Musica che contiene moltitudini: World Music Radio (Jon Batiste, 2023)

“World Music Radio is a concept album that takes place in the interstellar regions of the universe. The listener is led through the album by an interstellar traveling griot named Billy Bob Bo Bob, who takes you sonically all around the world at the speed of light. I created this album with a feeling of liberation in my life and a renewed sense of exploration of my personhood, my craft and of the world around me unlike anything I ever felt before. This new album will fill your soul, open your heart and stretch your mind while expanding your vision of popular art. We really wanted to re-examine and redefine terms like world music as they exist in the culture… (more on the later). A range of collaborations in locations all across the globe made this album vision a reality. There was a lot of joy in making this and it definitely translates to the listening experience, and now to you.”
(con queste parole Jon Batiste ha presentato l’album attraverso il suo account Instagram)

Dopo aver realizzato nel 2021 il pluripremiato WE ARE, trionfatore ai Grammy dello scorso anno (ne parlavo qui, con l’ormai celebre fisiologico ritardo tipico di queste pagine), Jon Batiste non deve aver avuto vita facile nel dare forma a un seguito per un lavoro simile, tanto seminale e profondo: e infatti all’artista proveniente da Metairie, Louisiana, sono occorsi oltre due anni per dare alla luce, lo scorso 18 agosto, World Music Radio (pubblicato per Verve, Interscope e Naht Jona LCC). WE ARE nasceva da un’elaborazione intellettuale estremamente profonda in un momento culturale di enormi cambiamenti: le proteste del Black Lives Matter, alle quali Batiste aveva attivamente partecipato, avrebbero costituito l’orizzonte ideale del lavoro, contribuendo a dargli la forma che esso avrebbe assunto. Erano tre i connotati principali della musica incisa nei solchi di WE ARE: un elemento autobiografico, un flusso di (auto)coscienza dell’autore; l’elemento sociale, che eleva la musica a linguaggio di unione, a grimaldello per intervenire sulla realtà, che cala l’artista tra le persone, con le persone, e rende il suo messaggio universale; e, infine, un non banale recupero della tradizione musicale afroamericana, dagli spiritual al gospel, dal blues al jazz fino a soul, R’n’B e funk, tutto frullato dentro una “gioiosa macchina da guerra” musicale. Nella mia recensione avevo tentato di sintetizzare tutto questo etichettando (non senza un po’ di compiaciuto citazionismo) la musica contenuta in WE ARE come “music for the masses”; e la stessa etichetta, anche se in versione forse “estesa”, si potrebbe usare per questo nuovo album, che però mostra tratti addirittura un po’ più ambiziosi. Basta leggere la presentazione che Batiste stesso ha fornito del lavoro, riportata in apertura di questa analisi: World Music Radio è da considerarsi un testo “esploso”, ventuno canzoni tenute insieme da un filo rosso ideale e che vanno a comporre una rotazione radiofonica di un immaginario deejay spaziale, Billy Bob Bo Bob, che altri non è se non un alter ego dell’autore; è a tutti gli effetti un concept album, parola ormai largamente abbandonata da quella stessa scena musicale che aveva contribuito a renderla celebre (quello che una volta era il pop), e che Batiste recupera per declinarla alla sua maniera. World Music Radio è un concept album con uno sfondo fantascientifico ma indirizzato a lanciare un messaggio chiarissimo: quello di una musica come koinè, linguaggio universale che unisca l’umanità attraverso la celebrazione della differenza. Niente è casuale, e World Music Radio è il seguito ideale di un album come WE ARE che proprio nel pronome iniziale, quel WE, voleva porre l’accento, a indicare l’idea della musica come spazio di comunione e aggregazione, luogo nel quale tornare a creare senso di fronte alla violenza del contesto (sociale, culturale e politico: WE ARE nasceva, come già accennato, nelle strade, durante le proteste del BLM).
Musicalmente, in maniera non dissimile da quanto avveniva per il lavoro precedente, Batiste si circonda di un numero enorme di collaboratori, anche e soprattutto nel tentativo di aggiungere colori a volte esotici alla propria tavolozza musicale, in grado di aiutarlo a restituire nelle note quella succitata idea di koinè: e così troviamo, tra gli altri, i sudafricani
Native Soul, la spagnola Rita Payés, la cantautrice britannica Leigh-Anne ma anche Lil Wayne e Lana Del Rey (una lista completa degli artisti presenti si trova nelle prossime righe).

