2022 Odissea nello Spazio. To The Moon and Back: A Tribute to Ryuichi Sakamoto (AAVV, 2022)

N.d.r. Ho caricato questo pezzo sulla piattaforma wordpress, programmando il post per il 10/04, poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte di Ryuichi Sakamoto. Lo scritto risale a una quindicina di giorni fa. Ho ritenuto più giusto preservarlo nella sua forma originale, quindi in esso non si fa menzione della morte dell’artista giapponese. Ritengo anche che il racconto di questo bellissimo album-tributo rappresenti, nel suo piccolo, un buon modo di omaggiare la memoria e l’opera di Sakamoto, sicuramente l’unico modo che avrei saputo trovare.

Lo scorso novembre parlavamo su questo blog di To The Moon and Back: A Tribute to Ryuichi Sakamoto, album licenziato dalla Milan Records appunto il 30 Novembre del 2022 per festeggiare il settantesimo compleanno del grande compositore e pianista giapponese (che cadeva in realtà il 17 gennaio dell’anno scorso: al momento in cui scriviamo Ryuichi Sakamoto ha infatti già compiuto 71 anni). In quel post si introduceva Thousand Knives, singolo estratto per il lancio della compilation, nella rilettura operata da Thundercat: Thousand Knives era stato il primo brano del primo, omonimo album solista pubblicato da Sakamoto (correva l’anno 1978). Come già accennato a suo tempo, la line-up di artisti coinvolti da Milan Records in questo progetto si preannunciava come imponente, lasciando ben sperare per un risultato di altissima qualità: oltre a Thundercat, infatti, figuravano nomi di vecchi sodali come Alva Noto e David Sylvian, ma anche quelli di Fennesz e di ensemble quali The Cinematic Orchestra. Oltre a celebrare l’evento dei 70 anni, la compilation era intesa come perfetto biglietto da visita per il nuovo album di inediti del prolifico compositore di Tokyo, intitolato 12 e pubblicato lo scorso 17 Gennaio (sì, ci avete visto giusto: proprio in occasione del settantunesimo compleanno del nostro) a distanza di sei anni dall’ultima prova in studio, il meraviglioso async (ne parlavamo, troppo brevemente, qui). Nel mezzo tra async e 12 ci sono state la completa remissione dal tumore del tratto orofaringeo diagnosticato nel 2014 e un delicato intervento chirurgico, un percorso di guarigione rispetto al quale il nuovo album si pone come una sorta di “diario di viaggio”. Su 12 torneremo molto presto, ma penso valga la pena spendere due parole anche su To The Moon and Back: titolo azzeccatissimo per un doveroso omaggio a un artista che ha saputo veramente percorrere l’immaginario musicale (e non solo) in lungo e largo, andando a toccare tanto il pianismo classico quanto l’elettronica più minimale, tanto la musica da film quanto le contaminazioni latino-americane, il jazz e il pop; una carriera, quella di Sakamoto, da sempre improntata a un’inesausta ricerca espressiva, caratterizzata da una volontà comunicativa enorme, generosa, mai meno che affascinante nelle sue manifestazioni. E se pure è inevitabile che una compilation che tenti di celebrare una carriera tanto poliedrica non riesca che a lambire una piccola parte (per quanto significativa) di tutto ciò che un artista come Sakamoto ha saputo proporre, To The Moon and Back riesce comunque ad affascinare attraverso i molti mondi che contiene, tutti estremamente seducenti, e mostrandoci come siano sbocciati i semi piantati dal compositore giapponese nel corso di oltre quarant’anni di lavoro nell’ambito della musica popolare. Fin dallo splendido artwork (opera di Carsten Nicolai, meglio noto col suo nome d’arte Alva Noto), To The Moon and Back è un brulicare di colori, un ribollire di suggestioni, un fluire di emozioni: un caleidoscopio, un’immagine che cambia e muta e si trasforma ad ogni nuovo ascolto, come se ogni volta inevitabilmente cambiasse la prospettiva dalla quale la si guarda.

