Tra acustico ed elettrico: il live del Danilo Pérez Trio alla Fortezza Santa Barbara di Pistoia (20/07/2023)

Perfino a Pistoia a volte capitano serate eccezionali, di quelle che, ci scommetto, tra qualche anno racconteremo a chi non ne avrà solo sentito parlare premettendo il classico “io c’ero, l’ho visto davvero”: ed è capitato proprio questo 20 luglio nello splendido cortile interno della Fortezza Santa Barbara (un luogo troppo colpevolmente trascurato), dove ha avuto luogo una performance live del trio jazz capitanato dal pianista e compositore panamense Danilo Pérez e che comprende, oltre al leader, due nomi del calibro di Adam Cruz (batteria) e soprattutto John Patitucci (basso elettrico e contrabbasso). Non sfuggirà ai più attenti che stiamo parlando di metà dell’ultimo grande quartetto di Wayne Shorter (manca solo il batterista Brian Blade): in ogni caso, per gli amanti del jazz ma più in generale della musica tutta, un’occasione ghiottissima per godersi alcuni tra i migliori musicisti sulla scena mondiale (e peraltro a un costo realmente ridicolo, specialmente se pensiamo alle centinaia di euro di biglietto che spesso spendiamo senza batter ciglio per i grandi nomi dello scacchiere pop internazionale). Tanto per dare due coordinate, Pérez è un artista per la pace dell’UNESCO, fondatore e direttore artistico del Panama Jazz Festival e fondatore e Direttore artistico del Berklee Global Jazz Institute del Berklee College of Music di Boston; John Patitucci, insignito due volte del Grammy su un totale di oltre quindici nomination, è semplicemente uno dei più grandi bassisti viventi, un musicista che ha suonato con chiunque ai livelli più alti (il già citato Shorter, Chick Corea, Stan Getz, Herbie Hancock, Pat Metheny e la lista potrebbe continuare per parecchio tempo); Cruz infine, musicista ed educatore musicale sulla scena newyorchese, ha diviso il palco negli ultimi decenni con alcuni tra gli artisti jazz più importanti della storia (McCoy Tyner, ancora Chick Corea, Pharaoh Sanders, gli stessi Patitucci e Pérez, Chris Potter, Lee Konitz e via dicendo).

L’allestimento del palco che ci troviamo davanti all’interno del cortile della Fortezza è assolutamente minimale: alla sinistra dello spettatore, il pianoforte a coda Yamaha di Pérez e, poco avanti, il piccolo synth (sempre Yamaha) che il pianista userà per molti dei brani in scaletta; al centro, la postazione di Patitucci, con amplificazione Aguilar, il fidato sei corde Yamaha e uno splendido contrabbasso microfonato; e infine, alla destra, la batteria di Adam Cruz. Complice il mio Maestro Daniele Nesi, troviamo due ottimi posti in terza fila, abbastanza centrali e con una visibilità perfetta soprattutto in riferimento alla postazione di Patitucci (d’altronde, siamo bassisti): arrivare sul luogo degli eventi con un anticipo che va regolarmente dalla mezz’ora a minimo il quarto d’ora è sempre d’aiuto.

Quella del trio pianoforte-contrabbasso-batteria è probabilmente la declinazione più pura dell’ensemble jazz, che ha attraversato la storia della musica colta del ‘900 assumendo svariate forme, dalle più classiche alle più “sperimentali”: il trio di Danilo Pérez racchiude un po’ entrambi questi estremi, oscillando tra l’acustico (pianoforte e contrabbasso) e l’elettrico (con l’introduzione del basso e soprattutto gli interventi dei synth), il tutto sostenuto dal motore ritmico di Cruz. I brani suonati rispecchiano a loro volta la modernità dell’idea: sono standard cangianti, mutevoli, quasi liquidi, nei quali si susseguono atmosfere diverse, afflati romantici e indiavolati passaggi ritmici, dove si sentono forti e chiare la clave caraibica e le percussioni africane; costrutti di pianoforte tipicamente jazzy si alternano a sontuosi maelstrom sonori quasi di carattere ambientale, e Patitucci si ritaglia sovente un ruolo di contrappunto rispetto alle melodie intessute dal leader, con un continuo scambio tra walking bass, groove micidiali e un fraseggio lirico e affascinante. La performance dei tre musicisti tradisce, oltre a una perizia tecnica fuori dal comune, un’espressività debordante: non che questo stupisca, trattandosi di artisti di livello mondiale, ma la forza con la quale il trio riesce a trasmettere il proprio messaggio sonoro (e umano) è in grado di trasportare l’ascoltatore con sé per oltre un’ora e tre quarti di concerto, senza pause e senza momenti di stanca di alcun tipo. Alla fine il set live è denso, teso come una corda di violino, un concentrato di atmosfere e sapori che vanno, come già detto, dal caraibico al jazz, dal classico all’ambientale, da Panama a New York fino all’Italia, con tanto di omaggio per Ennio Morricone.

