Una gioiosa macchina da guerra: The Fearless Flyers III (The Fearless Flyers, 2022)

Se la produzione dei Vulfpeck sembra essersi arrestata all’ultimo, bellissimo ma in parte incompleto The Joy Of Music, the Job of Real Estate, lo stesso non può dirsi per le attività produttive del talento funambolico di Jack Stratton: che si tratti di licenziare un nuovo lavoro della serie dei Vulf Vault (almeno uno davvero notevole, quel Wong’s Café di cui abbiamo parlato un paio di mesi fa) o un nuovo prodotto della sezione ritmica più stretta d’America (e forse del mondo), ovvero i Fearless Flyers, non si può dire che Stratton abbia battuto la fiacca negli ultimi tempi. Con questo 2022, al ritmo di un brano a settimana, il nostro ha dato in pasto alle masse The Fearless Flyers III, terzo EP della sezione ritmica dei sogni composta da quello che forse è uno dei cinque più grandi batteristi viventi (sua Maestà Nate Smith), dall’inarrivabile Joe Dart al basso (big guitar, come da protocollo) e dall’accoppiata Cory Wong- Mark Lettieri alle sei corde (chitarra e chitarra baritona, o anche medium guitar e small guitar): il top di gamma in termini di groove e di spirito funk. Per quanto possa sembrare eccessivo, le premesse (già importanti) non sono che una pallida ombra di quello che questi brani restituiscono all’ascolto: la freschezza della proposta musicale di Smith e soci si respira in ognuno dei sei episodi, così come la ricchezza di ispirazioni, idee e suggestioni.
È proprio la batteria del maestro di Chesapeake a introdurre le evoluzioni chitarristiche di
Patrol Acrobatique, e non poteva essere altrimenti: il brano, brevissimo, è dominato dagli svolazzi della chitarra baritona di Mark Lettieri, saldamente incernierati al sottofondo ritmico intessuto dall’inesauribile mano destra di Cory Wong e da un Joe Dart essenziale ed efficacissimo come poche altre volte. Se Patrol Acrobatique assomiglia a un blitz, Running Man costruisce dapprima un crescendo ad altissima velocità quasi imparentato allo speed-metal-funk di Ambush (ripescate Tailwinds, nel caso non lo ricordaste) cui però va ad aggiungersi una struttura chiaramente blues: questa ascendenza si palesa in maniera inequivocabile nella sezione centrale del brano, quasi una cartolina dal delta del Mississipi, con Cory Wong a disegnare fraseggi di gran classe, impreziositi da un bel lavoro sulla levetta del ponte. È sempre la micidiale macchina ritmica messa in moto dal drumming di Nate Smith a dare a questi brani una dimensione propria, e va a finire che le chitarre non sono nemmeno così necessarie: Three Basses, ad esempio, ne fa volentieri a meno, mettendo in mano anche a Wong e Lettieri due bassi che sono altrettante varianti dell’Ernie Ball Music Man Joe Dart Signature Bass. Il buon Joe tiene il centro della scena, mentre Cory Wong si diletta di slap (tecnica che ama così tanto da usarla sovente anche sulla sua sei corde) e Lettieri ci mette prima una pioggia di armonici e poi un solo pieno di stoppature e pause. Per questo brano vale (come già raccontato) il solito commento lasciato in calce al video su YouTube: “Nice song, unfortunately every time Cory and Mark were in frame I became to distracted by the excessive number of knobs on their basses”. La seguente Reelin’ in the Years è una sorprendente cover del brano contenuto nel primo LP degli Steely Dan, Can’t Buy A Thrill del 1972. È la chitarra baritona di Lettieri (una splendida Bacci Guitar, roba delle mie parti) a occuparsi di introdurre il tema del brano, accompagnato dalle screziature di Cory Wong e dal basso continuo di Joe Dart, e anche di replicare la linea vocale di Donald Fagen, mentre Nate Smith cuce tutto insieme con una grazia e un’espressività veramente di un altro pianeta (e pensare che usa solo cassa, rullante, timpano e charleston…). Flyers Funk è invece già un po’ un classicone della band, una specie di manifesto vivido del Fearless Flyers- sound: dominato dall’interplay tra Smith e il sempre insuperabile Joe Dart, il brano rivela una peculiare sezione centrale disegnata con tratti futuristi dalla baritona di Lettieri, gonfia di effetti. A un certo punto Nate Smith scioglie le briglie e la sua batteria comincia a veleggiare su un altro livello, seguita come sempre dall’inesauribile inventiva ritmica di Dart. La conclusiva Vespa sega le orecchie con una distorsione poderosa applicata al fraseggio di Wong, che sembra attraversare il fronte stereoscopico da parte a parte: in generale il brano ha esattamente il suono di un stormo di vespe in avvicinamento (sia che intendiate l’insetto, sia che vi riferiate al celebre motociclo). Si tratta, ma che ve lo dico a fare, di un fronte sonoro incredibilmente avvolgente, dal quale emerge improvvisamente un fantastico solo di Joe Dart suonato su un modello signature nuovo di pacca (comparso per la prima volta nei video che hanno accompagnato questo EP, disegnato da Ernie Ball sul modello del jazz bass per quanto concerne la disposizione dei pickup e ancora non disponibile al pubblico). La tempesta sonora perfetta, che chiude il lavoro con il botto.
