Una storia della notte: The Batman (Matt Reeves, 2022)

Lungo il corso delle generazioni
Gli uomini eressero la notte.
(J. L. Borges, Storia della Notte, ed. Adelphi)

Ciclicamente, il cinema americano torna a proporci il racconto delle origini di quello che è probabilmente uno dei personaggi dell’universo supereroistico più famosi e seminali della storia, quel Batman creato da Bob Kane e Bill Finger e apparso per la prima volta nel 1939 sul numero 27 della storica testata Detective Comics. La storia di Bruce Wayne, orfano di un’importante famiglia di Gotham City, città infestata dal crimine di ogni genere e a ogni livello, è troppo famosa perché qualcuno possa non conoscerla: eppure è sorprendente come il cinema sia riuscito, negli anni, a re-immaginare il mito delle origini di questo bizzarro eroe-vigilante innumerevoli volte, e come ogni volta la minima variazione abbia dato luogo a altrettante, incommensurabilmente diverse versioni della storia e del suo protagonista. Ogni riscrittura di questo racconto è una re-invenzione, una nuova creazione: al cinema ci aveva pensato per primo Tim Burton, con due film (Batman del 1989 e Batman Returns del 1992, con l’allora attore feticcio Michael Keaton chiamato a interpretare l’uomo mascherato) che avevano creato un intero universo, ricchissimo e affascinante, estremamente vicino ai mondi magici raccontati dal regista nel corso della sua carriera, un capitale purtroppo lentamente disperso da Joel Schumacher con Batman Forever (1995, ancora un buon film) e soprattutto con Batman & Robin (1997); a 8 anni di distanza da quest’ultimo, fallimentare episodio era stato Christopher Nolan a iniettare nuova verve nel personaggio con la trilogia iniziata da Batman Begins (2005), proseguita con The Dark Knight (2008) e conclusa da The Dark Knight Rises (2012): un Batman moderno, realistico e spogliato di tutto il gusto gotico burtoniano, cui prestava il volto uno straordinario Christian Bale, soprattutto una ghiotta occasione per Nolan di tuffarsi in un’approfondita (e spericolata) riflessione su temi senza tempo e insieme fortemente contemporanei quali potere, responsabilità, simbolo. Dopo la parentesi (non troppo fortunata, a dire il vero) rappresentata dall’ingresso di Batman nel DCEU (DC Extended Universe) (col volto assai meno espressivo del solito di un già notoriamente granitico Ben Affleck)), a riportare in vita il franchise dell’uomo pipistrello ci ha pensato Matt Reeves (già autore di Cloverfield) con questo The Batman, uscito nelle sale l’11 marzo e che ho avuto modo di vedere in lingua originale al Teatro Odeon di Firenze. Il Batman di Reeves, a differenza di quello, seducente e meraviglioso, tratteggiato da Tim Burton, è un Batman gotico ma non favolistico, moderno, contemporaneo: la Gotham City di Reeves riesce magicamente ad essere un po’ la Gotham di Burton, con la sua verticalità e i suoi interni da dimore gotiche, e un po’ la città di Blade Runner, sferzata dalla pioggia e male illuminata da luci al neon sfarfallanti, lascito di anni di corruzione e cattiva amministrazione. Laddove inoltre Nolan aveva voluto architettare, nella sua trilogia, una metafora oscura per un racconto sul potere (inteso in ogni chiave, compresa quella prettamente simbolica), Reeves sceglie invece di tornare a un Batman archetipico: soprattutto investigatore, impegnato a raccogliere indizi e ricostruire percorsi, protagonista a tutti gli effetti di una detective story.
