La nuda parola: Kae Tempest al Castello di Civitella Ranieri (26/10/2022)

Ero stato a Civitella Ranieri lo scorso 16 settembre, per il reading tenuto da Ocean Vuong (ne parlavo in questo breve resoconto), e onestamente non pensavo di tornarci tanto presto; tuttavia la Civitella Ranieri Foundation ha un ricchissimo programma di eventi relativi alle residenze artistiche in corso nei suoi spazi, e il 26 ottobre è stata la volta di Kae Tempest, e come capirete non ho proprio potuto esimermi. Sulla Civitella, i suoi spazi e il percorso che conduce a raggiungerla ho già detto in occasione del post succitato, quindi non mi dilungherò; su Kae Tempest ho scritto più volte su queste pagine, ad esempio qui parlando di The Book of Traps and Lessons, e recentemente in merito all’ultimo album dellə poetə inglese, The Line Is A Curve. Tempest, che dal 2020 si è dichiaratə persona non binaria, scegliendo per sé i pronomi they/them/their, ha intrapreso con The Line Is A Curve un percorso musicale nuovo, differente rispetto a quanto realizzato con i lavori precedenti (o per meglio dire, posto in una continuità basata sulla progressiva evoluzione del mezzo espressivo): i brani raccolti dentro l’album testimoniano un delicato distaccamento dal puro spoken word e nel suo complesso The Line is a Curve espone chiaramente una volontà feroce di muovere le istanze poetiche dellə suə autorə anche in direzione di un pubblico molto più vasto, quello che approccia la musica come esperienza sonora prima ancora che come veicolo letterario; non solo la cura del significato, quindi, ma anche del significante. Non mi si fraintenda, non che prima le parti musicali fossero trascurate (ascoltatevi soltanto Firesmoke per credere): semplicemente la mia sensazione, legata anche all’idea, sviluppata nel corso di anni di ascolti, che lo spoken word sia soprattutto materia per amanti del genere, era sempre quella di un lieve scollamento, scollamento ricomposto magistralmente nelle 12 tracce di The Line Is A Curve. Ero molto curioso per la presentazione che Kae Tempest (giunta al termine di una residenza nel corso della quale ha avuto occasione di terminare un romanzo, un po’ come accaduto anche il mese scorso a Vuong), avrebbe tenuto nella Biblioteca della Civitella, ed è inutile dire che non sono rimasto deluso: dopo un breve aperitivo di benvenuto alla presenza dell’artistə, alle 18:15 è iniziato l’intervento poetico di Tempest, che è stato, in una parola, sorprendente. E illuminante: sono due parole, è vero, avete ragione, ma fidatevi che servono entrambe.
Sorprendente, innanzitutto. Sorprendente perché la decisione di Tempest è stata quella di presentare integralmente il loro album,
The Line Is A Curve, rimuovendone chirurgicamente la parte musicale, trattandolo come se fosse un poema e recintandolo integralmente in un unico flusso di parole e emozione; e poi illuminante, perché gli esiti sono stati tali da aprire un’infinità di prospettive nuove dentro un testo che era (ed è) già ben definito, come dare un’occhiata da un punto diverso a una storia ormai nota. È un po’ come se il percorso intrapreso da Tempest fosse in questo caso opposto a quello incarnato dal disco finito: rimuovere ogni elemento che non sia la parola, presentare il verso nudo, indifeso, liberandone il contenuto, liberandolo addirittura a tratti dalla sua forma stessa, o meglio affrontando coraggiosamente l’idea che l’uditorio non dovesse arenarsi sulla comprensione di ogni singola parola del testo (nessun testo è stato proiettato durante l’esibizione, e l’avvertimento dell’autorə subito prima di iniziare la performance è stato quello di non curarsi di cogliere necessariamente ogni termine, ma di seguire il senso, le sfumature e in ultima analisi il suono della performance, nella convinzione fondata che esso avrebbe condotto autonomamente e direttamente all’emozione: l’esperienza di avvertire il flusso poetico, il testo intero come una primigenia vibrazione da accogliere dentro di sé); un po’ come succede quando, messi di fronte a un testo incompleto o con lettere invertite, si riesce comunque a coglierne il significato. La richiesta di Kae è stata di lasciarsi spostare, trasportare, toccare dal puro significato; la performance è stata in questo senso travolgente, e profondamente magnetica, forte anche del contatto visivo che Tempest ha costantemente cercato con le persone sedute ad ascoltarla. Una parte del merito va ricercata senza dubbio nell’intrinseca forza dei versi dell’autorə, che altrove ho definito tesi come una corda di violino, esatti in ogni loro fibra, densi e vibranti come poche altre parole che si possono ascoltare in giro; ma poi sono state la presenza fisica, la gestualità e la forza del corpo che ha ospitati questi versi, proiettandoli verso l’uditorio, a fare il resto. Non si è trattato di altro che questo: un flusso di parole e emozioni, immagini e suoni che attraverso la persona di Tempest ha raggiunto il cuore dei presenti, accarezzandolo. Io almeno mi sono sentito così, e più volte ho provato la stessa commozione che si sente quando si avverte il forte desiderio di abbracciare qualcuno, in questo caso quel canto (un canto che era insieme, inestricabilmente, una persona, ma forse addirittura tutte le persone presenti in quella stanza: un torrente in piena che aveva ora la forma dimessa del dialogo, ora quella compatta e sincopata del rap e a tratti anche la melodiosità del cantato, rievocato chiaramente in alcuni passaggi della performance). Questo profondo senso di intimità, la connessione tra il corpo e la voce dell’autorə e il cuore dei presenti è stato come una specie di comunione, un qualcosa di mistico, a tratti, quasi un rito officiato dalla nuda parola. Penso che siano preziose tutte quelle circostanze nelle quali qualcuno ti fa dono del proprio sé, presentandosi indifeso per essere accolto, e che sia ancora più speciale quando questo avviene attraverso la poesia, il linguaggio, l’uso della parola e, in ultima analisi, il pensiero: ciò che ci rende umani, se ci pensate.
È stato emozionante ripercorrere il viaggio di
The Line Is A Curve in una forma diversa da quella cui ero abituato, più intima, straordinariamente più densa, ancora magicamente più vicina al cuore di quanto non avvenisse già nei solchi del disco: un dono prezioso per il quale non si può che essere grati agli spazi suggestivi della Civitella Ranieri e al lavoro del Residency Director Diego Mencaroni. Non c’era miglior modo di chiudere la stagione di eventi della Fondazione di questa performance così densa di significato e di emozione: a me rimane negli occhi lo splendore di questo racconto (sì, è stato avvolgente come un racconto), e nel cuore il calore dello sguardo e del piccolo saluto che ho potuto scambiare con Kae Tempest al termine della serata, e proprio non potevo chiedere di più.

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