February Round-Up: l’amore probabilmente

È stato un febbraio piuttosto denso di novità musicali, quello che si è appena concluso. Tanto per cominciare, il ritorno della squadriglia acrobatica dei Fearless Flyers con un terzo EP intitolato semplicemente Fearless Flyers III: la formazione capitanata da Sua Maestà Nate Smith, che annovera ovviamente nelle sue fila Joe Dart (big guitar), Cory Wong (medium guitar) e Mark Lettieri (small guitar), e guidata in torre di controllo dall’inventiva caustica e situazionista di Jack Stratton, ha lanciato il crowdfunding per il proprio EP, ospitato come sempre dalla piattaforma qrates, condividendo un brano nuovo ogni settimana lungo il mese appena trascorso. Dopo la pubblicazione di Patrol Acrobatique (primo singolo estratto, lo scorso 1 febbraio) è stata la volta di Running Man e infine di Three Basses (terzo singolo, datato 15 febbraio). In quest’ultimo episodio si raggiungono vette quasi insuperabili: un pezzo per batteria (stratosferica, come sempre) e tre bassi, che sono tutti e tre delle varianti del Joe Dart signature bass prodotto da Ernie Ball Music Man, con Dart impegnato a gestire il riff principale, Cory Wong che si diletta di slap e Lettieri che produce una pioggia di armonici. Vale un fulminante commento trovato in calce al video su YouTube: “Nice song, unfortunately every time Cory and Mark were in frame I became to distracted by the excessive number of knobs on their basses” . Chi conosce questa allegra banda di mattacchioni saprà di cosa stiamo parlando: per tutti gli altri, cliccate qui.

Dei Waves & Waves, duo composto da Matt Saladino (tastierista, voce, music producer, writer, artista a tutto tondo) e Jake Reed (batteria), avevamo già parlato qualche mese fa in occasione dell’uscita del singolo L.A. Nights. Saladino e Reed sono ritornati il mese scorso con un nuovo brano, Tell Me: in questo episodio ritroviamo le fortissime vibrazioni 80’s già assaggiate in L.A. Nights, con un piccolo tocco di modernità elettronica in più. Al basso, a fare il solito lavoro magistrale, c’è di nuovo il grande Sean Hurley. In qualche modo Tell Me sposa le atmosfere dreamscape e vaporwave del singolo precedente, tipicamente eighties, con un pop di gran classe, scandito da un ritornello che ti si appiccica addosso. Per farla breve, i Waves & Waves hanno fatto centro un’altra volta.

(English Version) We talked about Waves & Waves, Los Angeles- based duo composed by Matt Saladino (keyboardist, vocalist, music producer, writer) and Jake Reed (drums), a few months ago when the band published their single L.A. Nights. Since that moment, I started following Saladino and Reed on the social media, and they returned last month with a new song, Tell Me: the song features again the very strong 80’s vibes already tasted in L.A. Nights, adding a little bit of “electronic modernity” and pop looseness. Such as on L.A. Nights, here we find again the great Sean Hurley on bass, doing his usual masterful work. Somehow, Tell Me keeps together the dreamscape and vaporwave atmospheres of the previous single, typically 80’s-oriented, with a classy pop (enriched by an elegant, catchy refrain). In a few words, Waves & Waves hit the bull’s-eye again.

Bright Minds
With Dark Eyes
Speak Loud Words
Tell Sweet Lies
Lost without a trace of a way
To get out of this misery

Kamasi Washington è una di quelle voci che vale sempre la pena ascoltare, nel panorama mutevole del jazz presente e futuro. Il ritorno del sassofonista e band leader losangelino, accompagnato dai suoi fidi musicisti, è andato in scena all’inizio di febbraio nello show di Jimmy Fallon, dove Washington ha presentato il nuovo singolo The Garden Path. The Garden Path è un brano che tenta di mettere insieme tutta la confusione che regna sovrana nel mondo in cui viviamo: la magniloquenza dei cori sposa il nervosismo delle ritmiche (Miles Mosley è eccezionale al contrabbasso, come di consueto), e lascia spazio a un solo altrettanto nervoso, schizofrenico e travolgente dello stesso Washington. Questa è musica che fa bene al cuore, e alla testa. La versione eseguita live è un po’ più breve di quella incisa su disco (che ospita anche uno splendido solo di tromba e che speriamo sia solo un antipasto di nuova musica a venire), ma è letteralmente travolgente: poco meno di cinque minuti ipnotici, nei quali (ve lo garantisco) non riuscirete a staccare gli occhi da questi formidabili musicisti.