L’intreccio di
The Batman ne fa un giallo investigativo, decisamente crudo e denso: un pericoloso criminale uccide il sindaco uscente di Gotham City, impegnato in una difficile campagna elettorale per la rielezione. La rivendicazione di questo crimine, opera di un uomo che si autodefinisce Enigmista, assume la forma di un oscuro indovinello diretto in maniera esplicita a Batman (un tormentato Robert Pattinson), vigilante mascherato che da un paio d’anni scruta la città dall’alto colpendo in maniera violentissima il crimine, nel tentativo di estirparlo e ripulire infine la città. Dietro l’identità del giustiziere mascherato si nasconde Bruce Wayne, rampollo della più importante famiglia di Gotham, rimasto orfano di entrambi i genitori a seguito di un crimine violento sul quale mai è stata fatta piena luce; nel tentativo di proseguire l’opera del padre, devoto al miglioramento delle condizioni della città e dei suoi abitanti, il giovane Wayne, aiutato soltanto dal maggiordomo Alfred Pennyworth (Andy Serkis), un passato nell’MI-6 e unico a conoscerne la reale identità, ha scelto di indossare una maschera e ripulire attivamente Gotham dalla feccia criminale che vi banchetta come in un’orgiastica discesa agli inferi. All’interno del GCPD Batman è tuttavia decisamente mal visto, e il suo unico “contatto” è il detective Jim Gordon (Jeffrey Wright), che lo coinvolge nel caso dell’Enigmista andando anche contro l’opinione dei suoi superiori. La fitta rete di relazioni che emerge dalle rivendicazioni dell’assassino conduce Batman e Gordon sulle tracce di una talpa che sarebbe a conoscenza di un enorme segreto in grado di rovesciare di colpo l’ordine costituito nella città, rivelandone la completa, irrecuperabile e disgustosa corruzione: gli indizi conducono il supereroe sulle tracce di Carmine Falcone (John Turturro), boss mafioso locale, salito al potere dopo la detronizzazione di Salvatore Maroni e spalleggiato dal braccio destro Oswald Cobblepot, anche noto come Pinguino (un irriconoscibile Colin Farrell); è proprio a seguito delle scottanti rivelazioni sull’ex sindaco che Batman finisce per imbattersi in una giovane ragazza con la quale il defunto primo cittadino aveva una relazione, Annika, e soprattutto in Selina Kyle (una maestosa Zoë Kravitz), misteriosa ballerina/cameriera che lavora nel locale che sembra essere al centro dell’intero intrigo (l’Iceberg Lounge, all’interno del quale ha sede il club privato 44 Below, ritrovo delle persone più influenti di Gotham, e luogo di massima corruzione), gestito ovviamente dallo stesso Falcone, e che della ragazza è la conquilina e la compagna. Pedinando Selina, Batman ne svela l’identità segreta con la quale compie furti col favore delle tenebre, per lo più ai danni di Falcone stesso: è lei Catwoman, e il primo incontro tra i due avviene all’interno della magione dell’ex primo cittadino, dove Selina si era recata per recuperare il passaporto di Annika, che il sindaco le aveva sottratto perché non potesse lasciarlo e lasciare Gotham; quando infine Selina acconsente infine ad aiutare Batman nella sua indagine a patto che lui aiuti lei a togliere l’amica dai guai, di Annika non v’è più traccia. Qualcuno ha fatto irruzione a casa delle due donne e ha rapito la giovane. Nel frattempo l’Enigmista, nascondendo accuratamente volto e reale identità, procede con la propria crociata e con la minaccia di rivelare la tremenda verità che riguarderebbe la città di Gotham: usando le armi offerte dalla rete (Twitter in particolare), mette insieme un piccolo esercito di adepti mentre, con gran senso dello spettacolo, elimina il commissario di polizia e, alle commemorazioni indette per la tragica scomparsa del primo cittadino, anche il procuratore generale di Gotham City, Gil Colson (Peter Sargaard). Proprio in quest’ultimo si è imbattuta Selina quando, indossando una speciale videocamera retinale, ha fatto da spia per Batman all’interno del 44 Below: solo la punta dell’iceberg dell’accolita