Throwback Santa: A Very Vulfy Christmas (Woody Goss Trio, 2019)

Recupero questo dischetto dall’artwork accattivante e citazionista dal natale dello scorso anno: in particolare A Very Vulfy Christmas, altro tassello dell’universo Vulfpeck, è stato pubblicato il 23 dicembre del 2019 insieme a un cartoon in stile Peanuts che narra la crisi mistica di un Jack Stratton versione Charlie Brown (al quale, esattamente come avveniva al personaggio di Schulz, tutti gli altri si rivolgono rigorosamente chiamandolo per nome e cognome) nel pieno di un burn-out esistenziale da sovraesposizione social e che cerca di recuperare il contatto con il proprio animo e, più in generale, il senso del proprio stare al mondo. “Quale storia migliore per scaldare il cuore proprio a natale?”, vi domanderete voi; e poi il cartoon è una vera chicca (lo trovate in fondo a questo testo) e il disco che lo accompagna non è da meno. Si tratta di qualcosa di davvero insolito: 8 brani del repertorio dei Vulfpeck riarrangiati in chiave Jazz dal Woody Goss Trio, composto appunto dal tastierista e membro fondatore dei Vulfpeck, Woody Goss, dal batterista (e etnomusicologo!) Dana Hall e dai contrabbassisti Joe Fee e Matt Ulery, che si alternano (il primo suona sulle prime sei tracce, il secondo sulle due conclusive). Non sfuggirà come il riferimento principale di tutta questa operazione sia, fin dalla copertina, il lavoro del Vince Guaraldi Trio, guidato dal compositore e pianista jazz californiano Vince Guaraldi, che negli anni ’60 musicava i cartoni animati dei Peanuts e che nel 1965 dette alle stampe un disco natalizio a tema Charlie Brown e soci, intitolato A Charlie Brown Christmas: confrontare le copertine per credere. Un’identificazione talmente grande col lavoro di Guaraldi da spingere Goss a mutuare anche la forma del trio come struttura ideale per la presentazione di questi brani nella loro riscrittura jazz.
A spanne, quindi,
A Very Vulfy Christmas reinterpreta il low volume funk dei Vulfpeck in chiave jazz, un jazz minimale, a metà tra la bossa nova più lieve e il cool: a guidare le danze è il piano discreto e ricercato di Goss, strumentista di assoluto valore e compositore/arrangiatore di assoluta inventiva, accompagnato dal drumming serrato e descrittivo di Dana Hall, ma è inutile negare come la maggior parte della curiosità la desti la sostituzione delle parti di basso di Joe Dart (che per i Vulfpeck letteralmente “fanno” i pezzi) con il contrabbasso che, in particolare nelle esecuzioni di un ottimo Joe Fee, strappa in più di una circostanza applausi e non fa rimpiangere le connotatissime linee originali (sarà il nome…). Si parla di jazz e quindi la parola d’ordine è improvvisazione: è sempre sorprendente, quando si ha a che fare con quella che di fatto è popular music, rendersi conto di come la rielaborazione di un tema, l’elemento melodico cardine di un brano, possa condurre molto, molto lontano rispetto al punto di partenza. È questo che viene in mente ascoltando ad esempio Animal Spirits, uno dei brani più noti dei Vulfpeck, scomposta nel suo tema e in una sezione downbeat, scandita da una linea di contrabbasso a metà tra il riff swing e una walking, sulla quale dar sfogo alla libera improvvisazione del piano; o, ancora, l’apertura affidata a Wait for the moment, un episodio meditativo che non avrebbe sfigurato in molti album di jazz classico, con l’aggiunta peculiare di un coro di voci bianche che, oltre a conferire all’insieme un’aria decisamente più “natalizia”, aiuta a scomporre e sottolineare le varie sezioni in cui il brano è articolato. Particolarmente lussuose le versioni di One for one, dove Goss riesce a non far rimpiangere la vocalità straripante di Antwaun Stanley, la luccicante bossa nova di Aunt Leslie e soprattutto il gioiellino della raccolta, una Smile Meditation vibrante, dove sull’iniziale, compassato drumming tropicalista di Hall, adagiato su un riff pieno di swing del contrabbasso di Fee, si sviluppa il tema melodico principale tratteggiato da Goss, spezzato e ricomposto negli unisoni e che sfocia in un’improvvisazione frammentaria e repentina, un lampo sostenuto da un groove serratissimo e da una walking furente del contrabbasso: in tutto e per tutto un piccolo standard di brillante fattura. L’up-tempo di Christmas in L.A., che allarga, stropiccia e rimescola il tema originale, chiude l’album in una piccola giungla di groove, una specie di allegro jazz assolutamente ballabile. Basta ascoltare pochi minuti di A Charlie Brown Christmas per comprendere quanto Goss si sia ispirato allo stile esecutivo e agli arrangiamenti di Guaraldi: si può anzi dire, quasi senza tema di smentita, che queste siano riletture dei Vulfpeck in uno stile jazz-Guaraldi, derivato direttamente da quello adottato da Vince Guaraldi in quest’opera di 55 anni fa. Riascoltate, per esempio, Linus & Lucy, un gioiellino di bossa-jazz che nella sua struttura alterna la presentazione del tema agli interventi solisti appoggiati su walking molto serrate, esattamente lo stesso principio secondo il quale Goss decompone e ricompone Smile Meditation, punto forte di questo lavoro. Questo per riconoscere il valore delle ispirazioni e degli ascolti, che formano il gusto e lo influenzano, ma c’è ovviamente di più, e in particolare c’è il talento cristallino di Goss, che ha una capacità innata e quasi commovente di riuscire a inserirsi in qualsiasi flusso sonoro senza lasciarsi trascinare via, dominandolo e controllandolo con una chiarezza invidiabile. Poi è chiaro che un’operazione come questa possa sembrare un filino auto-referenziale, e se così vi pare, rilassatevi: lo è. L’opera post-moderna della band che suona del sano low volume funk passa anche attraverso l’autocitazione (pensiamo solo al tema di Back Pocket che si può riascoltare, ripreso e riadattato, nei finale di Mr. Finish Line o Business casual, ed è solo un esempio dei molteplici possibili), la trasformazione (ormai ci sono infinite reincarnazioni del sound Vulfpeck, e incredibilmente, pur nascendo tutte dalla stessa esperienza-madre, sono tutte dotate della loro peculiare personalità) e più in generale la camaleontica capacità di mutare pelle mantenendo inalterato il succo del proprio suono: prerogativa, questa, solo dei grandi. Quello che però risulta chiaro all’ascoltatore attento è come A Very Vulfy Christmas sia soprattutto un piccolo gioiello del Professor Goss, non solo in qualità di musicista ma anche e principalmente di arrangiatore e compositore, uno che è tanto bravo da mimetizzarsi alla perfezione nella macchina funk dei Vulfpeck (fedele al motto “less is more”) e che, tuttavia, se ve lo dovessero togliere, ve ne accorgereste immediatamente. E potete scommetterci.


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