To The Moon and Back si apre (e non a caso) su un brano proveniente da async, Walker, rimodellata dal musicista taiwanese Lim Giong: un pregiato arazzo elettronico nel quale Giong dona spessore sonoro alle suggestioni intrappolate nelle melodie sospese seminate da Sakamoto lungo la meravigliosa traccia originale. David Sylvian rilegge Grains (Sweet Paulownia Wood), estratta dall’album collaborativo del duo Sakamoto-Noto utp_ (datato 2008): la voce straniata e inconfondibile del cantante inglese trasforma l’elettronica avant-garde dell’originale in una delicata ninna-nanna ambientale, con una bellissima melodia vocale che procede sempre in bilico sull’orlo dell’abisso. Thundercat rimaneggia con la consueta maestria le inquietudini elettroniche che attraversavano la seminale Thousand Knives (estratta come detto dall’album omonimo del 1978), consegnandoci un personalissimo zibaldone capace di tenere magicamente insieme le melodie oriental-futuribili disegnate e compresse da Sakamoto dentro i 10 minuti di odissea acido-elettronica del brano originale con il più classico mix di funk, soul e r’n’b fatto di groove rotondi e potentissimi che è da sempre cifra stilistica del songwriting di Stephen Bruner, un’esplosione coloratissima di suoni che soffia nuova vita nel brano (cui Thundercat offre anche un testo autografo, del tutto originale). Di fatto, l’elettronica sperimentale e il synth-pop esotico dell’originale si tramutano in un ibrido di neo-soul e r’n’b ballad, in pieno stile Thundercat. Il primo vero colpo al cuore è invece la rilettura rispettosissima e insieme immaginifica offerta alla melodia senza tempo di Merry Christmas Mr. Lawrence dai canadesi Electric Youth: il duo synth-pop proveniente da Toronto ripropone, stratificandola, quella che probabilmente è una delle melodie più note al mondo, senza rinunciare a darle un taglio electro-dance inatteso ed estremamente affascinante. Cornelius (al secolo Keigo Oyamada), un altro dei più recenti collaboratori di Sakamoto, ripesca da B-2 Unit (1980) il brano Thatness & Thereness, facendone una delicata ballad per voce sussurrata e synth ciccioni, scandita da pad acidi e da un piano etereo, portatore di gradevoli dissonanze. La compositrice e violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir riprende la meravigliosa melodia di World Citizen (I Won’t Be Disappointed) , originariamente cantata da David Sylvian e inclusa in Chasm (correva l’anno 2004, ma il brano era stato incluso anche in un EP omonimo pubblicato l’anno precedente): la nuova versione del brano, per voce e violoncello, ne spoglia il significato offrendolo per intero insieme a un’emotività potentissima. Nella sua seconda metà, World Citizen si arricchisce delle tastiere e di una piccola costellazione di suoni elettronici che ne fanno una specie di sinfonia composta davanti a un tramonto colto nell’atto di sfaldarsi, densa di un intimismo potente e coraggioso. Alva Noto accompagna il lavoro verso la seconda vetta più alta, scegliendo di decostruire il celeberrimo tema composto da Sakamoto per The Sheltering Sky di Bernardo Bertolucci: la sua rilettura assolutamente minimalista è una sfida per chi ascolta. Su un tappeto sonoro che restituisce per sottrazione l’armonia dell’originale, Nicolai lascia gocciolare le note del famosissimo tema rimuovendo sempre le ultime una o due, andando così a creare una sospensione nel senso melodico che l’ascoltatore automaticamente deve cercare di ricomporre con la propria memoria e la propria immaginazione. L’operazione messa in scena da Noto sposta così il piano del dialogo da quello dell’artista con il testo da rivisitare a quello del testo riletto (e modificato, plasmato) con chi ne fruisce, sfidato frontalmente a unire i puntini nel tentativo di riscostruire l’immagine del brano: l’idea è che a volte possa bastare rimuovere due note da una melodia per creare uno sfasamento multidimensionale, un esperimento di musica a più dimensioni di rara potenza ed efficacia, che sia davvero in grado di mettere in connessione l’artista, l’arte e chi ne fruisce. È solo nel finale che Noto ricompone brevemente la sottrazione, lasciandoci assaporare la linea melodica nella sua interezza: la sua rilettura è una continua creazione di senso dentro un testo assolutamente celeberrimo e perciò stesso (si potrebbe essere erroneamente indotti a pensare), immobile, in perpetua quiete, impossibile da toccare, modificare o cambiare. Il chitarrista e producer austriaco Christian Fennesz sceglie di rilavorare un’altra melodia senza tempo, quella di Amore (estratta da Beauty, 1989): chitarre liquide disegnano una ballad dal sapore insieme contemporaneo e totalmente classico, andando a comporre una tempesta sonora appena trattenuta, un fronte sonoro fluido e avvolgente che riempie le orecchie e il cuore. Devonté Hynes (avvalendosi della splendida voce di Emily Schubert) tira fuori da Choral No 1 un brano che si situa a metà strada tra il classicismo pianistico di un clair-de-lune e le melodie pop orientali più esotiche e delicate. L’ensemble nu jazz inglese dei Cinematic Orchestra rilegge invece DNA, un brano che viene da uno degli album di Sakamoto che più ho amato, la bellissima colonna sonora del misconosciuto film Tony Takitani (ispirato a un racconto di Haruki Murakami): a metà tra notturno e glitch, questa versione di DNA è un downtempo pieno di piccole, deliziose ibridazioni elettroniche, fughe in avanti coraggiose e affascinanti. Poco più di quattro minuti e mezzo racchiudono un piccolo universo di idee e suoni in espansione, che fanno di DNA una gemma di quello che potremmo quasi definire ambient/jazz. Il giapponese Otomo Yoshihide recupera brandelli di Snow, Silence, Partially Sunny dall’omonimo album collaborativo (2012) di Sakamoto con Sachiko Matsubara, meglio nota con lo pseudonimo di Sachiko M: da qui nasce With Snow and Moonlight, elegia dolente per accordi sparpagliati del pianoforte, suoni concreti, glitch e rumori, sezionata da una sequenza di profondissimi acufeni. Gabrial Wek riprende un altro brano celeberrimo di Sakamoto, Forbidden Colours, devastandolo completamente e tirandone fuori un’irriconoscibile e coraggiosissimo drone ambient che sembra inizialmente accendersi su una ritmica quasi IDM per poi implodere in una tavolozza di colori in subbuglio, quasi fosse un magma ribollente: non v’è traccia dell’immortale melodia del brano originale, né della geniale linea vocale di Sylvian, se non nei meandri del suono, quasi a tratti volessero uscire fuori dei frammenti del brano originale, come fossero stati sepolti sotto un maelstrom sonoro, una colata lavica di forza bruciante. L’affascinante, coraggioso e oscuro magma sonico di questa rilettura di Forbidden Colours si spenge delicatamente dentro The Revenant Main Theme, ancora un tema per il cinema (stavolta composto per la colonna sonora di The Revenant di Alejandro González Iñárritu) scomposto e rimodellato in questo caso dal duo di visual artists russi 404.Zero (Kristina Karpysheva e Sasha Letcius) in una successione di suoni crepitanti e oscuri sezionati da dense bordate di synth.

