In verità questo brano è stato pubblicato alla fine dello scorso settembre, ma io l’ho sentito per la prima volta soltanto una decina di giorni fa, in autostrada, trasmesso alla radio. Ad esser stato pubblicato lo scorso 19 novembre è il nuovo album di Sting, The Bridge, per il quale questa Rushing Water ha fatto da apripista: è un brano reggae-pop confezionato con classe cristallina, un po’ Police e un po’ U2 (ebbene sì), col basso del buon Gordon Sumner in bella evidenza e una linea vocale che rimanda alle migliori produzioni del trio che lo ha reso famoso. Insomma, niente di nuovo sotto il sole e i bei tempi andati potranno anche essere lontani, ma bisogna riconoscere che è sempre un piacere ascoltare qualcosa cantato da Sting…
Altro giro, altra corsa (in attesa della pubblicazione del triplo album celebrativo Kid A Mnesiae che, aggiornamento dell’ultim’ora, è appena stato recapitato anche nella cassetta di posta dei miei): Follow Me Around è un nuovo estratto di lancio, preso dalle stesse sessions che dettero i natali a Kid A e Amnesiac e da allora inserita nel documentario Meeting People Is Easy (1998) e mai riproposta dal vivo se non in occasione di alcuni live degli Atoms For Peace. Strutturalmente semplice, Follow Me Around è costruita sulle chitarre acustiche e su un cantato paranoico di Yorke, che compone un testo capolavoro sull’alienazione, il senso di accerchiamento, il bisogno di fuga. Segue video con Guy Pierce, chiaramente a tema.
La cantante e chitarrista irlandese Síomha ha licenziato lo scorso 4 novembre il primo singolo dal suo prossimo album: il brano, intitolato Spéir Rua, vanta la produzione di Tyler Duncan e soprattutto una line-up di musicisti da far tremare le vene e i polsi, ovvero il basso inconfondibile del grande Joe Dart, il piano di Martin Atkinson, Michael Shimmin (The Olllam) e Louis Cato (già con Bobby McFerrin e gli Snarky Puppy) a occuparsi della sezione ritmica, e il violinista Jeremy Kittel (già con Bela Fleck). Spéir Rua è un affascinante e sinuoso pop-jazz, un notturno sospeso tra venature folk e tentazioni soul, imperniato su un groove granitico e irresistibile governato dal quattro corde del buon Dart e cui il testo in gaelico regala qua e là delle inattese vibrazioni a metà strada tra l’hopelandic e le lingue latinoamericane, mettendo in bella mostra le qualità vocali di Síomha e la produzione lussuosa di Duncan, capace di creare un autentico paesaggio sonoro, ricco di particolari e di sorprese: un ottimo biglietto da visita per l’LP a venire. Per usare le parole della stessa autrice, “Spéir Rua is a love song for the landscape of the West of Ireland. It was inspired by many late night drives after gigs when I lived right on the West Coast at the edge of The Burren. As I got closer to home, I was lucky to witness the beautiful red blaze of the morning sky. Nature was giving her best performance and in those moments it felt as though I was the only spectator. I would stop and sit alone and watch the night sky light up and become a new day”.
Di Verskotzi, al secolo Joey Verskotzi, avevamo già parlato in occasione dell’EP intitolato Arc002, uscito qualche mese fa (ne scrivevamo qui): il musicista, losangelino d’adozione, torna a dipingere un piccolo affresco di tre tracce, e stavolta si lascia ispirare dal viaggio percorso nel 2017 per spostarsi dal natio Minnesota appunto a Los Angeles (“ARC 003 is about my move from MN to LA in 2017. Along the way, my wife and I’s UHaul trailer was stolen off the back of our car and we arrived in LA with only the clothes on our backs. This incident brought me closer to my wife than ever and we realized just how much new, beautiful life ahead of us we had yet to live”). Non a caso quindi la parabola di Arc003 è aperta dal folk lieve e vagamente psichedelico di M.N., impreziosito dai bassi del solito, inconfondibile Ian Martin Allison; M.N. sfocia nel delicato R’n’B elettronico di For You, una ballad dalle sonorità realmente intriganti, che introduce alla chiusura affidata al breve idillio di L.A., commiato sentimentale per pulsazioni ritmiche devastanti e chitarre tremolanti. La partenza (M.N.), il viaggio (For You), la meta (L.A.): rispetto a Arc002, Verskotzi punta maggiormente sulla forma-canzone e, come nel caso dell’episodio precedente, fa centro alla grande. In attesa di una prova sulla lunga durata, questi EP mettono voglia di ascoltarne ancora.
(English version) We had already talked about Verskotzi, aka Joey Verskotzi, on the occasion of the publication of its EP entitled Arc002, released a few months ago (we wrote about it here): now the american songwriter returns to paint a small fresco of three tracks, and this time he has been inspired by the journey traveled in 2017 to move from his native place, Minnesota, to Los Angeles (“ARC 003 is about my move from MN to LA in 2017. Along the way, my wife and I’s UHaul trailer was stolen off the back of our car and we arrived in LA with only the clothes on our backs. This incident brought me closer to my wife than ever and we realized just how much new, beautiful life ahead of us we had yet to live”). It is no coincidence then that Arc003 is opened by the light and vaguely psychedelic folk of M.N., embellished by the gorgeous bass line by the great Ian Martin Allison; M.N. is followed by the delicate electronic R’n’B of For You, a ballad with truly intriguing sounds (where Verskotzi plays every instrument), which introduces to the last track, the short idyll called L.A., a sentimental farewell for devastating rhythmic pulses and trembling guitars. The departure (M.N.), the journey (For You), the destination (L.A.): compared to Arc002, Verskotzi focuses more on the song-form and, exactly as in the case of the previous episode, hits the spot. Waiting for the first LP, Arc003 (as much as the previous episode) makes you want to hear more.
In occasione del decennale del suo primo album solista, Romance Without Finance, ristampato per l’occasione in vinile, il buon Theo Katzman ha deciso di regalare ai fan una nuova versione acustica di Every Few Days, già traccia apripista del lavoro del 2011: niente di nuovo, se non che la voce di Katzman riesce sempre, invariabilmente, a toccarti dentro, da qualche parte. Ve la lascio qui, ché male non fa.