Il crepuscolo sull’orizzonte degli eventi: MORE D4TA (Moderat, 2022)

– Nessuno morirà. Non è questo il credo della nuova cultura? Verranno tutti assorbiti dentro flussi di informazioni. Non ne so nulla. I computer moriranno. Stanno morendo nella loro forma attuale. Sono quasi morti come unità distinte. Una scatola, un monitor, una tastiera. Si stanno fondendo nel tessuto della vita quotidiana. È vero o no?
– Persino la parola computer.
– Persino la parola computer suona stupida e antiquata.
(Cosmopolis, Don De Lillo, trad. it. di Silvia Pareschi)

I Moderat si erano lasciati un giorno di agosto del 2017, un po’ all’improvviso: me lo ricordo ancora bene, perché per me (come per molti) ebbe il sapore di una frattura difficile da digerire. Una separazione inattesa, alla quale nessuno poteva dirsi davvero preparato, specialmente se pensiamo che stavamo parlando di una band che faceva il pieno nelle arene e dovunque suonasse. Ho un ricordo così chiaro della cosa anche perché, quando la notizia circolò, mi trovavo a Berlino: e proprio lì la band tenne il proprio ultimo concerto, il 2 settembre del 2017. Sembra passato un secolo, anche se parliamo solo di cinque anni, eppure in qualche modo è così: c’è voluta una pandemia (e tutto il suo corollario, che conosciamo tanto bene) per spingere nuovamente Apparat (Sascha Ring) e i Modeselektor (Gernot Bronsert e Sebastian Szarzy) dentro uno studio di registrazione, così da produrre un seguito per l’ultimo, bellissimo volume dell’epopea dei Moderat, intitolato semplicemente III e lontano ormai 6 anni nel tempo (venne pubblicato il 1 aprile del 2016). Lo scorso 13 maggio è infine arrivato MORE D4TA, quarto capitolo della ricerca sonora del trio berlinese, con un titolo che in qualche modo prosegue la fortunata serie numerica composta dall’omonimo Moderat (2009), dal seguente II (2013) e dal già citato III (2016) ma allo stesso tempo, con il gioco di parole che ne fa parte, parla al presente al quale questo lavoro si rivolge, la nostra quotidianità che è fatta di informazioni, di big data, di flussi di dati e della loro analisi. Lo scriveva già De Lillo in Cosmopolis, come riportavo in esergo: Nessuno morirà. Verranno tutti assorbiti dentro flussi di informazioni. L’esperienza traumatica dell’isolamento, il lockdown, la negazione della socialità: tutti momenti limite che abbiamo vissuto (paradossalmente) insieme, anche se ciascuno per conto proprio; anzi, più correttamente, che abbiamo vissuto contemporaneamente, ciascuno per conto proprio. Un periodo nel quale siamo tutti quanti diventati esperti di dati, di analisi, di proiezioni: nel quale ci siamo accorti di come tutto possa essere ricondotto al brutale numero (o quasi tutto, per fortuna). Tutto questo è qualcosa che si può respirare nell’elettronica crepuscolare e minimale che fa di MORE D4TA un disco estremamente diverso dai suoi predecessori: dentro un flusso quasi ininterrotto di splendori elettronici e suggestive divagazioni sperimentali ritroviamo un suono che è marchiato a fuoco, riconoscibilissimo, ma al tempo stesso mancante (mi viene da pensare, volutamente) di quegli episodi “da singolo” che tempestavano le tracklist dei vecchi lavori (le New Error, le Rusty Nails, le Bad Kingdom o le Eating Hooks, per intendersi). Piuttosto, cadendo dentro MORE D4TA si attraversa un ideale orizzonte degli eventi, come quello raffigurato nella copertina, venendo inghiottiti dentro una specie di imbuto cosmico.
È l’intro cinematica e crepuscolare di
FAST LAND ad aprire l’album: un downtempo strumentale e suggestivo, che spinge a dondolare la testa a tempo, come in una trance o in una sospensione onirica, illuminato a sprazzi da bagliori di potenza allucinante. La successiva EASY PREY ci riporta a un suono più classicamente Moderat: IDM oscura fatta di drum machine e droni profondissimi, addolcita dalla vocalità molto yorkiana di Sascha Ring (l’intero pezzo sembra di nuovo una fusione tra l’elettronica dei Radiohead post Kid A e il trip hop dei Massive Attack). EASY PREY è una specie di compendio di romanticismo post-industriale, scavato dentro un’elettronica eclettica e dark di affascinante potenza sonora, con una vena chiaramente easy listening. DRUM GLOW è un altro notturno, di natura però maggiormente percussiva: sono i rintocchi enormi delle drum machine a fare il pezzo, insieme a un gating furioso sui synth. Il breve intermezzo di SOFT EDIT torna a rallentare il ritmo, con una voce frammentata e filtrata adagiata su un tappeto di organi sintetici in odore di Krafwerk acidi, e introduce al beat cangiante di UNDO REDO, episodio di raffinata malinconia urbana, nel quale gli innumerevoli elementi ritmici si accendono come altrettante luci contro l’orizzonte caotico di una grande metropoli piena di traffico, persone, vita. NEON RATS è forse l’eccezione più marcata rispetto alla tracklist, probabilmente l’unico pezzo che si rifaccia sfacciatamente