Le 13 tracce di To The Moon and Back sono un po’ una piccola odissea in uno spazio, quello della musica di Ryuichi Sakamoto, fatto di idee e suggestioni ricchissime e immortali: l’assoluto valore della ricerca del compositore giapponese è testimoniato ampiamente dalla fecondità delle intuizioni che emergono da queste tredici riletture, testimonianza di un corpus di opere tutt’altro che vinto dal tempo. To The Moon and Back mostra un cammino, un modo di plasmare la materia musicale che fa allo stesso tempo da omaggio e da sviluppo: quale miglior modo di riconoscere la grandezza di un’artista che mostrargli in quanti modi la sua opera sia tuttora viva e vitale? I tredici artisti coinvolti hanno avuto a disposizione una tavolozza di colori di valore assoluto, e hanno saputo usarli per comporre un arazzo ricco e stordente, obliquo e affascinante, allo stesso tempo compreso e esploso: un big bang di idee e tentazioni assolutamente suggestivo che riesce anche, per tutti gli oltre settanta minuti della sua durata, a tenere sempre, costantemente incollati all’ascolto. Senza dimenticare come, oltre a omaggiare degnamente la carriera di Sakamoto, questa compilation costituisca senza dubbio un perfetto viatico per tutti quei giovani ascoltatori che all’opera dell’artista giapponese non si sono mai avvicinati: To The Moon and Back può essere infatti un fecondo punto di partenza per avventurarsi nei meandri della musica di Sakamoto, lasciando intravedere efficacemente le gemme di pura bellezza che si possono incontrare lungo questo percorso.

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