Ventuno brani, quindi, legati insieme come in una rotazione radiofonica, con tanto di “lanci” dello speaker e disc-jockey, Billy Bob Bo Bob (un host che, come detto, è anche un alter ego di Batiste): sulla scorta delle parole di questo personaggio, World Music Radio ci accompagna lungo un viaggio interstellare attraverso una ricchezza di ispirazioni e suoni del mondo che fanno di quest’ora di musica un autentico, avvolgente viaggio dentro quella che un tempo avremmo chiamato world music. “This is an experience”, ci dice Billy Bob nella traccia iniziale dell’album, l’introduttiva Hello, Billy Bob; e il brano lascia subito spazio alle sonorità afro-reggae di Raindance, realizzata col contributo dei già citati Native Soul, duo sudafricano con un album all’attivo (Teenage Dream, del 2021). Per introdurre i ritmi cadenzati di Be Who You Are, Billy Bob sceglie la frase geniale “Be who you are… because everyone else is taken”: il brano è costruito sulle ritmiche tipiche della musica nera e realizzato con il contributo del rapper americano JID, della band sudcoreana delle NewJeans e del cantautore colombiano Camilo, un autentico melting pot di linguaggi, atmosfere e intenzioni. A questi due brani caleidoscopici segue il viaggio intergalattico della bellissima Worship, che è insieme preghiera e catarsi, invocazione romantica (It’s only you that makes me all I am) e perfetto meccanismo ritmico, fino a trasformarsi a un certo punto quasi in un pastiche per voce, percussioni elettroniche e profondi bassi sintetici. In My Heart ci sono la voce meravigliosa e il trombone dell’appena ventitreenne artista spagnola Rita Payés: su un substrato di lieve jazz notturno e fumoso, appena accennato e presto screziato dagli interventi elettronici, Batiste duetta con la Payés e l’intreccio delle loro voci (geolocalizzato da Billy Bob in Catalogna, la regione dalla quale l’artista spagnola proviene) crea una specie di notturno flusso di coscienza. In Drink Water sono le voci del rapper americano Jon Bellion e del cantante nigeriano Fireboy DML a intrecciarsi in un brano che unisce il ritmo vorticoso della dance, le asprezze del rap e l’apertura melodica di una ballad up-tempo. In Calling Your Name, invece, Batiste realizza un piccolo capolavoro di R’n’B vecchio stile ibridato con sonorità synthpop, con una linea di basso autenticamente funky e un groove irresistibile, sormontati da poche note di una melodica in odore di smooth jazz, un episodio breve (meno di due minuti) che sfocia in un altrettanto breve Clair de Lune, nel quale a farla da padrone è il sassofono di Kenny G. Clair de Lune è un divertissement, un brano che ribalta la comune convenzione che vuole che i cosiddetti “chiari di luna”, per lunga e assodata tradizione, siano eseguiti al piano (come ci si si sarebbe facilmente potuto aspettare, essendo Batiste di fatto un pianista); e invece in questo caso il piano emerge proprio dove Clair de Lune si spenge, ovvero nelle prime note di Butterfly, una classica piano-ballad nella quale Batiste si esibisce sia alla voce che al piano. Butterfly è un momento raccolto di pianismo quasi classicista (in barba all’appena stravolta “convenzione dei chiari di luna”, chiamiamola così), a rimarcare come l’attenzione del compositore americano per la musica classica sia almeno pari a quella per il jazz, al quale sono demandate per lo più le armonizzazioni nel bridge che accompagna il brano verso la sua conclusione, con tanto di sapiente salto di tonalità sul quale Batiste esibisce tutte le proprie qualità di crooner con vocalità profondamente soul. Gli ultimi versi parlano di a sacred song and a sacred tongue, e il riferimento alla dimensione spirituale non poteva essere più diretto per un brano che nasce, soprattutto, dalla malattia della moglie di Batiste, Suleika Jaouad:

I really am proud of this one, of how transcending of any genre or any sort of classification it is. There’s a lot of textures and sonics and a very maximalist approach in a lot of the music here, but this is transcendent and simple. You can sing it as a nursery rhyme. You can sing it as a lullaby. You sing it as a ballad. I’ve heard kids sing it when we did a workshop at a school; it just has some timeless quality to it. But it’s a personal song for me, in my life as well, that was part of the inspiration—my wife and particularly our relationship.