all’estetica techno/dancefloor: cassa inquadrata nel 4/4 d’ordinanza, un crescendo emotivo quasi da rave party indiavolato, nel quale la tensione viene gestita magistralmente soprattutto con l’intermezzo quasi subacqueo che taglia a metà il brano, privandolo di tutti gli elementi armonici e creando una magica sospensione che è la rampa di lancia ideale sulla quale il crescendo possa tornare a esplodere fragorosamente verso la propria conclusione. La splendida MORE LOVE si basa su un groove sognante, ancora intriso di un romanticismo notturno, ed è fondamentalmente una ballad IDM per droni e glitch guidata dalla voce di Ring che intreccia un mantra ripetendo il verso The lost you love/ Back against the lost you love nel ritornello, accompagnato sul finale da pedali bassi di profonda intensità. Lo strumentale NUMB BELL è una specie di industrial virato all’elettronica, minaccioso quasi quanto minimalista: un brano magmatico, adatto quasi a un ipotetico dancefloor subacqueo o a una vasca di deprivazione sensoriale. DOOM HYPE ha un’estetica che sembra pescare tanto da certi Depeche Mode quanto dal cantato post-romantico di David Sylvian, frullandoli in un turbinio techno-pop gestito con grandissima classe; la conclusiva COPY COPY ha una delicatezza che la avvicina alla meravigliosa Ethereal, traccia sulla quale si chiudeva il terzo album della band. Al minimalismo intrinseco della struttura musicale, poggiata su synth molto ciccioni e beat sotterranei ma implacabili, si sposa il cantato quasi boniveriano di Ring a dare al tutto il senso di un’elegia crepuscolare, la migliore conclusione per un percorso aperto dai bagliori improvvisi di FAST LAND.
MORE D4TA è un album più ambientale che electro-art-rock, un ibrido sperimentale più che un flusso di brani pensati per il dancefloor; o meglio, MORE D4TA funzionerebbe per un ipotetico, eventuale dancefloor crepuscolare, come colonna sonora di una fine del mondo incipiente, immortalata al rallentatore nell’atto del suo dispiegarsi. Si potrebbe anche parlare di una techno “intellettuale”, di una ricerca sonora raffinata, e senz’altro non si andrebbe lontani dal vero: la musica dei Moderat è cerebrale, densa e complessa, piena di riferimenti e di ispirazioni che vanno dalla techno berlinese alla kosmische musik, dal krautrock al glitch, capace di mescolare la sperimentazione più estrema e il pop di più facile ascolto, declinando in maniera personalissima una visione di techno del futuro che non è soltanto musica per rave party ma colonna sonora per un mondo in evoluzione, cangiante e dinamica come lo è la società umana. Ma, facendo questo, non bisogna dimenticare come il sound di Ring, Bronsert e Szarzy basi la propria forza sulla sua fisicità, sulla sua presenza: perché picchia nello stomaco, perché si attacca alla pancia, ti percuote e ti scuote con la forza decisa dei suoi bassi, ti abrade con i suoi droni, e ti culla e ti prende a schiaffi con le sue drum machine. La solitudine forzata di questi ultimi due anni e mezzo, vissuti come in un’apnea straniante, che chissà quanto dureranno ancora: tutto ciò che è andato perduto e che pure dovremmo saper sempre custodire da qualche parte dentro (non è di questo che parla MORE LOVE, non è questo quel The Lost You Love di cui canta Ring?); trattenere il fiato. Cos’è uomo e cos’è flusso di informazioni? Quando si muore si muore davvero o si resta per sempre dentro un grappolo di dati, intrappolati, negati (se lo domandava anche, e non c’entra assolutamente nulla ma comunque c’entra, Layne Staley in Down in A Hole, ovvero I’d like to fly but my wings have been so denied). Dentro MORE D4TA ci si tuffa come da un trampolino, c’è il tempo del tuffo e c’è il trattenere il fiato, affondare sott’acqua, aprire gli occhi, restare a galla sul fondo, tentare di tornare in superficie: è la musica adulta di un trio che è passato dal declinare la techno nel ruolo di indiscussi arbitri elegantie al trasformare la propria musica in un tessuto sonoro raffinato che torna oggi per avvolgere il crepuscolo di tutto un mondo, quello dentro il quale viviamo. Vedendola sotto questa luce, l’artwork del lavoro assume tutta un’altra dimensione: un gorgo che è quasi un wormhole, nel quale si cade inevitabilmente come dopo aver valicato un orizzonte degli eventi. Ho insistito molto con questo aggettivo, crepuscolare, al punto da inserirlo anche nel titolo di questa breve analisi, perché credo che affrontiamo oggi proprio questa fase: il giorno che scivola dentro una lunga notte, il freddo che penetra le ossa. Oggi più che mai serve conforto, anche quella forma di oscuro conforto minimalista che questi dieci tracce, allo stesso tempo apparentemente così gelide, fredde (non è questa l’obiezione che si rivolge sempre alla musica elettronica?) eppure in realtà tanto calde, umane, fisiche, quasi tattili, offrono a piene mani.

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