Ho imparato ad amare Kae Tempest per le sue opera poetiche, vibranti e incredibilmente contemporanee: solo dopo ne ho scoperto la dimensione (altrettanto affascinante) di performer. Del suo ultimo LP, The Book of Trap and Lessons, avevo già parlato in occasione di un best of di qualche anno fa: ora Tempest torna con un nuovo lavoro, di cui questa Salt Coast è l’antipasto. Le atmosfere di Salt Coast sono un po’ electro-80’s, acide e notturne; la voce di Tempest oscilla come sempre a metà strada tra rap e spoken word, un recitativo di intensità enorme, carico di tensione, frammentato, dolente, che si solleva (insieme alla musica che lo accompagna) proprio nei refrain. Salt Coast è il racconto della continua, dolorosa battaglia per riappropriarsi di se stessi, e proprio come questa battaglia che va in scena ogni minuto della nostra vita oscilla tra l’oscurità, la rabbia e la speranza, tesa come una corda di violino: i versi di Kae Tempest sono tra le cose più belle che leggerete oggi, quindi ve ne lascio alcuni, per farvi un’idea.

Now you want to be free
From the strain of what’s done in your name
Every single inch of you is somebody’s claim
The familiar refrain
Of their glory and your shame
You just want to keep moving, the energy contained
Is spilling out and making trouble for you
Nothing is the same
You got out from underneath the weight of suffer and obey
The tyranny and hate of Britannia rules the waves
And now you swing your hips as you go strutting down the lane
I love you when I see you this plain

Per anni ho considerato l’opera di Kate Nash, cantautrice londinese, quella che si potrebbe definire come “uno dei miei guilty pleasures preferiti” (ero giovane, certo, ma chissà poi perché considerarlo un guilty pleasure): ai tempi dell’uscita del suo album di debutto, Made of Bricks (2007), trovai assolutamente irresistibili le sonorità di singoli come Foundations e Mouthwash, e in generale ricordo di aver ascoltato l’album abbastanza compulsivamente per un lungo periodo. Confesso che della Nash mi piaceva soprattutto il carattere, così deciso, quello di una persona che non sta qui a farsi dire dagli altri cosa fare, cosa pensare, come vestire, come comportarsi; niente di semplice, specialmente se sei una donna che vive dentro una società solo apparentemente “libera” come la nostra. Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e la Nash, fedele proprio a quel suo carattere, ce l’ha messa tutta per non farsi intrappolare dentro uno stereotipo, arrivando anche a tentare letteralmente e apertamente di sabotare la propria carriera solista licenziando un disco praticamente punk (Girl Talk, 2013) in un’era in cui il punk era morto e sepolto da almeno tre decenni (grazie a dio, ma questa è un’opinione puramente personale). Imperfect, nuovo singolo pubblicato lo scorso 11 febbraio, riprende le tematiche care alla cantautrice inglese recuperando insieme delle atmosfere che sembrano proprio quelle di Made of Bricks, aggiornate però alla sensibilità di questi anni ’20: il risultato è un brano adorabile, che la Nash cavalca con la sua voce bellissima, oscillando tra rap e cantato a squarciagola, e nel quale torna ad affermare, di nuovo, di essere l’unica, legittima proprietaria di se stessa (e questo messaggio si può/si deve traslare su qualunque persona/corpo femminile ma, oserei dire, non soltanto). Insomma, I am mine, ma con meno spocchia assai.