17th Ward Prelude, appena percettibile nei suoi tredici secondi, introduce al pop futuristico di Uneasy, realizzato con l’intervento di Lil Wayne. Per entrambi i brani il riferimento è a New Orleans, la città dalla quale sia Batiste che Wayne provengono: That is [area code] 504 representing. You know, the 17th Ward where he hails from, I partially grew up there. He’s a little older than me, but we were in that neighbourhood three minutes apart from each other, probably around the same time. And together with the ‘17th Ward Prelude’, which leads into ‘Uneasy’, this is definitely the most New Orleans segment of the record. Uneasy mescola brillantemente insieme R’n’B, pop, rock (penso all’assolo di chitarra che la accompagna alla sua conclusione), soul e rap, puntellando tutto col pianoforte percosso da Batiste sul finale, senza mai smettere di essere eccezionalmente orecchiabile (ma diciamolo: ha una melodia formidabile). La successiva CALL NOW (504-305-8269) chiude il cerchio delle New Orleans songs ed è una trascinante traccia di dance-pop, che ironizza con gli spazi della rotazione radiofonica deputati alle chiamate degli ascoltatori (Who do you get when you call? You get Billy Bob Bo Bob, the real number. And sometimes you get Jon Batiste, dice lo stesso Batiste). Chassol, col suo testo in francese e il suo andamento a metà tra il jazz sghembo e il funk-R’n’B, funziona da introduzione per Jon Batiste et ses musiciens, che irrompono nella rotazione col funk-rock di BOOM FOR REAL, ideale lancio per MOVEMENT ’18 (Heroes) che si riconnette esplicitamente, fin dal titolo, all’album precedente. MOVEMENT ’18 (Heroes) torna a parlare della formazione artistica di Batiste, come egli stesso spiega:

When you let the subconscious mind, the nonlinear mind, be heard through the frequency of the radio station, what would it sound like? Those are my thoughts coming up and my ruminations on things some of my musical heroes have said to me. You got Wayne Shorter in there. You got Alvin Batiste and Quincy Jones and Duke Ellington. The Wayne sound that you hear is him actually playing with me, and it’s layered on top of the piano that I’m playing on the track.