di presunte persone perbene e notabili di Gotham che si sollazza alla sorgente della corruzione, metaforica e concreta. Ricomponendo faticosamente i pezzi del puzzle, nel tentativo di risolvere il macroscopico indovinello posto dall’Enigmista sotto i suoi occhi, a Batman diviene via via drammaticamente chiaro come proprio il suo alter ego, la sua maschera diurna, sia la prossima vittima designata dell’assassino: solo un caso vuole che ad aprire il pacco bomba inviato dall’Enigmista non sia Bruce Wayne, ma Alfred. Il maggiordomo finisce in ospedale in gravi condizioni proprio mentre la situazione precipita e Bruce è costretto a rivedere molte delle proprie convinzioni morali, soprattutto quelle legate alla figura paterna: viene a conoscenza infatti di un antico e segreto fatto occorso tra il defunto padre, Thomas Wayne, e il malavitoso Carmine Falcone appena una settimana prima della morte dei genitori, nel pieno della campagna elettorale che Wayne padre aveva intrapreso per diventare sindaco di Gotham. Un semplice “sbaglio”, come lo definisce Alfred in un drammatico colloquio col giovane Wayne, del quale Thomas si era immediatamente pentito, e che tuttavia lo aveva reso ricattabile da Falcone. Solo una settimana più tardi, la morte violenta di Wayne e della moglie avrebbe posto fine al progetto di rilancio di Gotham immaginato dall’uomo, e soprattutto avrebbe lasciato gli ingenti capitali del Gotham Renewal Fund, offerti proprio da Wayne per riqualificare e ripulire Gotham, in mano a una schiera di amministratori assolutamente corrotti, parte di una contorta rete di clientelismi e relazioni. In che modo il Gotham Renewal Fund è legato all’oscura crociata dell’Enigmista? Attraverso una lunga serie di false piste, e dopo aver impedito che Selina, che si scopre essere in realtà figlia dello stesso Falcone, si sporcasse le mani del sangue paterno per ottenere quella vendetta di cui da tempo era in cerca, Batman e Gordon giungono infine a rivelare il complotto ordito dallo stesso Falcone per liberarsi di Maroni e divenire di fatto il padrone dell’intera città, tenendo sotto scacco tutte le cariche istituzionali di Gotham. Tuttavia anche questa rivelazione sembra essere parte del piano generale: Falcone cade ucciso, proprio come l’Enigmista desiderava, e Batman e Gordon riescono infine ad arrestare l’assassino. Edward Nashton, questa la vera identità dell’Enigmista (cui presta il volto un allucinato Paul Dano), viene rinchiuso ad Arkham, celebre manicomio criminale della città; chiede di poter parlare con Batman, che teme di vedere rivelata la propria identità, ma scopre piuttosto come l’uomo abbia una sorta di adulazione psicotica nei suoi confronti, e ritenga di essere parte di un disegno in cui i due, insieme, sarebbero destinati a mettere sotto gli occhi di tutti il marcio che avvolge Gotham. È a questo punto che Batman coglie il quadro complessivo, l’ultima, grande mossa architettata da Edward per punire la città in maniera esemplare, con l’aiuto dei suoi accoliti. Prima che Batman possa impedirlo, una serie di sette autobombe distruggono la diga che protegge Gotham City dal bacino idrico della città, causando un’inondazione. I notabili della città, compreso il sindaco neo-eletto Bella Reál (Jayme Lawson), giovanissima attivista politica che vorrebbe cambiare l’inerzia di una città da tempo avvitata nella propria auto-distruzione, trovano riparo all’interno di un anfiteatro rialzato (l’equivalente gothamiano del Madison Square Garden): e lì diventano prede del tiro al bersaglio della squadriglia di vendicatori dell’Enigmista. Gli eventi drammatici all’interno del palazzetto cambiano la visione e l’impegno di Batman per Gotham City, costringendo l’uomo, prima ancora che la maschera, a trovare una quadra all’intera propria azione come vigilante, a quella che riconosce ormai come la propria missione, una quadra dolorosa soprattutto perché lo costringerà a separare la propria strada da quella di Selina.