I Moderat si erano lasciati un giorno di agosto del 2017, un po’ all’improvviso, seminando orfani quasi dovunque nel variegato mondo della dance ma in generale della musica tutta. Il progetto combo di Apparat (Sascha Ring) e Modeselektor (Gernot Bronsert e Sebastian Szarzy), nato a Berlino nel 2002, aveva dato alle stampe tre album, l’omonimo Moderat (2009), II (2013) e III (2016), e l’incisione del vivo Live (2016), che tentava di immortalare su disco una di quella serie infinita di esibizioni memorabili che la band aveva concesso in giro per il mondo durante la propria carriera; soprattutto, i Moderat hanno saputo creare nel tempo un autentico culto, di molto travalicante la sola scena elettronica. Circa cinque anni dopo, col calembour more d4ta, il trio torna alla ribalta discografica annunciando allo stesso tempo nuove date live (more d4ta, appunto) e un nuovo lavoro (Moderat 4, quindi, anagrammando quel more d4ta, previsto in uscita per il 15 maggio prossimo), annunciato dal singolo di lancio Fast Land. Questo è una curiosa incursione del trio in sonorità molto più dream-oriented di quanto suggerito dai lavori passati: Fast Land contiene una vasta componente ambient, con i synth che spadroneggiano creando atmosfere malinconiche su un substrato ritmico diritto e teso come da marchio di fabbrica. La traccia è riflessiva e profondamente evocativa, la si potrebbe definire un lento (rutilante, stratificato, complesso, ma pur sempre una ballad) e apre a numerose possibili evoluzioni: le aspettative sono molte, e altissime.

Ultimamente James Blake staziona molto spesso su queste pagine, e per me non può che essere un bene. Questo mese si tratta di una canzone pubblicata in realtà a fine gennaio, ma che fa parte della soundtrack della serie HBO Euphoria, che è stata data alle stampe lo scorso 25 febbraio. Pick Me Up, questo il titolo del brano, non avrebbe affatto sfigurato nell’ultimo disco di studio di Blake: come ormai consuetudine, il brano inizia dal ritornello, in una versione spoglia e scheletrica; cresce nella strofa e ripropone poi di nuovo il refrain, accompagnato stavolta dal pieno musicale. Ma Pick Me Up, composta a quattro mani con Labyrinth (che provvede ai cori) si regge anche e soprattutto sul pianoforte di Blake che, specialmente nel finale, sembra voler disegnare un notturno distopico, fuori fuoco, decentrato, che si avvita su se stesso mentre il brano si spenge malinconicamente nel silenzio conclusivo.

Della cantautrice americana Lizzy McAlpine ho parlato con una certa dovizia di particolari il mese scorso, dopo averla scoperta casualmente spippolando su YouTube/Spotify. Il 25 febbraio McAlpine ha pubblicato il video di Reckless Driving, quarto singolo estratto dall’album Five Seconds Flat, in uscita il 15 aprile. Anche questo video, diretto da Gus Black in continuità con quelli realizzati per i tre singoli precedenti, va a comporre un altro tassello della tormentata storia d’amore di cui la McAlpine sembra parlare nel lavoro, inserendola nell’ottica del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Ancora una volta, sono le liriche e l’interpretazione della cantautrice americana a fare la differenza: Reckless Driving, cantata a due voci con Ben Kessler, racconta della difficoltà (e della voglia) di abbandonarsi all’amore affrontando la paura di viaggiare (in una relazione) a velocità differenti. I don’t love you like that/ I’m a careful driver/ And I tell you all the time to keep your eyes on the road/ But you love me like that/ You’re a reckless driver/ And one day it will kill us if I don’t let go, canta McAlpine, e in questi versi c’è tutta la difficoltà di lasciarsi andare, la paura dell’ignoto, la sensazione (giusta, comune) di non essere pronti. Niente male per un’autrice di soli ventidue anni.

