Strategie per una sinfonia industriale: Einstürzende Neubauten live @ Teatro Manzoni, Bologna (27/05/2022)

Maggio mese dei concerti: dopo il live dei Low di cui parlavo qui, venerdì scorso sono finalmente riuscito a sfruttare il biglietto per il tour dei miei adorati Einstürzende Neubauten. Anche qui la pandemia ha ovviamente colpito duro, costringendo a rimandare lungamente l’esibizione (la data originale era prevista per la primavera del 2020) e persino a cambiare il nome dell’intero tour (doveva essere lo Year of the Rat Tour, dato che il 2020 sarebbe stato l’anno del topo e che, almeno inizialmente, The Year of the Rat doveva essere il titolo dell’album in supporto del quale la band si accingeva a muoversi, ed è diventato piuttosto lo Year of the Tiger Tour: potere del tempo che passa inesorabile), primariamente concepito come detto a supporto alla pubblicazione dell’ultimo album di studio della band di Blixa Bargeld, Alexander Hacke, Jochen Arbeit, N.U. Unruh e Rudolf Moser, quell’Alles in Allem pubblicato appunto nel mese di maggio di due anni fa (e del quale avevamo parlato qui e qui). Ospitato nella splendida location dell’Auditorium Teatro Manzoni di Bologna, direi abbastanza esaurito tra platea e gallerie, e con un pubblico straordinariamente attento alla prescrizione dell’uso di mascherina per tutta la durata dell’esibizione (al punto da spingere lo stesso Blixa a ringraziare i convenuti al termine del live con un entusiasta “Thank you for wearing a mask!”), il live è stato sorprendente per intensità e splendido per resa sonora: complice l’acustica degli spazi del teatro Manzoni e un lavoro sui suoni veramente di altissimo livello (realizzato con l’ausilio di due postazioni di mixing, una sul palco e l’altra di fronte al palco), l’esperienza dell’esibizione è stata realmente immersiva, tridimensionale e suggestiva come poche altre volte mi era capitato di ascoltare. Posso solo immaginare con invidia cosa debba essere stato il concerto tenuto dai nostri il 18 maggio scorso alla Casa da Musica di Porto, altro auditorium e teatro dotato di un’acustica da brividi, o che resa avrà la data (già sold out, ahimè) prevista per il 1 luglio p.v. alla splendida Elbphilharmonie di Amburgo.
Soprassedendo sui numerosi giri fatti in macchina per trovare parcheggio in una zona di Bologna nella quale riuscire a parcheggiare è estremamente difficile anche se non ti ci trovi di venerdì sera alle 20, e sul fortunato (e fortunoso) epilogo di questa ricerca, la prima cosa che colpisce dentro il teatro è ovviamente l’allestimento del palco: per una band che è abituata a estrarre il suono dagli strumenti più disparati, portare sul palco elementi apparentemente alieni come una turbina d’aereo, un carrello della spesa, bidoni di plastica e altri strumenti percussivi inusuali (penso al setup minimale di Unruh ma, soprattutto, al drum-set di Moser, la cosa più industrial che riesca a immaginare, per materiali e forme degli elementi usati) è qualcosa di assolutamente normale, e la centralità di questi elementi è palesata anche dalla loro distribuzione spaziale sul palco, che li pone in posizione centrale (alle spalle della postazione che sarà occupata dalla voce); alla destra di Blixa opera Hacke, con un amplificatore Ampeg e due diversi modelli di Gibson Thunderbird (un basso per il quale non vado matto ma che, lo concedo, si sposa perfettamente al sound globale proposto dalla band), mentre alla sinistra è stata ricavata la postazione per le sperimentazioni chitarristiche di Jochen Arbeit (armato di una chitarra acustica e di una semihollow Gretsch semplicemente meravigliosa, che entrano dentro una doppia cassa Marshall e Fender) e, alle sue spalle, per le tastiere (NordLead) suonate da un turnista del quale (faccio mea culpa) mi è sfuggito il nome.