Non sorprendono quindi le note jarrettiane del pianoforte di Batiste lungo questi formidabili quattro minuti e mezzo: è la formazione jazzistica del pianista a trovare libero sfogo in MOVEMENT ‘18, riconnettendosi idealmente alla trilogia della crescita che faceva da perno al precedente WE ARE, ovvero il trittico BOYHOOD- MOVEMENT ’11- ADULTHOOD. Accompagnato dalla voce di alcuni dei propri eroi musicali, Batiste può permettersi di chiarire una volta per tutte come ci sia ben più del pianoforte dietro il suono di un pianoforte, usando le parole immortali di Duke Ellington in persona: Ideas?/ Oh man, I got a million dreams/ It’s all I do/ Is dream, all the time/ I thought you played piano/ No, no, this is not piano/ This is dreaming. La koinè spirituale che Batiste vorrebbe comporre trova forse la sua più completa realizzazione nella deliziosa ritmica folk di Master Power, della quale lo stesso artista dice There’s a few radical choices in here with the sampling. If you study different calls to prayer, you’ll hear sounds from the Muslim traditions of prayer, and then also a Jewish cantor singing as well. Then there’s these biblical references in the lyrics, and it’s just very much a real amalgam of different forms of folk-slash-spiritual music. In qualche maniera, con Master Power Batiste vuole affrontare il problema della religiosità superando gli steccati delle confessioni e facendo del sentimento religioso (finalmente) un autentico sentimento di coesione e comunione umana (Know that in the black hour, there’s a master power). Il folk di Master Power lascia spazio alla delicata eleganza di Running Away, che vede il contributo vocale della cantante e cantautrice britannica Leigh-Anne: Running Away è una splendida ballad, che declina il tema amoroso e la paura del distacco (You know it’s hard to catch a shootin’ star/ You gotta wait ‘til it decides to park, and that’s okay, hm/ A couple dollars ain’t even enough/ ‘Cause the price just keep goin’ up, and that’s okay) dentro un affascinante incedere soul/R’n’B che ha qualcosa della potenza evocativa di una CRY (se non avete colto la reference: male, molto male!), arricchita dalla vocalità profonda di Leigh-Anne, interprete dalle doti autenticamente strepitose. Alle breve elegia di Goodbye, Billy Bob è affidato infine il commiato dell’host di questa rotazione radiofonica, il nostro compagno di viaggio Billy Bob. Il testo del brano meglio di tutte le parole descrive il senso dell’intera operazione: World music radio broadcast all across the world (yea ah)/ All throughout the universe/ We know there’s life out there/ And they need to be grooving and singing along as well (oh)/ I guess of the moral of the story is/ You know (supersonic)/ You can feel it (extraterrestrial)/ Until we meet again (otherworldly)/ Stay on the vibe (shh)/ I love you even if I don’t know ya (woo ooh)/ And the tunes are not over here/ So stick around to world music radio. Dentro la successiva White Space il pianismo notturno e inquieto di Batiste incontra le dolcezze del pop e addirittura un uso finalmente funzionale dell’autotune (se ne avete piene le orecchie per il costante, discutibile abuso contemporaneo, questo potrebbe riappacificarvi col medium), avviato già nella armonizzazioni vocali che accompagnavano i saluti di Billy Bob nel brano precedente: ‘Goodbye, Billy Bob’ is what you’ll hear when a disc jockey on the radio is signing off, and ‘White Space’ is this last-call moment, this sort of lifting into the clouds and beyond, which is where Billy Bob is going. He’s leaving this experience that he’s curated through vibrations that he’s gathered from the planet Earth. He’s floating away. Nella ripetuta invocazione Take Me Over si chiude l’avventura sonica di Billy Bob e c’è spazio solo per altre due tappe di questo viaggio intergalattico: la prima è affidata all’apertura beatlesiana di Wherever You Are, che si stempera presto in un’invocazione funk/R’n’B (I know you prayed/For a way/ In the wilderness/ You’re my star/ Wherever you are) per pianoforte inquieto e armonizzazioni jazzistiche, mentre la seconda (e ultima), Life Lesson, vede la presenza della voce inconfondibile di Lana Del Rey. Sia Wherever You Are che Life Lesson rappresentano una nuova partenza, la fine di un viaggio che coincide con un nuovo inizio: la sintesi di ciò che è stato che accompagna verso ciò che sarà. Se Wherever You Are mette in musica il viaggio di ritorno dell’astronave madre di Billy Bob verso le profondità dell’universo, Life Lesson è da considerarsi, per ammissione dello stesso Batiste, quasi come una bonus track (‘Life Lesson’ wasn’t even intended to be on this album, but it felt as the movie took shape, this was the perfect bonus, the spiritual cousin of the things I was talking about), una specie di corpo estraneo che pure, magicamente, sembra sommare in sé tutto ciò che è stato detto nell’ora precedente. Accompagnati dal piano e da sparse armonizzazioni degli archi, Batiste e Del Rey danno luogo a un duetto meraviglioso per intensità, che commuove e chiude in maniera memorabile dentro una sensazione di familiare, calda vicinanza umana un viaggio che ha condotto l’ascoltatore ad attraversare le profondità interstellari tanto quanto (nelle differenze) la comune sorte umana e tutti i rivoli nei quali questa si esprime.