In effetti devo riconoscere che questo terzo EP dei
Fearless Flyers un difetto ce l’ha, e anche grave: dura troppo poco. Certo, direte voi, ma è cosa connaturata al suo formato (un EP, appunto); concordo, ma è che dentro a questo quarto d’ora e poco più di musica ci sono un miliardo di idee, intuizioni, suggestioni, tentativi di fuga, e come fai a non dispiacerti quando la fine giunge così presto? Che si tratti di proporre una cover degli Steely Dan, cavalcare un allucinato e tiratissimo funk per ensemble di tre bassi e batteria o avvolgere le orecchie dell’ascoltatore in una pioggia di distorsioni al calor bianco, in questo EP ogni singolo passaggio, aspetto o coloritura viene introdotto nel tessuto armonico e ritmico con un’inventiva, una freschezza e un’eleganza assolutamente fuori dal comune. Sulla qualità strumentale non c’è molto da aggiungere, niente che già non si sappia o non si sia detto a sufficienza: la formazione raccoglie il non plus ultra del funk contemporaneo, soprattutto da un punto di vista ritmico, e i Fearless Flyers sono concepiti proprio come un ensemble sperimentale di spericolati avventurieri musicali in grado di trasformare in groove tutto ciò che tocca. Proprio qui risiede il genio di Jack Stratton, deus ex machina dell’operazione e da sempre alla ricerca della sezione ritmica perfetta (idea sottesa già al progetto-madre dei Vulfpeck, ispirato fin dal nome al funk di matrice teutonica proposto nei ruspanti anni ’80 del secolo scorso da produttori quali Mack, una delle principali ispirazioni dichiarate dal buon Jack): e mi viene da credere che con questa combinazione Smith-Dart-Wong-Lettieri il nostro abbia infine fatto centro. L’estro e la classe infinita di Smith, uniti all’inventiva e ai sedicesimi di Joe Dart, alle mostruose capacitò compositive e all’inconfondibile supporto ritmico fornito dall’inesauribile moto perpetuo della mano destra di Cory Wong, e soprattutto al fraseggio insieme melodico e ritmico, teso e nervoso, tessuto con cura da Mark Lettieri, generano un insieme che è decisamente superiore alla somma delle proprie parti, capace di produce un’autentica esperienza sonora e di rendere gradevole anche all’ascoltatore occasionale una musica totalmente strumentale, quindi già di per sé più ostica e meno radiofonica della media (non è un mistero la disabitudine del pubblico per questo tipo di proposta musicale: potete fidarvi, ho suonato per anni in una band prog strumentale, so di cosa parlo).
Il piano di volo di questi impavidi aviatori si basa su una costante, immediatamente dichiarata e messa in pratica con la devozione e l’impegno di una gioiosa macchina da guerra: proporre un funk geometrico, spigoloso, fatto di unisoni, ostinati devastanti e matematica sovrapposizione tra le varie linee, che calzano alla perfezione nel solco ritmico scavato dal drumming preciso, inventivo e magmatico di Nate Smith. Se non mi facesse senso creare tanti piccoli recinti nei quali incasellare le cose per illudersi di poterle comprendere con sterile semplicità, quello dei
Fearless Flyers si potrebbe quasi definire math-funk, e in quest’ottica non sarebbe del tutto inopportuno considerarne la produzione come un gigantesco, seminale test delle capacità espressive di un ensemble completamente ritmico, capacità che ovviamente tocca riconoscere come infinite: sarà per la qualità (indiscutibile) degli interpreti, ma forse c’entra anche qualcos’altro, un modo di intendere la musica, di rapportarsi con l’espressione musicale e gli altri musicisti, quello che in altri tempi avremmo chiamato interplay. Ecco, la forza reale di questi sei brani, di questo intero progetto, sta nel suo fondarsi su un continuo gioco di scambi, nei botta e risposta e nel dialogo tra gli strumentisti: un’interazione sempre proficua, che genera infinite variazioni, apre nuove strade, crea suggestioni. The Fearless Flyers III è solo un piccolo EP, che non ha certo la pretesa strutturale di porsi come un album (molto più complesso, nel suo insieme, era ovviamente stato il già citato Tailwind, non foss’altro che per la presenza della Elite Horn Section rappresentata dai Delta Force, determinante a livello armonico): sei tracce che si consumano troppo velocemente, ma quello che risulta chiaro fin da subito è come dentro questi sei episodi si nasconda un piccolo multiverso di possibilità, le cui promesse si stendono ben al di là di questi quindici minuti di puro, semplice, irresistibile e divertentissimo groove.

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