Venendo ai singoli musicisti, di Patitucci non si può dire molto che non sia già stato detto: l’eleganza e la naturalezza con la quale affronta i suoi strumenti, il basso e il contrabbasso (sia col pizzicato sia, soprattutto, con l’arco), rendono apparentemente facili anche cose che facili proprio non sono. Patitucci fornisce un costante sostegno ritmico, con un groove letteralmente schiacciante e un altrettanto forte afflato melodico, facendo cantare meravigliosamente sia il basso elettrico che il contrabbasso, e fornendo una performance quasi soprannaturale. Il buon Adam Cruz, come si dice da queste parti, ha una discreta “pacca” (il colpo secco di rullante, per intendersi), ma soprattutto il suo drumming abbraccia un arco di dinamiche che va dal pianissimo al fortissimo al rombo di tuono fino all’esplosione nucleare: con Patitucci forma una sezione ritmica potenzialmente inarrestabile, tanto compassata negli episodi più lenti e meditativi quanto trascinante allorché il band-leader molla le redini e il ritmo prende il sopravvento. Danilo Pérez da par suo è istrionico quasi quanto virtuoso, arringa la platea con un misto esilarante di spagnolo, italiano e inglese, e governa la goletta con interventi preziosi del piano e chiose affascinanti sul sintetizzatore, che conferiscono alla musica un colore squisitamente contemporaneo (in particolare nei momenti in cui il trio passa all’elettrico, con Patitucci impegnato al suo sei corde Yamaha).

La sensazione che meglio descrive la musica del trio è quella dell’oscillazione, e non a caso il racconto musicale della serata era cominciato con un viaggio attraverso l’oceano, in un brano scritto per rievocare la traversata oceanica e il viaggio verso le Americhe: come un moto ondoso, la musica di Pérez, Patitucci e Cruz trasporta l’ascoltatore ora con la delicatezza delle onde che accarezzano la sabbia, ora con la violenza del maremoto. Che si tratti di un tributo alla Toni Morrison di Amatissima (Beloved) o di un sentito ricordo di Shorter, celebrato con una composizione autografa dello stesso Patitucci; che suonino musica afrocubana, con ritmi caraibici, o temi vicini all’universo della classica, il motore ritmico inesauribile di Patitucci e Cruz e la ricchezza armonica dispiegata da Pérez sui tasti lasciano sopraffatti e addirittura commossi. Capita raramente di essere testimoni di una serata di musica di tale avvolgente e magnetica potenza, un flusso sonoro che scava appunto con la costanza di quelle onde di marea poc’anzi evocate: una serata da trascorrere a bocca aperta, e per una volta non soltanto a causa dell’ondata di calore di questi giorni.

In ultimo, due parole sulla location (cui accennavo all’inizio e che, da par suo, ha contribuito non poco a rendere magica la serata): l’evento di giovedì dimostra come quelli del complesso monumentale della Fortezza Santa Barbara siano spazi preziosi, da proteggere e promuovere, da mantenere con cura e preservare. Fatto salvo il necessario equilibrio, che occorre sempre mantenere, tra la preservazione di spazi artistici e di importanza storica e il loro uso per eventi che coinvolgano grandi masse di persone, vedere una splendida platea come quella di giovedì sera dentro un luogo così bello e immersa in una musica tanto preziosa sono cose che fanno bene all’animo: con un po’ di cura in più (penso soprattutto al “giardinaggio”, mettiamola così: chi vive da queste parti capirà) la Fortezza potrebbe diventare uno spazio polivalente per musica, cinema, e perché no, arte (esposizioni o mostre temporanee, o magari anche permanenti, in qualche caso e forma: in questa città non abbiamo forse un annoso problema con le opere del tristemente dismesso Museo Marino Marini?). Forse si tratta di una riflessione un po’ naif, e me ne scuso, ma certe volte basta la volontà, e la bellezza di solito aiuta davvero a cambiare le cose (se non direttamente il mondo, come auspicava il principe Myskin). In questo senso, lo sforzo e il lavoro dell’Associazione Teatrale Pistoiese (promotrice di questo e altri eventi del ciclo Estate in Fortezza) è importantissimo e merita di essere difeso e sostenuto. Spero di poter vedere molti altri splendidi concerti jazz dentro gli spazi di una Fortezza sempre più bella, aperta, e piena di gente che sappia restare a bocca aperta di fronte al Bello.

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