano lo convince che ci sia dietro qualcosa di grosso, un regolamento di conti tra cellula madre e cellule dormienti, una grossa operazione a rischio. Assan esala l’ultimo respiro pronunciando una parola: Trona. Trona è una città a circa duecento miglia da Los Angeles, fondata e arricchita da una compagnia chimica (qualcosa sul genere di Rosignano Solvay). Lana scopre, cercando i parenti in vita di Assan, che questi ha un fratello, residente appunto a Trona: decide di restituirgli il corpo di Assan per la sepoltura. E qui comincia la parte finale, il road movie: giunti a Trona dopo un breve viaggio, Lana incontra Joe, il fratello di Assan, una persona dalla forte umanità, mentre Paul, seguendo le tracce della “cellula”, scopre che, dietro quelle scatole di borace, c’è ben altro che un’organizzazione terroristica dedita alla costruzione di armi chimiche. Resta la miseria umana, lo stato di abbandono, la marginalità e la disperazione della gente comune. Joe è un uomo disperato, vive con niente, la sua casa è una roulotte ed egli non possiede nemmeno un telefono: è la parte debole della società, come i senzatetto di Los Angeles, e la sua vita vale meno di zero. Il sogno americano si è arenato sulla sabbia, bollente come l’inferno, che circonda Trona. Le crisi di Paul (dovute al suo avvelenamento e ai brutti ricordi del Vietnam) si acuiscono, il suo senso di spaesamento anche: la sua missione è fallita, non ha trovato niente di ciò che si attendeva. La realtà gli sbatte la porta in faccia. Il resto della storia è un coast to coast dalla California a New York: Lana spiega l’atrocità della guerra e l’odio anti-americano, conosciuto in medioriente, allo zio incredulo (racconta che, dopo l’attentato alle torri gemelle, i palestinesi per le strade esultavano; ma non erano affatto terroristi, solo persone normali, triste evidenza del fatto che c’è ben altro dietro, oltre al terrorismo). Tecnicamente, resta da dire che la colonna sonora è decisamente azzeccata, che la storia è di quelle che devono essere raccontate, che la denuncia è forte, eppure che, anche nel dirigere un film tanto legato al nostro mondo, Wenders non rinuncia alle consuete tematiche del suo cinema (la comunicazione, lo sguardo). Il rischio, certo, è quello di cadere nel film a tesi, nell’atteggiamento pontificante o buonista più volte rinfacciato al regista (senza buone ragioni, tra l’altro, in quanto bisognerebbe sempre almeno distinguere tra il buonismo delle intenzioni e quello delle azioni): eppure a mio avviso l’autore tedesco riesce benissimo ad evitarlo. L’opera a tratti è molto vicina a “The Million Dollar Hotel” (anche tematicamente, e non solo nel personaggio di Lana, così simile a Tom Tom) e una sorta di autocitazione di quel film l’abbiamo nelle inquadrature di Lana sul tetto della missione dal quale si intravede, sullo sfondo, la ben nota insegna dell’hotel, a suo modo protagonista del suddetto precedente film di Wenders. Un film, pur nei suoi difetti (che ci sono), importante, e che dimostra ancora una volta come il cineasta tedesco capisca gli americani meglio di quanto sappiano fare loro stessi. Il viaggio di Paul e Lana si conclude a Ground Zero, sulle note di “Land Of Plenty”, omonimo brano di Leonard Cohen. Paul se l’aspettava diversa, non soltanto un cantiere. “Restiamo in silenzio. Proviamo ad ascoltare”, gli dice Lana, cingendogli il corpo con un braccio. Forse dovremmo imparare ad ascoltare. E non è solo retorica.

3 Risposte a “Land Of Plenty- La Terra dell’Abbondanza (W.Wenders)”

  1. secondo me un wenders minore (superiore a “million dollar hotel” però…) che ricalca il suo modo di fare cinema, sono lontani i tempi di “alice nella città” e “Nel corso nel tempo”…

  2. In realtà io sono molto affezionato a “The Million Dollar Hotel”, come film, e non lo trovo nemmeno cinematograficamente così brutto… certo è però che i migliori film di Wenders (i più compiuti, se non altro) vengono dagli anni ’70- ’80.

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