Come già detto
The Batman è prima di tutto un film giallo, e come tale concepito: una detective story con tutti i crismi del caso, fatta di attenta ricostruzione degli eventi, false piste, ripartenze e passaggi inattesi, nella quale è facile riconoscere un enorme universo di riferimenti ai noir classici della storia del cinema che spaziano dall’opera di Alfred Hitchcock a film come Chinatown (Polanski, 1974), ideale modello per la rappresentazione della corruzione che domina Gotham, e Una squillo per l’ispettore Klute (Alan J. Pakula, 1971), dal quale Reeves sembra un po’ mutuare le dinamiche del rapporto tra Batman/Bruce Wayne e Selina Kyle ricalcandole su quelle dei personaggi interpretati da Jane Fonda e Donald Sutherland; d’altro canto, Reeves non fa mistero di aver avuto come principale ispirazione nella gestione dell’intreccio proprio quella dei cineasti dell’era della New Hollywood. Dal punto di vista del linguaggio cinematografico, l’intero racconto è innanzitutto una tesissima soggettiva: è lo sguardo di Batman/Bruce Wayne ad essere il centro della narrazione, anche quando questi tenta di usare gli occhi altrui (quelli di Selina in particolare) per penetrare i segreti custoditi nell’Iceberg Lounge e nel 44 Below Club. Reeves abbonda nell’uso di piani ravvicinati e inquadrature strettissime, che creano quello che, altrove, è stato definito “un senso di intimità quasi fuori luogo”, un espediente che confonde, e che genera immediatamente un interesse stilistico. Soprattutto, Reeves riempie le sue inquadrature di spazi oscuri nei quali si annida la tensione: le immagini, spesso sgranate e quasi completamente nere, vengono squarciate da bagliori di arma da fuoco che illuminano il buio giusto il tempo di lasciare intuire l’immagine in movimento (i combattimenti sembrano successioni di fermo immagine, uno step-frame citazionista a metà tra Chris Marker e il cinema d’azione di Hong Kong), in un qui e ora che è un viaggio allucinante verso gli inferi del male (See you in hell, recita l’ultimo messaggio diretto a Batman dall’Enigmista). Ma il fatto che la camera segua Batman così da vicino risponde anche alla rappresentazione della storia attraverso uno sguardo privilegiato, quello del cavaliere oscuro, necessariamente limitato, abissalmente rivolto verso se stesso, incapace spesso di cogliere il quadro generale: anche lo sguardo di Batman è intrappolato in quel buio dal quale il vigilante emerge terrorizzando i nemici, ombra a sua volta nell’oscurità. Concependosi come vendicatore, il Batman di Reeves si rende monodimensionale, appiattendosi su quella stessa oscurità che nominalmente combatte: “I’m vengeance” , risponde l’eroe ai criminali che combatte, e la stessa frase viene ripetuta dall’ultimo degli emuli dell’Enigmista che proprio Batman abbatte nelle sequenze finali. Nel momento stesso in cui teme di vedere rivelata la propria identità da parte di Edward Nashton, Batman rivela la propria cecità: ed è solo quando smette di temere per la propria copertura che si rende conto del piano architettato da Nashton in tutta la sua completezza, appena in tempo per giungere a sventarlo. L’ammirazione perversa di Nashton per la figura di Batman è il rovescio della medaglia, e a suo modo il carnefice è emulo del vigilante, che si riconosce allo specchio nell’emulo del carnefice che pronuncia quelle stesse parole, “I’m vengeance” , proprio quelle con le quali Batman si era presentato ai criminali nella sua prima apparizione alla stazione della metropolitana.
Niente di nuovo, si potrà dire: da sempre il confronto/identificazione del vigilante mascherato con la e nella sua nemesi di turno è il motore primo dell’azione nei film ispirati all’eroe di Gotham City. L’enigmista di Paul Dano ha i tratti e il modus operandi di
Zodiac (“It’s the riddler speaking” la frase con la quale si presenta, e sono cifrari i messaggi che affida alla polizia) e allo stesso tempo agisce da terrorista-rivoluzionario come il Joker di Heath Ledger, con una predisposizione per il grand-guignol e l’organizzazione di sanguinosi complotti e rivolte armate (usando l’arma, molto contemporanea, della rete e dei social network). Il Batman di Pattinson è invece (ancora) un personaggio in cerca d’autore, rappresentato ai suoi esordi nella lotta al crimine: soprattutto uno spauracchio della criminalità, il cui ingresso in scena genera una tensione del tutto analoga a quella che si prova nello scorgere improvvisamente la sagoma dell’Enigmista alle spalle del sindaco Mitchell, come emergesse silenziosamente e inquietantemente dalle tenebre. Basta già questo a mostrare come i due personaggi condividano un’oscura origine comune. La figura dell’eroe sembra proprio staccarsi dall’oscurità, dalla notte, come se ne facesse parte; anzi, come se un frammento di quella notte prendesse vita, si animasse. Ho visto molte somiglianze tra le movenze del Batman di Pattinson e il passo lento, quasi ieratico del Nosferatu di Murnau (d’altro canto è letteralmente un Max Schreck, un massimo terrore che il vigilante genera nei criminali), e non si può mancare di notare