The Year of the Tiger è soprattutto, come già accennato, il tour di supporto a Alles in Allem, l’ultimo lavoro in ordine di tempo del combo berlinese: e non è un caso che Blixa e soci suonino tutti e dieci i brani contenuti nell’album, anche se alternandoli a brani provenienti dal passato della band (ma diciamo, in generale, senza andare oltre l’ultimo ventennio). L’inizio è affidato alla riproposizione di Wedding, uno dei brani migliori di Alles in Allem, seguita dalla devastante Möbliertes Lied, estratta dallo stesso album, ma le sorprese arrivano subito dopo con l’esecuzione di una sequenza di brani che comprende alcuni dei passaggi più belli per chi scrive (e credo anche per molti altri) estratti dagli ultimi tre LP della band: una meravigliosa versione di Nagorny Karabach (da Alles Wieder Offen, del 2007), di abbacinante bellezza (è stata una vera emozione ascoltare dal vivo il solo di Moser alla turbina d’aereo, si veda il “povero” video che ho pubblicato su Instagram e che trovate in fondo a questo post), la devastante (e splendida) Die Befindlichkeit des Landes (estratta da Silence is Sexy, del 2000), un altro dei miei brani preferiti in assoluto della band, e la nenia rumorista Sonnenbarke (anch’essa proveniente da Silence is Sexy). In generale, un set che alterna esplosioni rumoriste a passaggi di quiete, quasi fossero momenti di un’unica, grande composizione, un’autentica sinfonia industriale. Il segmento successivo ripropone altri quattro brani tratti da Alles in Allem, ovvero l’ottima Seven Screws, Grazer Damm (introdotta da Bargeld rievocando la propria infanzia vissuta nella strada omonima), la titletrack Alles in Allem, altro abbacinante esempio di quella peculiare declinazione di pop alla quale gli Einstürzende Neubauten si sono dedicati negli ultimi 30 anni, e che potremmo definire neubauten-pop, e infine il delirante trip sonico di Zivilisatorisches Missgeschick: introdotto da Blixa come un viaggio in più momenti, nel tentativo di tenere insieme un pezzo ricchissimo dal punto di vista delle variazioni sonore, Zivilisatorisches Missgeschick si chiude con un’eco che l’artista tedesco aveva presentato poco prima come “radiation floating into space”, eco che viene nuovamente sottolineata al termine dell’esecuzione proprio riutilizzando questa espressione, quasi a rimarcare alla platea come l’introduzione non fosse stata semplicemente una raccolta di idee da gettare in pasto agli ascoltatori ma una puntuale descrizione del brano stesso. C’è spazio a questo punto per la riproposizione dell’unico estratto da Lament (2014), How Did I Die? , che avevo già avuto modo di ascoltare dal vivo nella data di Firenze del 7 luglio 2015, incentrata per l’appunto sull’esecuzione integrale dell’opera dedicata dalla band al centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, e poi per il folk sghembo di Am Landwehrkanal e l’orgia tribale-industriale di Ten Grand Goldie (entrambe provenienti da Alles in Allem), per chiudere con Susej, estratta invece da Alles Wieder Offen e dominata dai bassi (sempre in grande evidenza) di Hacke. Qui si chiude la parte principale dello show, con la band che uscirà dal palco due volte per rientrare per due brevi encore, un primo comprendente tre brani e un ultimo composto da due passaggi. Nel primo encore si segnala l’esecuzione di Taschen, altra odissea percussiva nella quale quasi tutti i membri della band accompagnano il cantato di Bargeld percuotendo sacchi di stracci e una sequenza di ulteriori due brani pescati da Silence is Sexy, ovvero l’inno Sabrina (altro passaggio da pelle d’oca, per chi scrive, nonostante qualche iniziale piccola imprecisione ritmica sulla voce) e la devastante Redukt, sospesa tra silenzio e inaudita violenza sonora. Il secondo encore è stato invece aperto da Alles Was Irgendwie Nützt (Rampe), un brano che, lo confesso, non conoscevo, racchiuso nel disco live 2005-05-28: 25th Anniversary Tour, Prague, e il saluto della band al pubblico è stato affidato al brano di chiusura di Alles in Allem, la meravigliosa ed eterea Templehof.