Dentro World Music Radio c’è soprattutto una quantità enorme di musica: ci sono i ritmi afrocubani, le sonorità jamaicane, l’R’n’B e la dance, il pop e le dense, eleganti sfumature jazz-soul, il blues, lo spiritual e il roots-rock, persino il folk, le sperimentazioni elettroniche e un connubio potente e fruttuoso di contemporaneità e classicità. Tutto questo concorre a creare un sound che è insieme rievocazione del passato e autentico suono dell’oggi, della contemporaneità fluida e diversificata, un suono che contiene moltitudini (e latitudini, e longitudini, e anni luce di spazi siderali e umani attraversati da Billy Bob Bo Bob col piglio autentico dell’esploratore). “Be who you are… because everyone else is taken” è il mantra col quale lo speaker invita il suo pubblico a seguirlo lungo questo viaggio: un viaggio che è una composizione delle differenze dentro uno spirito universale. WE ARE… And this Is our music, verrebbe da dire se si dovessero connettere i titoli degli ultimi due album di Jon Batiste: World Radio Music è un disco che non è uguale a nient’altro che a se stesso, e forse nemmeno a se stesso, così ricco di variazioni, sfumature, idee, un turbinio di atmosfere tutte diverse e che trovano tutte spazio, un inno alla complessità e alla diversità, alle eredità musicali proiettate in un futuro luminoso, alla speranza in fondo (un po’ come accadeva in WE ARE, che era soprattutto un disco di lucida, appassionata, profonda solidarietà umana, pieno di speranza e di forza e di fede, anche; fede intesa nel senso più autentico di questa parola, che niente ha a che vedere con la religione e molto con quel titolo meraviglioso di un romanzo fittizio che era al centro di un bellissimo film di qualche anno fa, Finding Forrester, “una stagione di fede assoluta”). Per chi scrive, Batiste è soprattutto un musicista spirituale; e questo disco è allora un viaggio spirituale nel passato (la radio, le playlist, la tradizione musicale con la quale tutti siamo cresciuti, e il suo recupero) che però viene affrontato con una macchina del tempo lanciata dentro il futuro. Se sembra una contraddizione in termini, è perché lo è: l’astronave di Billy Bob/Batiste è in grado di percorrere l’universo nei due sensi della freccia del tempo e portare con sé il passato nel futuro e il futuro dentro il passato. Lo dimostra l’idea stessa di scegliere il concept album come forma espressiva, una forma che appartiene (tristemente) al passato, un passato nel quale la musica veniva fruita, semplicemente, con maggiore cura; ma che insieme è una richiesta di attenzione al futuro, un grido quasi, l’affermazione della necessità di tornare a dare spazio a ciò che unisce anche se richiede tempo, piuttosto che a ciò che ci allontana. Allora potreste anche non essere fan dell’R’n’B, del jazz, della musica nera, del rock-blues o che altro, ma non ha comunque alcuna importanza perché dentro queste ventuno tracce si respira in realtà una musica che trascende tutte queste categorie, sebbene non voglia rigettarle: immaginate di parcheggiare la vostra astronave in orbita attorno al nostro tenue puntino azzurro e provare a sintonizzarvi sulle stazioni FM, di fare un po’ di rotazione, di ascoltare il tumulto di un intero mondo direttamente nelle vostre cuffie o nel vostro impianto stereo; se ci riuscite, capirete appieno il senso di questa esperienza musicale, il concetto che realmente si nasconde dentro questo concept album: espandere il diametro della musica pop, come lo stesso Batiste ha detto, lasciandone esplodere le contaminazioni. Questa è insieme la forza e (per alcuni) il limite dell’operazione, restare dentro lo steccato del pop lasciando che esso si gonfi di tutte queste suggestioni senza però mai abbandonare la forma canzone, differentemente a quanto accadeva in alcuni passaggi di WE ARE: sono poche in questo World Music Radio le tracce effettivamente free-form, svincolate da una struttura riconoscibile. Ciononostante, appare chiaro come una koinè non possa prescindere da un impianto riconoscibile, che la renda intellegibile alle diverse culture umane: e il pop è un abito come un altro, il più diffuso universalmente (esiste altra musica che la musica pop, in senso esteso? Tutta la musica non è altro che musica pop, con buona pace dei soloni che abbondano anche e soprattutto nel variegato mondo musicale). Le ventuno tracce di World Music Radio non fanno che ricordarci questo: che potremmo parlare tutti uno stesso linguaggio, che esiste un luogo dove ci possiamo incontrare. Oggi quel luogo è la rotazione radiofonica interstellare di un deejay proveniente dalle profondità della nostra galassia, ma domani chissà, potrebbe/dovrebbe essere questo posto nel quale tutti noi viviamo. Per completare la frase di poc’anzi, WE ARE THESE, and this is our music.

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