(English Version) I spoke in some details about the American singer-songwriter Lizzy McAlpine last month, after I accidentally discovered her on YouTube. On February 25, McAlpine released the video for Reckless Driving, the fourth single from her upcoming album Five Seconds Flat, out on April 15. Also this video, in continuity with those made for the three previous singles, is directed by Gus Black and go to compose another piece of the tormented love story that McAlpine seems to address in her upcoming work, inserting it in the perspective of the transition from adolescence to adulthood. Once again, the lyrics and the interpretation of the American singer-songwriter really make the difference: Reckless Driving, with the participation of Ben Kessler, speaks on the difficulty (and desire) of surrender to love while facing the fear of moving at different speeds in a relationship. I don’t love you like that / I’m a careful driver / And I tell you all the time to keep your eyes on the road / But you love me like that / You’re a reckless driver / And one day it will kill us if I don’t let go, sings McAlpine, and in these lines one can find all the difficulties of letting go, the fear of the unknown, the (right, common) feeling of not being quite ready. Not bad for an author only twenty-two years old.

Mi piace chiudere questo Round- Up col ritorno di Jackson Dyer, che ha salutato febbraio con la pubblicazione di un nuovo EP, intitolato Sunseason. L’EP racchiude i singoli pubblicati alla spicciolata sul finire del 2021 (di cui avevo ogni volta parlato nei vari Round-Up mensili), ovvero Losing light, At ease e Movement (feat. James Chatburn) e altri due brani inediti tra i quali la quasi title-track My Season, data alle stampe lo scorso 25 febbraio proprio ad accompagnare il lancio dell’intero EP. Seguo Jackson Dyer da ormai otto anni, dopo averlo incontrato per caso una domenica d’agosto del 2014 mentre si esibiva al Mauerpark di Berlino (la storia l’ho raccontata un milione di volte, ormai i miei affezionati 18 lettori la conosceranno benissimo), e non ho mai finito di appassionarmi al talento compositivo di questo ragazzo di Melbourne, conscio del fatto che mi sarei perso tanta bella musica se quella domenica non avessi deciso di fermarmi ad ascoltare: My Season, scritta e suonata insieme a Birk Buttchereyt e Martin Monika Brunner, con il contributo di Pascal Karier alla batteria, è un altro singolo scintillante, luminosissimo, che recupera le atmosfere molli e delicate del bellissimo Inlet, l’album di Dyer pubblicato nel 2019, e scorre dolcemente nei suoi 3 minuti e 40. A completare l’EP c’è Palms, altro gioiello di un pop-ambient, una musica che crea atmosfere e si libra malinconica nell’aria, con un ritornello particolarmente catchy. L’intero Sunseason è un altro lavoro di gran classe, che lascia la voglia di ascoltarne ancora.

(English version) I like to close this Round-Up with the return of Jackson Dyer, who greeted February with the release of a new EP, entitled Sunseason. The EP contains the singles published at the end of 2021 (which I had talked about them in various monthly Round-Ups since last September), namely Losing light, At ease and Movement (feat. James Chatburn) and two new, previously unreleased songs including My Season, published on February 25th along with the launch of the entire EP. I have been following Jackson Dyer for eight years now, after having met him by chance one Sunday in August 2014 while he was performing at the Mauerpark in Berlin (I have told the story a million times, by now my loyal 18 readers will know it very well), and I have never stopped being passionate about the compositional talent of this artist from Melbourne, aware of the fact that I would have missed so much beautiful music if that Sunday I had not decided to stop and listen: My Season, written and played together with Birk Buttchereyt and Martin Monika Brunner, with the contribution of Pascal Karier on drums, is another sparkling single that recovers the soft and delicate atmospheres of the beautiful Inlet, the full-length work Dyer released in 2019, and flows smoothly in its 3 minutes and 40. To complete the EP tracklist there is Palms, another jewel of a pop-ambient, a music that creates atmospheres and hovers melancholy in the air, with a particularly catchy refrain. The entire Sunseason is another high-class work, which leaves you wanting to hear more.

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