Due ore esatte di musica di potenza inaudita: gli
Einstürzende Neubauten hanno messo in piedi uno spettacolo che va parecchio oltre il “semplice” concerto rock (se mai possa esistere qualcosa di semplice in una performance live). Era come detto la mia seconda esperienza di un’esibizione dal vivo di Bargeld e soci, ma a differenza di quanto successo nell’ormai lontano 2015 a Firenze (dove forse gli spazi aperti dell’Ippodromo delle Cascine non erano proprio perfettamente adatti alla proposta dell’opera multimediale incarnata da Lament), qui l’effetto è stato decisamente “amplificato”, e la band ha suonato letteralmente come un’orchestra, perfettamente accordata, proponendo una vera e propria sinfonia industriale carica di sfumature, momenti di pieno e vuoto e magiche sospensioni, con un’efficacia assoluta, mantenendo una forza espressiva enorme per tutte e due le ore dello spettacolo. Ecco, se dovessi descrivere questo live in due parole, direi che è stato come ascoltare un’orchestra composta da metalli, plastiche, molle, tubi innocenti, acciai temperati percossi al fine di creare un enorme, affascinante sabba industriale: una musica insieme evocativa e concreta, materiale, assolutamente fisica. L’esperienza sonora cui gli Einstürzende Neubauten vogliono introdurci è, da sempre, un’esperienza prettamente fisica, tattile, artigianale quasi: una ricerca sonora che non può che partire dal confronto e dal contatto con il mondo, gli oggetti, gli scarti della società industriale (e post-industriale) che diventano veicolo di significato, mezzo espressivo, verso e parola, quasi poesia (per quanto sinistra, vagamente minacciosa, a volte insostenibilmente rumorosa). Da ormai 42 anni la band guidata da Blixa Bargeld declina con potentissima coerenza una Bellezza che nasce dalla violenza, dal cemento, dalle scorie industriali, dai residui, dagli spazi abbandonanti, una Bellezza dimenticata dagli uomini nei rimasugli di un mondo che, lentamente, si spegne, lasciando dietro di sé una scia di rifiuti, di abbandono, di dimenticanza, un oblio post-industriale che è quello al quale il progresso (questo mito e archetipo così difficile da abbandonare) sembra inevitabilmente destinare, primo o poi, tutto ciò che con esso non sa tenere il passo. Credo che ci siano in giro ben poche sperimentazioni musicali più radicali, profonde e feconde di quella che questa band di berlinesi mette in atto da più di quarant’anni attraverso quella che, con una citazione, potremmo definire come una “feconda e appassionata distruzione totale”: dalle vestigia dell’armonia che fu nasce un’espressione musicale che è insieme violenza e poesia, spaventosa e affascinante, dolce e devastante, un’esperienza che bisogna vivere almeno una volta per poterla comprendere, guidata con passo sicuro da un frontman, Bargeld, che sale sul palco a piedi nudi ed è un po’ sciamano sornione, un po’ asceta e un po’ artista concettuale, pifferaio magico di un viaggio verso luoghi intellettuali nei quali le pure forme e le astrazioni divengono dolorosamente carnali, fisicamente incarnate, solide e presenti. Musica che si fa e si esprime in un mondo fisico, reale, tangibile: a tutti gli effetti, una musica del nostro tempo ma soprattutto della nostra società, capitalista e post-industriale; una musica che cerca, trova ed estrae la poesia dall’alienazione della catena di montaggio, dal frastuono degli spazi di lavoro, dal rumore bianco di una società che inghiotte tutto. A conti fatti, una ricerca sonora estremamente attuale, della quale abbiamo ancora un disperato bisogno.

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