l’evidente rimando al Caligari di Robert Wiene rappresentato dagli occhi pesti, tinti di nero di Pattinson quando si sfila la maschera (occhi che rimandano immediatamente alla memoria il trucco del memorabile personaggio di Cesare, interpretato da Conrad Veidt nel capolavoro espressionista): in qualche modo, due piccole citazioni che aggiungono ulteriore spessore estetico alla caratterizzazione del personaggio. L’oscurità del Batman interpretato da Robert Pattinson fa ovviamente parte del bagaglio minimo del supereroe come viene caratterizzato anche nella produzione fumettistica: la sua emersione dall’oscurità genera terrore nel crimine e nei criminali (fear is a tool, recita la voce off di Pattinson all’inizio della proiezione), e la sua posizione morale resta sfuggente, ambigua, allorché spaventa anche le vittime di quel crimine che combatte (l’uomo aggredito nella stazione della metropolitana, nella sequenza in cui vediamo per la prima volta comparire Batman). Il cavaliere oscuro è terrore primigenio: la teatralità delle sue apparizioni serve a instillare la paura nell’avversario, ad alimentarla. Per il resto, questo Batman assai più dei precedenti svolge una gran mole di lavoro investigativo (d’altra parte Reeves lo precipita in una caccia all’uomo che ha più similitudini con una storia di serial killer che di supereroi), recuperando un aspetto fondamentale del Batman dei fumetti, lavoro svolto con l’aiuto essenziale di Alfred Pennyworth, che probabilmente è anche il personaggio più sacrificato in questa nuova versione. Non va sottovalutato anche un altro aspetto, decisamente inconsueto, relativo ai due personaggi di Batman e dell’Enigmista: entrambi sono accompagnati da un ben preciso motivo musicale nel corso della narrazione. Si tratta del brano Something in the Way dei Nirvana per Batman, e dell’Ave Maria di Schubert per l’Enigmista: il primo, un brano che cerca di esprimere il tormento interiore dell’eroe dando al personaggio di Pattinson un’inattesa dimensione “grunge” (Reeves ha anche dichiarato di essersi ispirato proprio allo stesso Kurt Cobain per la creazione del suo protagonista e per mettere in scena i suoi dilemmi esistenziali); il secondo, un brano di carattere religioso che Edward Nashton, nella sua foga di purificazione, canticchia mentre sceglie e punisce le proprie vittime. Accanto ai due antagonisti principali, si muove un sottobosco di altri personaggi non meno caratterizzati: dai villain Carmine Falcone e Oswald Cobblepot (non più il diverso e il reietto che avevamo conosciuto nella lettura burtoniana, ma uno spietato capo mafioso) a Jim Gordon, fino alla splendida Selina Kyle/Catwoman interpretata da Zoë Kravitz, che costituisce il terzo polo attrattore della pellicola. Anche a quest’ultimo personaggio Reeves riconosce la dovuta ambiguità: il suo camminare sul sottile crinale che separa la vendetta personale dal crimine (tema legato al rapporto combattuto col padre biologico, lo stesso Carmine Falcone), la sua bisessualità (tematica palese nei fumetti, e che pare di riuscire a scorgere anche in questa riduzione cinematografica, in particolare nelle pieghe del triangolo amoroso tra Selina, Annika e lo stesso Batman), la decisione travagliata di mettere da parte la propria sete di vendetta per contribuire a qualcosa di più grande, la salvezza della città intera. Selina presta letteralmente gli occhi a Batman per permettergli di conoscere i segreti inconfessabili custoditi tra le mura dei club di Falcone, e questa mimesi imperfetta è il primo tentativo di Batman/Bruce Wayne di oltrepassare la chiusura del proprio sguardo per aprirsi a una prospettiva diversa (metaforicamente e non solo), il primo passaggio nel percorso che porterà il cavaliere oscuro verso la luce. Oltre ad essere forse uno dei personaggi più interessanti del lotto (se non direttamente il più interessante), capace di passare delicatamente dalla violenza alla dolcezza, dalla seduzione al sacrificio, la figura di Selina (e la sua rimozione dallo schermo) è non a caso anche la protagonista della sequenza che mette per immagini la grande, sopraggiunta differenza tra i personaggi di Batman e Edward Nashton, uno scarto che si concretizza nel finale del film e che consiste ovviamente in una differenza di sguardo. Lo sguardo di entrambi i protagonisti è, come già detto, fortemente limitato: si potrebbe dire, rivolto praticamente solo verso se stessi. Ma se nel finale quello dell’Enigmista si chiude ulteriormente dietro le sbarre di Arkham, da dove il criminale osserva il proprio piano fallire (pur incontrando un futuro, possibile alleato), quello di Batman per la prima volta si allarga, introducendo un’inedita profondità di campo. Dopo essersi accomiatato da Selina, Batman ne segue la sagoma tramite lo specchietto della moto mentre la ragazza si allontana fino oltre il bordo dell’orizzonte, che sembra quasi inghiottirla. In quell’esatto momento Batman prende davvero il posto di Bruce Wayne e intuisce sul serio la vertigine della propria profonda, dolorosa solitudine di custode della città, quello che diverrà il suo destino.
Di tutti i reboot dell’universo di Batman, quello di Reeves è probabilmente quello che parte più lontano da un orizzonte autoriale: e pur tuttavia, il regista di
Cloverfield confeziona un prodotto tutt’altro che impersonale, sia da un punto di vista narrativo, o più propriamente di scrittura, che, soprattutto, da un punto di vista estetico, proponendo un potentissimo noir a tinte fosche che attraversa coraggiosamente tutte le linee d’ombra di una vicenda complessa e sfaccettata. La storia raccontata da Reeves è scura come la notte, e come le tenebre più profonde intimamente oscura: in generale, tutto ciò che ha reso Batman ciò che egli è resta in qualche maniera “sullo sfondo”, avvolto da questa oscurità (e questo marca la vera grande differenza con le narrazioni delle versioni precedenti). L’evento principale dell’esistenza di Bruce Wayne, l’uccisione dei genitori, è trattato da Reeves in forma extra-diegetica, narrato ma mai mostrato, sezionato senza riuscire a farvi chiarezza, quasi il regista volesse mostrarci che il suo Batman proviene proprio dalle ombre, da queste stesse ombre, e come non possa esservi certezza alcuna circa la reale cifra della sua storia personale (lo stesso Alfred, costretto in un letto d’ospedale dopo aver aperto il pacco bomba destinato a Bruce Wayne, confessa di non essere mai riuscito ad avere la certezza sul mandante dell’omicidio dei genitori del ragazzo); la narrazione dell’uccisione dei genitori diventa così un racconto a più voci, un gioco di specchi, una storia sfaccettata che ogni persona, inevitabilmente, racconta a modo proprio e per assecondare i propri fini e l’idea che si è costruito negli anni (che si tratti di Falcone, di Alfred o dello stesso ricordo del piccolo Bruce). L’origine dell’eroe è pertanto oscura, misteriosa, sfuggente, soprattutto perché Batman è archetipo di un furore e di un terrore primigeni, una creatura che viene dall’ombra e come ovvio nell’ombra e nell’oscurità non può esservi la chiarezza che si trova nella luce; anzi, è proprio questo cammino verso la luce che il protagonista deve compiere, per comprendere come le proprie motivazioni non debbano essere banalmente legate a un passato che non si riesce a comprendere ma a quel futuro che si vorrebbe costruire (le ultime sequenze, nelle quali Gotham è finalmente presentata alla luce diurna, incarnano proprio la conclusione di questo viaggio). Meravigliosamente dark, al tempo stesso gotico ma contemporaneo, pieno di sequenze apocalittiche (le riprese nel night club, a base di luci stroboscopiche e musica elettronica ossessiva come fossimo catapultati dentro uno Strange Days supereroistico) e di momenti di azione sfolgorante (penso soprattutto all’incredibile inseguimento tra Batman e il Pinguino lungo le strade di Gotham), debitore tanto a Mindhunter, a Zodiac e ai film di serial killer quanto ai capostipiti dell’orrore cinematografico, questo The Batman è soprattutto un potente thriller, cupo e disperato per buoni tre quarti della sua estensione, e il suo protagonista un cavaliere oscuro destinato a una solitudine autoinflitta, dapprima mostro che emerge dalle tenebre per portare vendetta e che un po’ per volta diviene crociato che si scopre inaspettatamente portatore di speranza, una speranza che può incarnare ma dalla quale resterà sempre, dolorosamente escluso. Uno sconfitto, in fondo, ma probabilmente l’unico che possa sopportare tutto il peso di questa lunga notte.

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